“Non siamo un’azienda di fast fashion”: non crederai a quello che ha appena detto il presidente di Shein

Già lo disse a Davos 2025 (video sotto), lo conferma adesso: “Non siamo un’azienda di fast fashion”. Lui è Donald Tang, presidente di Shein (che con l’altro, Trump, condivide il nome e – a quanto pare – le sciocchezze che dice), e le sue parole distorcono la realtà in maniera assai pericolosa. Sostiene, di fatto,...

Mar 19, 2025 - 13:19
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“Non siamo un’azienda di fast fashion”: non crederai a quello che ha appena detto il presidente di Shein

Già lo disse a Davos 2025 (video sotto), lo conferma adesso: “Non siamo un’azienda di fast fashion”.

Lui è Donald Tang, presidente di Shein (che con l’altro, Trump, condivide il nome e – a quanto pare – le sciocchezze che dice), e le sue parole distorcono la realtà in maniera assai pericolosa. Sostiene, di fatto, in una intervista esclusiva a un giornale francese, che la sua sia semplicemente “una piattaforma di e-commerce globale con un modello di produzione on-demand, focalizzato sull’innovazione tecnologica e sull’intelligenza artificiale”.

Leggi anche: Shein nei guai! La Commissione Europea apre un’indagine su pratiche sleali e sicurezza dei prodotti della fast fashion

Niente diritti umani calpestati, niente impatto ambientale, insomma. Vuoi vedere che Shein è virtuosa e non lo sapevamo?

(Shein) è “impegnata a offrire prezzi equi e convenienti. Con il nostro modello on-demand, garantiamo il miglior rapporto qualità-prezzo. […]. Questo è il fondamento del nostro modello on-demand: produciamo ciò che i clienti vogliono, quando lo vogliono, dove lo vogliono, spara Donald Tang.

“Siamo consapevoli delle problematiche ambientali legate al nostro settore”

Dice il grande capo di Shein, piattaforma che, secondo lui, agirebbe “a favore degli obiettivi climatici”.

Tuttavia, con 29 miliardi di euro di vendite nel 2023, Shein è diventata anche il più grande inquinatore del suo settore, con 16,7 milioni di tonnellate di CO₂ emesse nello stesso anno. Questi commenti arrivano – in Francia – a un anno dall’adozione della legge anti-fast-fashion, che ormai tarda ad essere esaminata dal Senato (il testo prevede di vietare la pubblicità per l‘”ultra-fast-fashion” e di istituire multe per penalizzare i prodotti estremamente inquinanti e premi per le aziende virtuose).

Ne abbiamo parlato qui: Una legge rivoluzionaria contro la fast fashion: ecco cosa sta per cambiare in Francia

Siamo pienamente consapevoli delle questioni ambientali legate al nostro settore e del ruolo che dobbiamo svolgere come player globale. Ecco perché stiamo intensificando i nostri sforzi per la sostenibilità, continua a dire Donald Tang.

Ma i numeri contraddicono queste affermazioni. In un rapporto pubblicato nel giugno 2023, l’ONG Friends of the Earth ha stimato che sul sito web di Shein erano disponibili circa 470.000 vestiti in tempo reale. Ha denunciato la sua modella ultra-fast fashion attraverso il rifornimento quotidiano. “Shein offre in media 900 volte più prodotti rispetto a un marchio francese tradizionale”, ha dichiarato l’ONG.

Con 7.200 nuovi modelli al giorno, si stima che ogni giorno vengano prodotti almeno un milione di capi, ovvero tra le 15.000 e le 20.000 tonnellate di CO2 emesse almeno ogni giorno. La sovrapproduzione è “incompatibile con i limiti planetari e con condizioni di lavoro dignitose”, ha giudicato l’ONG.

E come la mettiamo con il lavoro forzato?

Lo sappiamo bene e ne abbiamo parlato tante volte: Shein è regolarmente accusata di trarre profitto dalle violazioni dei diritti umani tra i suoi fornitori, ma il suo mega presidente esecutivo ha ribadito l’esistenza di una politica di tolleranza zero nei confronti del lavoro forzato all’interno della piattaforma di vendita online.

Shein – dice – imporrà ai suoi fornitori “un codice di condotta in conformità con la Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro” “visite senza preavviso alle fabbriche”.

Ma, in seguito all’accusa dell’ONG svizzera Public Eye che contraddice queste affermazioni, la BBC ha voluto verificarlo e si è recata al “villaggio Shein” di Guangzhou, nel sud della Cina. I risultati del quotidiano britannico parlano da soli: i lavoratori dell’unità lavorano circa 75 ore a settimana e hanno solo un giorno di riposo al mese, il che è una violazione delle leggi sul lavoro del Paese. QUI puoi leggere tutta l’inchiesta.

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