Norelli (J.P. Morgan AM): "Inflazione persistente negli USA, la Fed ha margini limitati per tagliare i tassi nel 2025"

Secondo il portfolio manager, la combinazione di crescita robusta, piena occupazione e deficit elevato dovrebbe mantenere l’inflazione su livelli elevati. Di conseguenza, non prevede alcuna riduzione dei tassi nel corso dell’anno, contrariamente alle aspettative dei mercati. L'articolo Norelli (J.P. Morgan AM): "Inflazione persistente negli USA, la Fed ha margini limitati per tagliare i tassi nel 2025" proviene da FundsPeople Italia.

Mar 6, 2025 - 11:11
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Norelli (J.P. Morgan AM): "Inflazione persistente negli USA, la Fed ha margini limitati per tagliare i tassi nel 2025"

L'inflazione continuerà a persistere negli Stati Uniti, con la Fed che potrebbe non avere margine sufficiente per tagliare i tassi. In questo contesto di incertezza, una strategia efficace nel mercato dei bond è di concentrarsi su titoli a breve scadenza, assumendo il rischio di credito in modo prudente e aumentando l’esposizione ai titoli cartolarizzati statunitensi. Sono questi in sintesi i punti chiave dello scenario macroeconomico e gli impatti sul portafoglio obbligazionario secondo Andrew Norelli, professionista di grande esperienza di J.P. Morgan AM, portfolio manager del fondo molto apprezzato dagli investitori italiani, e con Rating FundsPeople 2025, JPMorgan Funds Income Fund.

Dall'elezione di Donald Trump, gli analisti si interrogano sui possibili effetti inflazionistici negli Stati Uniti derivanti dall’agenda del nuovo presidente, che prevede dazi, tagli alle tasse per le aziende e un maggiore controllo sull’immigrazione. Tuttavia, Norelli ha un'opinione più decisa sull'inflazione USA. Resterà elevata e persistente, una dinamica che, secondo lui, si sarebbe probabilmente manifestata anche senza la vittoria di Trump. "Da giugno 2024, mese in cui l’inflazione ha toccato il minimo negli Stati Uniti, il CPI ha ripreso ad accelerare. Secondo la nostra analisi, questa tendenza era già evidente ed è stata confermata dal rapporto di gennaio, che ha segnato un forte incremento dell’inflazione in tutte le sue componenti. Tuttavia, questo rialzo dei prezzi non si riflette nel PCE, la metrica preferita dalla Fed, mentre il CPI segnala chiaramente un’accelerazione inflazionistica", spiega l’esperto in un’intervista a FundsPeople.

Perché l’inflazione USA rimarrà persistente

Norelli, che ha conseguito una laurea con lode in economia presso l'Università di Princeton, spiega la persistenza dell’inflazione negli USA attingendo sia alla teoria economica di base che alla Modern Monetary Theory (MMT). "L’economia tradizionale insegna che, in un contesto di piena occupazione, se la crescita supera il tasso di crescita potenziale si genera inflazione. Negli ultimi tre trimestri, l'economia statunitense è cresciuta oltre questo livello e i dati CPI di gennaio confermano la tendenza inflazionistica", afferma l’esperto. "La Modern Monetary Theory, invece, sostiene che i deficit pubblici possano essere mantenuti senza limiti finché non compare l’inflazione. Oggi si stanno verificando queste condizioni: il deficit è pari al 7% del PIL e l’inflazione è evidente. Di conseguenza, sia la teoria economica tradizionale che la MMT indicano che l’inflazione dovrebbe rimanere sostenuta negli Stati Uniti", dichiara Norelli.

La Fed non taglierà i tassi

“La crescita negli Stati Uniti rimane molto forte: nel primo trimestre del 2025 potrebbe essere leggermente più debole, ma rimane comunque sopra il potenziale, quindi l’inflazione dovrebbe restare alta. Per quanto riguarda il deficit, Trump e Scott Bessent, il Segretario del Tesoro, hanno indicato l’intenzione di ridurlo, il che sarebbe un fattore disinflazionistico, ma nella pratica è molto difficile da realizzare”, prosegue. “In sintesi, crescita economica robusta, piena occupazione e un deficit elevato dovrebbero mantenere alta l’inflazione. Di conseguenza, la Fed non dovrebbe più effettuare tagli ai tassi nel 2025”, afferma.

Al momento, i mercati scontano tra uno e due tagli nel 2025. Tuttavia, secondo l’esperto di J.P. Morgan AM, questi tagli dovrebbero essere eliminati dai prezzi del mercato. “Per tenere sotto controllo l’inflazione, le condizioni finanziarie devono tornare a essere più rigide. Se questo accade, la Fed potrebbe non dover alzare ulteriormente i tassi, perché le condizioni finanziarie farebbero il lavoro per lei. Viceversa, se la Fed continua a guidare il mercato verso nuovi tagli, sarà costretta ad alzare i tassi in futuro, poiché condizioni finanziarie troppo morbide alimentano la pressione inflazionistica”, sostiene l’esperto.  

Dazi e dollaro

Sebbene molti osservatori li considerino un fattore inflazionistico determinante, nell’analisi di Norelli il tema dei dazi non è centrale. Secondo l’esperto, è fondamentale includere nell’equazione la forza del dollaro, che attenua l’impatto delle tariffe per i consumatori americani grazie al tasso di cambio favorevole del biglietto verde. Per questo motivo, Trump e Bessent avrebbero tutto l’interesse a mantenere un dollaro forte, nonostante lo stesso Trump abbia più volte sottolineato la necessità di una valuta più debole per favorire l’export del made in USA. “Sebbene le tariffe elevate possano aggravare l’inflazione, finora il loro impatto appare limitato. Un elemento chiave è la forza del dollaro, che dall'elezione di Trump si è rafforzato dell'8%. Se i dazi applicati fossero dello stesso ordine di grandezza, gli esportatori stranieri potrebbero assorbirne i costi attraverso il cambio. Si eviterebbe così un aumento dei prezzi per i consumatori finali statunitensi, mentre per il governo USA i dazi diventerebbero uno strumento per generare entrate senza gravare sulla popolazione. Per questo motivo, al momento, Trump e Bessent vedono nella forza del dollaro un vantaggio, poiché consente loro di imporre dazi senza impattare direttamente i consumatori. È quindi probabile che continueranno a favorire un suo ulteriore rafforzamento”, sottolinea l’esperto.

Obbligazionario, dove il valore?

Per quanto riguarda le opportunità obbligazionarie, il focus del JPMorgan Funds Income Fund è principalmente sul credito degli Stati Uniti: l’inflazione migliora la solvibilità del debito nei bilanci e i ricavi delle aziende, motivo per cui l’attuale contesto risulta favorevole ai fondamentali del credito, che per l’esperto è da privilegiare alla componente sovrana. L'approccio chiave secondo Norelli è evitare l’esposizione alla duration, che in un ambiente inflazionistico può rappresentare un rischio. Al contempo la strategia del gestore è di massimizzare il carry del credito, ottimizzando il rendimento rispetto al rischio assunto. Per il gestore, un’asset class dall’alto potenziale in questa fase di mercato è rappresentata dai prodotti cartolarizzati (securitized products), che offrono rendimenti superiori rispetto ai corporate bond tradizionali. “Attualmente, corporate bond investment grade, high yield e i bond dei mercati emergenti presentano spread creditizi ai minimi storici, risultando quindi meno vantaggiosi”, argomenta. “Al contrario, il credito cartolarizzato offre spread molto più ampi su tutta la scala della qualità del credito, rendendolo un’opzione più interessante”, dice. Per queste ragioni, circa il 70% del portafoglio JPMorgan Income Fund è investito in titoli cartolarizzati USA: secondo il gestore permettono di ottenere un rendimento superiore a parità di rischio. Inoltre, come spiegato, la preferenza è per gli strumenti a bassa duration. “Quando l’inflazione negli Stati Uniti ha toccato il minimo nell’estate del 2024, abbiamo previsto una sua ripresa. Di conseguenza, il portafoglio è stato riorientato verso obbligazioni in grado di trarre vantaggio da un contesto inflazionistico”, conclude il gestore.

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