Mind wandering: l’arte del distrarsi e di far vagare la mente che (a volte) fa bene al cervello
Sebbene ci sia la tendenza a considerare la distrazione mentale come un ostacolo alla concentrazione e all’efficienza, recenti studi suggeriscono che il mind wandering, ovvero il fenomeno di vagare con la mente durante un’attività, possa offrire inaspettati benefici cognitivi. Un team internazionale di ricercatori provenienti da Francia, Norvegia, Ungheria e Germania ha infatti evidenziato come...

Sebbene ci sia la tendenza a considerare la distrazione mentale come un ostacolo alla concentrazione e all’efficienza, recenti studi suggeriscono che il mind wandering, ovvero il fenomeno di vagare con la mente durante un’attività, possa offrire inaspettati benefici cognitivi. Un team internazionale di ricercatori provenienti da Francia, Norvegia, Ungheria e Germania ha infatti evidenziato come questo stato mentale, apparentemente controproducente, possa favorire alcuni meccanismi di apprendimento, in particolare nei contesti che richiedono un coinvolgimento cognitivo minimo.
Cos’è il mind wandering?
Il termine mind wandering indica quel fenomeno comune in cui la nostra attenzione si sposta involontariamente da ciò che stiamo facendo, lasciando spazio a pensieri interni spontanei, legati a ricordi, fantasie o situazioni immaginarie. Secondo Peter Simor, uno degli autori principali delle recenti pubblicazioni sul Journal of Neuroscience e iScience, questo processo non è solo una semplice distrazione, ma un vero e proprio “viaggio mentale”, che coinvolge pensieri anche slegati dalla realtà. Le stime indicano che potremmo trascorrere fino al 50% del tempo da svegli immersi in questo stato mentale.
Anche se il mind wandering viene spesso accostato al daydreaming (il fantasticare a occhi aperti), i due fenomeni presentano leggere differenze: il primo si manifesta durante lo svolgimento di un compito, mentre il secondo tende ad avvenire in momenti di inattività. Al di là delle definizioni, la comunità scientifica si interroga da tempo sul vero ruolo funzionale di questi momenti di distrazione mentale.
I limiti cognitivi del mind wandering
Finora la letteratura scientifica ha messo in evidenza soprattutto gli aspetti negativi legati al mind wandering. Quando ci lasciamo distrarre, diventiamo meno efficienti nel comprendere testi, nel risolvere problemi, nel pianificare azioni o nel prendere decisioni complesse. Anche le capacità sensoriali risultano attenuate, rendendoci meno reattivi. Come spiega Simor, è come se perdessimo temporaneamente il controllo sulle nostre funzioni esecutive, con conseguenze dirette sulla precisione dell’attività che stiamo svolgendo.
In certi contesti, come durante la guida o altre azioni che richiedono alta concentrazione, queste distrazioni possono rivelarsi addirittura pericolose. Tuttavia, non tutti gli effetti del vagare mentale sono deleteri, come dimostrano nuove evidenze sperimentali.
I benefici nascosti
Il team guidato da Simor ha condotto due studi – uno online e uno in laboratorio con monitoraggio EEG – per esplorare l’effetto del mind wandering sull’apprendimento probabilistico non consapevole. Ai partecipanti è stato chiesto di eseguire un compito visuo-motorio in cui, osservando immagini a schermo, dovevano rispondere a stimoli nascosti da sequenze con differenti probabilità di ricorrenza. Durante l’attività, i soggetti dovevano anche indicare il loro grado di distrazione.
I risultati hanno evidenziato che, quando la mente iniziava a vagare spontaneamente, i partecipanti mostravano un miglioramento nell’apprendimento delle sequenze, pur con una lieve perdita di accuratezza nelle risposte. Questo suggerisce che, mentre la precisione operativa ne risente, il cervello può comunque assorbire informazioni strutturate in modo implicito.
Un cervello “offline”
Grazie all’uso dell’elettroencefalogramma (EEG), i ricercatori hanno osservato che durante il mind wandering il cervello entra in uno stato neurale a bassa frequenza, molto simile a quello del sonno leggero. Questo stato, definito “offline”, sembra facilitare l’apprendimento rapido e la consolidazione della memoria, offrendo un contesto ideale per rielaborare le informazioni in modo creativo.
Secondo Simor, ciò conferma l’ipotesi che il cervello, oltre a necessitare del sonno, possa trarre vantaggio da momenti di riposo vigile, in cui l’impegno cognitivo si abbassa ma rimane attiva la capacità di apprendere passivamente. In questo senso, il mind wandering potrebbe rappresentare una strategia naturale di recupero e rielaborazione delle informazioni.
Come evidenziato da Simor in una nota rilasciata dalla Society for Neuroscience, la maggior parte degli studi sull’apprendimento si è finora concentrata su stati di piena attenzione. Tuttavia, nella vita quotidiana, impariamo spesso anche in modo passivo. Per questo motivo, diventa cruciale esplorare il ruolo del mind wandering anche in contesti come la deprivazione di sonno o in pazienti affetti da disturbi del sonno, per capire se questi momenti di “disconnessione mentale” possano avere effetti terapeutici o riabilitativi.
Allo stesso modo, comprendere come integrare queste scoperte nella didattica scolastica o nei metodi di apprendimento per adulti potrebbe aprire nuove strade per rendere più efficace e meno stressante l’acquisizione di conoscenze.
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Fonte: Society for Neuroscience
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