Nel dialogo tra le cinque generazioni la leva per innovare e crescere

Lo studio Mindwork. Nell’ultimo anno sono passate dal 2 al 15% le imprese che lavorano sullo sviluppo di una leadership intergenerazionale Per la prima volta nella storia, le aziende si trovano a gestire cinque generazioni che hanno aspettative e un approccio al lavoro diversi come non è mai accaduto in passato. La diversità con cui […] L'articolo Nel dialogo tra le cinque generazioni la leva per innovare e crescere proviene da Iusletter.

Apr 9, 2025 - 18:36
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Nel dialogo tra le cinque generazioni la leva per innovare e crescere

Lo studio Mindwork. Nell’ultimo anno sono passate dal 2 al 15% le imprese che lavorano sullo sviluppo di una leadership intergenerazionale

Per la prima volta nella storia, le aziende si trovano a gestire cinque generazioni che hanno aspettative e un approccio al lavoro diversi come non è mai accaduto in passato. La diversità con cui ci si relaziona al lavoro rende «la convivenza molto più complessa. Sicuramente, però, è diventata una leva strategica per l’innovazione e la crescita di cui le aziende sono sempre più consapevoli – osserva il ceo della società di consulenza psicologica Mindwork, Mario Alessandra -. Rappresenta anche una sfida in cui servono strumenti per facilitare il dialogo e la collaborazione tra persone con bisogni, aspettative e modi di lavorare spesso distanti, ma fondamentali da comprendere». Mindwork ha realizzato un’indagine tra oltre 150 aziende con un totale di 400mila lavoratori, per capire come sta evolvendo la loro attenzione al rapporto e alla convivenza tra le diverse generazioni al lavoro. «I dati confermano che sta crescendo – continua Alessandra – tant’è che se nel 2023 erano appena il 2% le aziende che volevano lavorare su questo tema, oggi sono il 15%: il dato è cresciuto di oltre 7 volte». Si tratta di un’indagine tra diversi settori, principalmente il produttivo e manifatturiero a cui appartengono il 20% delle imprese, il retail (15%), i servizi finanziari (15%), la Gdo (10%), l’energia (10%), il farmaceutico (10%) e altri (20%). L’attenzione è abbastanza diffusa, ma, come osserva Alessandra, «il maggior bisogno di lavorare sulle generazioni emerge in 3 settori e cioè produttivo e manifatturiero, servizi finanziari ed energia».

Le cinque generazioni

La prima, la generazione silenziosa, quella dei nati tra il 1928 e il 1945, conta ormai davvero pochi esponenti, ma con incarichi alti e di rappresentanza che hanno un forte peso nell’indirizzare le strategie. Quella dei baby boomers, che all’anagrafe hanno la data di nascita tra il 1946 e il 1964 sta progressivamente andando in pensione, ma è ancora centrale, soprattutto per effetto dell’allungamento dell’età pensionabile. Poi la Generazione X dei nati tra il 1965 e il 1979 che è nel pieno dei percorsi di carriera, come anche i Millennial (1980-1996). Come mostrano i dati Istat si tratta delle generazioni dove c’è la maggiore concentrazione di lavoratori e se consideriamo gli over 50 anche di quella che nell’ultimo anno ha registrato la maggiore crescita. E infine l’ultima arrivata che sta entrando adesso, la Generazione Z ossia quella dei nati tra 1997 e 2012. È quella che si è fatta conoscere fin da subito per la poca disponibilità a scendere a compromessi, con ricadute sia per l’attrattività di alcune professioni, sia per l’attenzione agli equilibri vita lavoro.

L’ingresso dirompente della GenZ

«Quando si parla di generazioni il grande tema è quello della GenZ che non solo ha maggiore attenzione agli equilibri tra lavoro e vita privata, ma anche alla corrispondenza valoriale con l’azienda, un tema che è centrale per oltre il 64% della GenZ – osserva Alessandra -. Non a caso questa generazione ricorre maggiormente a servizi di supporto psicologico ed è quella dove uno su cinque lascia il lavoro per malessere psicologico o perché la sua tavola valoriale non corrisponde a quella dell’azienda. Spesso si genera una situazione per cui l’azienda va a una velocità che è quella richiesta dai clienti, dagli stakeholder, dal mercato, ma le persone non vanno allo stesso ritmo, non per mancanza di voglia di impegnarsi, ma perché le leve motivazionali sono diverse». Fino a una decina di anni fa c’era «una certa considerazione del fatto che l’azienda utilizzava il tempo delle persone per produrre determinati beni o servizi, riconoscendo in cambio un compenso – continua Alessandra -. Oggi l’aspetto economico, seppure essenziale, fa parte di un insieme di fattori che devono portare a vivere bene la vita professionale e a intrecciarla in maniera equilibrata con quella personale. Si afferma una nuova idea di realizzazione, sempre più legata al benessere psicologico e all’equilibrio tra vita personale e professionale. Le generazioni precedenti, in particolare i Boomers hanno spesso dato per scontato che fosse necessario sacrificare molto per costruire una carriera, oggi non è più così. La GenZ introduce nuove priorità e chiede alle aziende di riconoscerle».

Sono considerazioni che ci riportano a un’intervista pubblicata in queste pagine lo scorso mercoledì in cui l’amministratore delegato di Atm, Arrigo Giana, rifletteva sul fatto che quando si parla di attrattività dei settori l’aspetto economico non è l’unico da considerare. Per fare un esempio, nel trasporto pubblico locale la retribuzione può variare in modo significativo con gli straordinari: su questo le generazioni si comportano in modo diverso con i boomers che li fanno e i nati tra fine anni 90 e 2000 che sono meno propensi a farli.

Le aree su cui lavorare

Le aree critiche legate alle generazioni sul lavoro sono diverse e rappresentano non solo sfide per le aziende da affrontare per restare competitive, ma anche opportunità di crescita e innovazione per le persone.

La prima criticità, cita Alessandra è quella della collaborazione. «Persone di età e generazioni diverse incontrano spesso difficoltà nel comunicare e nel trovare le giuste leve per collaborare in modo efficace, con impatti sulla produttività e sulla coesione dei team», dice. La seconda è la gestione dei conflitti: «Differenze nei valori, nei bisogni e nelle modalità di lavoro, se non gestite adeguatamente, possono generare tensioni e compromettere il clima aziendale, influenzando il benessere e l’efficacia dei team». Infine la terza area critica è quella del trasferimento di competenze e know-how: «Molte aziende faticano a favorire il passaggio di competenze, incluse quelle tecniche, tra generazioni, con il rischio di dispersione del know-how, soprattutto da lavoratori senior a giovani talenti».

Se tre sono le criticità, tre sono le leve per trasformare le sfide generazionali in opportunità di crescita e innovazione. «La prima è attivare canali di ascolto e analisi – spiega Alessandra -. Poi rafforzare le soft skill, specialmente relazionali e realizzare percorsi di formazione per migliorare le competenze soft, in particolare quelle relazionali. E infine formare i manager a valorizzare la diversità generazionale».

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