NBA Freestyle | Doncic “torna” a Dallas e illumina: 45 punti, vittoria Lakers e nostalgia Mavericks
Luka Doncic “torna” a Dallas E vabbè, che vi aspettavate? Che gli avessero rubato il talento in stile Space jam? No, impossibile. Gli unici appunti che si potevano fare a Doncic in maglia Mavericks erano legati alla sua poca voglia di difendere (che non è incapacità di difendere…), al suo continuo protestare con gli arbitri, […] L'articolo NBA Freestyle | Doncic “torna” a Dallas e illumina: 45 punti, vittoria Lakers e nostalgia Mavericks proviene da Il Fatto Quotidiano.

Luka Doncic “torna” a Dallas
E vabbè, che vi aspettavate? Che gli avessero rubato il talento in stile Space jam? No, impossibile. Gli unici appunti che si potevano fare a Doncic in maglia Mavericks erano legati alla sua poca voglia di difendere (che non è incapacità di difendere…), al suo continuo protestare con gli arbitri, al suo voler a volte dominare troppo i possessi offensivi a discapito del flusso di gioco. Ma per quel che riguarda il talento, ogni dubbio è superfluo. Lo sloveno è nel primo vagone del treno che trasporta il talento della NBA. Anzi, potrebbe pure guidare la locomotiva. Come realizzatore dal palleggio impossibile trovare di meglio. È tornato a Dallas, Luka. Si è emozionato col video tributo. Probabilmente è vero: non se ne sarebbe mai voluto andare. Ma i Lakers sono così. Sono come la valigetta che John Travolta e Samuel L. Jackson cercano disperatamente in Pulp Fiction. Una volta aperta, ne resti incantato. È il fascino dei Los Angeles Lakers. Quindi, una volta sceso in campo, la nostalgia di Doncic si è andata via via “asciugando” per lasciare spazio a una pioggia di canestri e di penetra e scarica. E allo sfoggio di un registro tecnico che in attacco se non è illimitato, poco ci manca. La velocità di esecuzione, imballata dai guai fisici e dai diversi stop, piano piano sta tornando a regime. Doncic ha sempre giocato a ritmi non altissimi, non è un razzo, non è un saltatore, ma impedirgli di concludere è impresa ardua anche per i migliori difensori. Perché? Ha oggi, forse, i fondamentali di gioco più limpidi della lega. Il suo step-back funziona perché l’ultimo palleggio è sempre fatto nella posizione perfetta per caricare il tiro. Va in penetrazione con l’angolo del corpo che protegge perfettamente la palla dentro l’area. Va a sinistra sul pick and roll centrale e trova il tagliante in alley-oop con grande visione di gioco. Gioca in controllo, usa magistralmente il perno, esita in palleggio (un maestro nel frapporsi fra il difensore e il canestro dentro la lunetta), osserva i movimenti e legge la difesa. Così, Doncic, al suo ritorno con vittoria in Texas ne ha scritti ben 45 (31 punti nella prima metà) con 7 su 10 da tre. Nelle ultime dieci gare, sta tirando da fuori con quasi il 40%. Allacciate le cinture.
Il record di Risacher
La classe di rookie di quest’anno rischia di rivaleggiare con le peggiori di sempre. In effetti, era atteso. La seconda scelta Alex Sarr (Washington) è un levriero di 2.13, ma poco concreto offensivamente. La terza scelta Reed Sheppard (Houston) è in ripresa, nelle ultime dieci partite sta a oltre il 61% da tre, ma al momento Mark Price (il play dei Cavs negli anni ’90 a cui lo paragonavano) è ben lontano. Zaccharie Risacher ha avuto una stagione discreta complessivamente, ma nulla di eclatante. Sicuramente non ha giocato al livello che ci si aspetta da una prima scelta assoluta. Questa notte, però, ha messo un record nella storia degli Atlanta Hawks abbastanza significativo. Ha segnato 38 punti nella vittoria sui Nets con 6 triple. Il punteggio più alto per un esordiente nella squadra della Georgia. Pensare che qualche rookie discreto Atlanta lo ha pure avuto. Dominique Wilkins, Doc Rivers, Kevin Willis, Al Horford, anche lo stesso Trae Young. Nella partita contro Brooklyn, Risacher ha mostrato un bel mix di capacità difensive (suo punto di forza) e offensive. Ha segnato col tiro piazzato da tre. Ha attaccato il recupero del difensore sui ribaltamenti con un’ottima partenza stessa-mano-stesso-piede. È stato molto efficace quando imbeccato in contropiede. Insomma, se continua a svilupparsi bene, può diventare un 3&D (tiro da tre e difesa) molto interessante. Merce pregiata per qualsiasi squadra con ambizioni. Cosa che gli Hawks (in lotta per i play-in) attualmente non sono.
Follia in salsa Nuggets?
Vogliamo davvero cambiare allenatore e general manager a tre partite dalla fine della stagione? La risposta di Denver è “si”. E così hanno fatto. Non accadeva un cambio coach a stagione così inoltrata dal 1981. Licenziati sia Michael Malone che Calvin Booth. Epurazione. Come stanno realmente le cose solo chi sta vicino alla squadra giorno dopo giorno lo può sapere con certezza. Di certo, non è difficile constatare che in questi anni, dal titolo in poi, Denver è diventata via via sempre meno competitiva come roster. E questo al di là di Nikola Jokic, ormai considerato uno dei più grandi della storia. Bruce Brown, Jeff Green, Kentavious Caldwell–Pope. Tutti lasciati andare e non rimpiazzati adeguatamente. Per nulla stelle, neanche All-Star, eppure quella tipologia di giocatori che in un sistema già di alto livello fanno la differenza. Giocano duro, difendono, rendono una squadra più profonda, danno maggior agio nelle rotazioni. Uno dei maggior difetti dei Nuggets di quest’anno, per esempio, è stata la profondità della panchina (oltre alla discontinuità di Murray). Tutte le ragioni del mondo. Ma cambiare a uno schiocco di dita dall’inizio dei playoff può essere considerata una follia sportiva? Pensateci.
That’s all Folks!
Alla prossima settimana.
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