Mercati e guerra commerciale: il peggio è passato?

A cura di Anthony Willis, Investment Manager di Columbia Threadneedle Investments La scorsa settimana l’attenzione era concentrata sulle tariffe reciproche proposte dall’amministrazione Trump, ma lo scenario è stato nuovamente cambiato con l’annuncio della sospensione di 90 giorni per l’applicazione di tali misure nei confronti dei Paesi che hanno deciso di non adottare contromisure ritorsive. Ciò... Leggi tutto

Apr 15, 2025 - 19:03
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Mercati e guerra commerciale: il peggio è passato?

A cura di Anthony Willis, Investment Manager di Columbia Threadneedle Investments

La scorsa settimana l’attenzione era concentrata sulle tariffe reciproche proposte dall’amministrazione Trump, ma lo scenario è stato nuovamente cambiato con l’annuncio della sospensione di 90 giorni per l’applicazione di tali misure nei confronti dei Paesi che hanno deciso di non adottare contromisure ritorsive. Ciò significa che le tariffe di ritorsione sono rimaste in vigore solo per 13 ore prima di essere sospese. La tariffa base del 10% rimane in vigore per tutti i Paesi. Tuttavia, c’è stato un Paese che ha subito reagito: la Cina. Dopo varie escalation, ci troviamo ora in una situazione in cui il commercio tra i due maggiori partner commerciali del mondo è praticamente bloccato. Gli Stati Uniti applicano una tariffa totale del 145%, mentre la Cina del 125%. L’anno scorso, il commercio combinato tra i due Paesi ha raggiunto i 585 miliardi di dollari e la Cina rappresenta circa il 13% delle importazioni degli Stati Uniti.

È importante cercare di capire quali siano stati i fattori che hanno portato gli Stati Uniti ad annunciare questa sospensione. L’amministrazione statunitense sembrava a suo agio con la flessione dei mercati azionari, me le ripercussioni sul mercato del Tesoro sono state preoccupanti e si sono combinate con un ulteriore crollo del dollaro. I problemi del Tesoro sembrano avere natura tecnica, in quanto gli hedge fund hanno rapidamente liquidato le posizioni in un contesto di maggiore volatilità. Già a gennaio, infatti, i rendimenti dei decennali del Tesoro statunitensi erano più alti, ma la velocità del movimento della scorsa settimana ha fatto suonare un campanello d’allarme. La perdita di fiducia negli Stati Uniti si è riflessa in un dollaro più debole e sembra che si stia verificando una sorta di cambio di regime, nel senso che Treasury e dollaro, tradizionalmente percepiti come beni rifugio non sono più considerati tali, data l’imprevedibilità dell’attuale politica governativa statunitense. Gli investitori hanno cercato alternative e, nonostante le prospettive di un regime fiscale meno rigido, i titoli di Stato tedeschi hanno registrato performance particolarmente positive, mentre il prezzo dell’oro ha raggiunto nuovi massimi storici.

Non sembra emergere alcun cambiamento sostanziale nell’impostazione ideologica dello stampo protezionistico adottata dagli Stati Uniti; tuttavia, i Paesi coinvolti possono cogliere l’opportunità offerta da questa finestra di 90 giorni per l’inizio delle trattative. Lo strumento di negoziazione più ovvio a loro disposizione è rappresentato dalla promessa di aumentare gli acquisti di beni statunitensi, una tattica che si era già rivelata efficace per la Cina durante la precedente amministrazione Trump, quando fu possibile concludere un accordo commerciale senza che si verificasse, di fatto, un incremento significativo delle trattative dagli Stati Uniti.

Nel fine settimana è emerso che saranno previste alcune esenzioni, tra cui quelle relative a cellulari, apparecchiature per la produzione di chip e determinati modelli di computer, prodotti che rappresentano circa il 20% del totale delle nazioni statunitensi dalla Cina. Si tratta, in prima battuta, di una notizia positiva nel breve termine per aziende come Apple, che producono circa l’80% dei propri iPhone in Cina; tuttavia, è plausibile considerare questa apertura come una tregua temporanea, dal momento che la Casa Bianca ha già dichiarato l’intenzione di includere tali prodotti in un futuro pacchetto di tariffe sui semiconduttori, il cui annuncio è atteso nei prossimi mesi.

Rimane quindi improbabile che la fase di volatilità sia giunta al termine, poiché rimangono all’orizzonte diversi elementi di rischio per i mercati azionari; l’instabilità continuerà a caratterizzare l’andamento degli scambi, come evidenziato dalla rapida transizione dal senso di sicurezza all’ansia che ha caratterizzato gli ultimi dieci giorni.

La situazione che attualmente ci troviamo ad affrontare è che le due principali superpotenze economiche mondiali non stanno praticamente commerciando tra loro, mentre il resto del mondo si trova ad affrontare almeno 90 giorni di incertezza. Questi fattori incidono negativamente sul sentiment dei consumatori e sulla fiducia delle imprese, con il rischio concreto di un rinvio nelle decisioni di spesa e investimento, il che, a sua volta, potrebbe avere un impatto sfavorevole sulla dinamica della crescita economica, almeno fino a quando non emergeranno segnali di maggiore chiarezza.

Nel corso dei prossimi giorni avviare la nuova stagione dei trimestrali, un momento che dovrebbe offrire indicazioni più dettagliate sugli effetti concreti del contesto attuale, poiché le imprese stanno valutando l’impatto delle misure tariffarie e rilasciando proiezioni sull’andamento futuro, pur muovendosi all’interno di un contesto fortemente incerto. Appare evidente che esistano rischi al ribasso sia per la crescita economica sia per gli utili, ma risulta estremamente complesso quantificare tali rischi nelle stime previsionali, a causa dell’elevata incertezza politica. Indipendentemente dalle scelte in materia tariffaria, è la stessa incertezza protratta a rappresentare un freno per la crescita economica globale.

Un aspetto positivo è che, al momento, conosciamo il limite massimo delle tariffe. Inoltre, esiste un confine oltre il quale questa amministrazione non potrà sostenere ulteriori pressioni. Eventuali forti turbolenze nei mercati finanziari, come quelle registrate la scorsa settimana, potrebbero costringere l’amministrazione Trump a rivedere la propria strategia. Per i partner commerciali degli Stati Uniti, il percorso di minore resistenza risiede nel negoziare apertamente piuttosto che rispondere con misure di ritorsione.

Mentre le posizioni di Stati Uniti e Cina si stanno consolidando, altri Paesi hanno l’opportunità di tentare di limitare l’impatto, principalmente attraverso negoziati diretti con gli Stati Uniti e/o cercando di attenuare le conseguenze interne con interventi fiscali mirati.

Riassumendo, ci troviamo in una situazione più complessa di quanto inizialmente previsto riguardo al regime tariffario. Anche nel caso in cui le tariffe reciproche vengono negoziate a livelli inferiori, è probabile che ci si troverà ad affrontare una tariffa globale pari al 10%, oltre a imposte specifiche su settori come quello automobilistico. Le tariffe relative ai prodotti farmaceutici e ai semiconduttori devono ancora essere annunciate. Anche se il tasso effettivo dei dazi statunitensi sarà probabilmente inferiore al 20-25% ipotizzato la scorsa settimana, rimarrà comunque significativamente più alto rispetto al 10% inizialmente previsto. Considerando che l’anno scorso il tasso era solo del 2,5%, si tratta di un aumento considerevole. Per fare un paragone, tra il 1970 e il 2025 non si è mai registrato un incremento superiore all’1% in un singolo anno. Si tratta quindi di un ostacolo significativo per il commercio internazionale e potenziale per la crescita economica globale.