L’Italia di Meloni s’inchina a Erdogan: così tace sull’arresto di Imamoglu e sulle proteste dei giovani
di Furio Durando I 35 miliardi di euro in affari che Erdoğan e Meloni hanno concordato, fra intese per bloccare i migranti, tiepidi impegni a fermare il genocidio a Gaza e ovvietà sulla pace in Ucraina hanno un prezzo: quanto accaduto da quando il 19 marzo è stato arrestato Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul e […] L'articolo L’Italia di Meloni s’inchina a Erdogan: così tace sull’arresto di Imamoglu e sulle proteste dei giovani proviene da Il Fatto Quotidiano.

di Furio Durando
I 35 miliardi di euro in affari che Erdoğan e Meloni hanno concordato, fra intese per bloccare i migranti, tiepidi impegni a fermare il genocidio a Gaza e ovvietà sulla pace in Ucraina hanno un prezzo: quanto accaduto da quando il 19 marzo è stato arrestato Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul e candidato del partito d’opposizione alle prossime elezioni presidenziali, va ignorato.
L’italica realpolitik di basso profilo è ormai comune alla subcultura cinica e nichilista delle destre e agli evaporati internazionalismo e senso etico di una sinistra affetta da un ipercorrettismo politico che non sa più distinguere il bene dal male e il vero dal falso: e basterebbe leggessero gli articoli di Limes, ogni tanto.
Tra i ruggiti della papessa della Garbatella e i belati oratoriali della Schlein non v’è traccia di quanto sta sconvolgendo la Turchia dell’Islam politico del “sultano” Erdoğan dopo decenni di crescenti disuguaglianze, ingiustizia e illegalità sotto la sua presidenza.
L’arresto e l’ingiusta detenzione di İmamoğlu, al quale era già stata illegalmente annullata la laurea in economia conseguita a Istanbul nel 1994 per non permettergli di candidarsi alle prossime presidenziali, hanno scatenato immediate proteste: dapprima sono insorti gli studenti universitari, poi milioni di cittadini scesi in piazza in tutto il Paese per difendere la democrazia, le libertà civili e le conquiste sociali sistematicamente minacciate.
Ciò che i media italiani mainstream e allineati col governo o di esso timorosi non hanno raccontato, se non molto superficialmente e ai consueti orari per nottambuli e insonni, è che la polizia e le forze di sicurezza statali hanno risposto a tali proteste reprimendo con violenza il diritto di manifestazione costituzionalmente garantito al popolo.
La testimonianza di Leyla Kanca, 31enne dottoranda in giornalismo e comunicazione all’Università di Istanbul, brillante studiosa di storia politica e sociale contemporanea e attivista dell’opposizione, racconta che: “con l’accusa di reati inesistenti sono state arrestate in tutta la Turchia ben 1418 persone, col risultato di trasformare le già sovraffollate carceri in gabbie disumane nelle quali non c’è più posto per i criminali comuni. Un Paese che pretende di essere uno Stato di diritto imprigiona e detiene persone innocenti solo perché si sono opposte alla volontà di un autocrate”.
La repressione non ha preso di mira solo i politici dell’opposizione, ma ha travolto anche studenti, giornalisti, accademici e comuni cittadini. Le libertà di pensiero ed espressione e il diritto alla protesta pacifica sono stati sistematicamente violati.
“In questi giorni, ormai – aggiunge la studiosa – non sono più i giudici a condurre i processi: sono i politici ad emettere le condanne e stabilire le pene. Le manette messe a İmamoğlu sono idealmente ai polsi di altri 16 milioni di abitanti, solo per parlare di Istanbul, e materialmente sono state imposte senza alcuna legittimità anche agli avvocati del detenuto”. L’illegalità e l’ingiustizia nella Turchia del XXI secolo somigliano a quelle delle più oscure età passate: un giovane può essere arrestato per aver semplicemente detto “voglio giustizia”.
Conclude la dr. Kanca: “In vita mia non ho mai visto regnare felicità, libertà e giustizia in Turchia. Il proverbio ‘Ringrazia, potrebbe andar peggio!’, che ognuno qui fin da bambino si è sentito ripetere dai familiari, vuole ancor oggi insegnarci ad accontentarci, a farci gli affari nostri e a tacere. Sarà la mia generazione a lottare democraticamente per rimettere le cose a posto: noi, i giovani sfruttati nel lavoro, senza diritti né giustizia sotto l’Islam politico, abbiamo esaurito la pazienza, e se la vera giustizia, la libertà e l’uguaglianza saranno ripristinate in questo Paese sarà grazie a noi. Il vero cambiamento nasce da chi osa alzare la voce, nel segno della coraggiosa visione laica dello Stato che dobbiamo ad Atatürk. Da qui dobbiamo ripartire”.
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