Milano, al Palazzo Reale le opere di Iannaccone in mostra: “L’arte contemporanea ti lascia interrogativi pure quando torni a casa, è meglio di un dibattito”
S'intitola Da Cindy Sherman a Francesco Vezzoli e sarà visitabile dal 7 marzo al 4 maggio. Composta da centoquaranta pezzi, provenienti dalla raccolta dell'avvocato-collezionista: "A quale sono più affezionato? Difficile da dire. Ultimamente sono molto legato a Iva Lulashi. Con lei ho capito che la figura del collezionista serve a qualcosa" L'articolo Milano, al Palazzo Reale le opere di Iannaccone in mostra: “L’arte contemporanea ti lascia interrogativi pure quando torni a casa, è meglio di un dibattito” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Centoquaranta opere, ottanta artisti contemporanei che analizzano corpo, sessualità e marginalità. S’intitola Da Cindy Sherman a Francesco Vezzoli la mostra promossa dal comune di Milano e dalla Fondazione Giuseppe Iannaccone, visitabile a Palazzo Reale dal 7 marzo al 4 maggio. “Spero che possa raccontare una visione artistica con al centro l’animo umano nel mondo contemporaneo. Una visione che coinvolge le realtà sociali all’interno delle quali si muove l’uomo. E quindi anche le problematiche della vita dell’uomo comune”, spiega il legale (nella foto). Tra i penalisti più noti di Milano, specializzato in diritto Commerciale e Societario, oltre a occuparsi dei problemi giudiziari di personaggi noti (tra gli ultimi casi anche quello di Chiara Ferragni), Iannaccone è anche un apprezzato collezionista. “Prima studiavo i libri di storia dell’arte, poi quando ho avuto la possibilità ho cominciato a comprare i primi quadri. E senza accorgermi mi sono ritrovato ad avere una collezione consistente”, racconta.
Oggi sono più di 400 i pezzi collezionati dall’avvocato: una serie che vale milioni di euro. “Non mi sono mai chiesto quanto possa valere la mia collezione, onestamente non mi interessa saperlo. Anche perché molte opere le ho acquistate da giovani artisti che in quel momento non avevano ancora valori enormi”, dice Iannaccone. È tra le più di 400 opere che il curatore Daniele Fenaroli e il consulente Vincenzo de Bellis hanno selezionato i 140 pezzi messi in mostra a Palazzo Reale. “Ho convenuto con le scelte di de Bellis e sono molto onorato del suo contributo – dice ancora l’avvocato-collezionista – Credo che il valore aggiunto di una mostra sia quello di consentire all’osservatore di interrogarsi una volta tornato a casa. Viene colpito dall’aspetto umano ed emotivo dell’opera, ma porta a casa anche le problematiche sociali che sono sottese ai dipinti. In questo modo secondo me si ottiene una partecipazione molto maggiore di quella generata da un dibattito, che finirebbe per accendersi e creare delle contrapposizioni. Qui invece le riflessioni le fai da solo.”
Oltre ovviamente a Sherman e Vezzoli, che danno il titolo alla mostra, tra gli altri artisti vanno segnalate le opere di Wangechi Mutu, Raqib Shaw, Luigi Ontani, Roberto Cuoghi, Tammy Nguyen, Norbert Bisky, Fabio Mauri. A Palazzo Reale anche due sculture di Bansky. “A quale artista sono più affezionato? Difficile da dire, perchè ogni opera ha per me una storia particolare. Per esempio ultimamente sono molto legato a Iva Lulashi, una ragazza albanese che ha fatto la sua prima mostra nel mio studio. Era un’artista sconosciuta, io ero entusiasta della sua pittura femminile e libera: comprai l’intera mostra. Poi l’ho seguita, abbiamo fatto un’altra mostra a Corniglia, alle Cinque terre. Poi all’ultima Biennale di Venezia ho scoperto che è stata designata dal governo albanese come rappresentante del suo Paese: aveva un intero padiglione a disposizione. Lì ho capito che la figura del collezionista serve a qualcosa. Lei è bravissima e certamente ce l’avrebbe fatta comunque, ma essere stato al suo fianco in questo percorso è per me motivo di grande orgoglio”.
La mostra di Palazzo Reale è organizzata in undici sezioni, che compongono una storia unica. Ogni stanza rappresenta una sorta di tappa di un viaggio composto da riflessioni sul corpo, l’identità di genere, il rapporto tra innovazione e tradizione. Un percorso che mixa i piani della mitologia e della leggenda a quelli della storia e alla politica. All’esposizione si affianca una installazione sonora, intitolata “Possiamo andare da un’altra parte?“, curata da Dario Mangiaracina de La rappresentante di lista. “Questa lunga ballata è un lavoro sulla memoria, sul disappunto e sulla sua guarigione dal malumore. È pensata perché arrivi da lontano, dall’altra stanza, dalla strada, da un telefono. Ognuno di noi raccoglie memorie audio, le mie sono parole, campanelli e percussioni. Come un arpeggio, la memoria torna e si trasforma. Dove va dipende da noi”, dice il musicista siciliano.
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