L’immaginario marxismo-gentilismo di Gramsci

Il dilettantistico revisionismo storico L’idea di passare la Pasqua in biblioteca non mi metteva esattamente il sorriso, ma l’atmosfera uggiosa e grigia sembrava perfetta per concentrarsi e lasciarsi andare a qualche […]

Apr 24, 2025 - 10:18
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L’immaginario marxismo-gentilismo di Gramsci

Il dilettantistico revisionismo storico

L’idea di passare la Pasqua in biblioteca non mi metteva esattamente il sorriso, ma l’atmosfera uggiosa e grigia sembrava perfetta per concentrarsi e lasciarsi andare a qualche dilettantistica riflessione mistica sul mistero della resurrezione e sul suo significato culturale. Mi è infatti tornata alla mente la definizione che Hegel dà della forma nella parte sulla Religione, e in particolare sulla religione artistica o estetica, nella Fenomenologia dello Spirito: “Questa forma è la notte in cui la sostanza fu tradita, e si fece soggetto” [1].

Sorvolando sul significato che assume nel contesto dell’opera hegeliana, questa evocativa citazione ha appagato, almeno per il momento, la mia voglia di sacro, data dalla mancanza di un pranzo come si deve in Sardegna. Ma ancora non sapevo che quella citazione avrebbe assunto un significato del tutto peculiare in quella strana giornata. 

A farmi ripiombare nello sconforto è stato poi infatti il quotidiano Libero, che nel numero del 19 aprile, ha ospitato, a pagina 25, una riflessione (anche se chiamarla così è già fare un complimento) di Claudio Siniscalchi, già docente di Storia e teoria del cinema all’Università Pontificia Salesiana. Nell’articolo si celebra il centesimo anniversario della pubblicazione, avvenuta il 21 aprile 1925, del Manifesto degli intellettuali fascisti agli intellettuali di tutte le nazioni curato dal filosofo, al tempo ex Ministro della Pubblica istruzione e senatore, Giovanni Gentile. In quel momento – come ricorda il nostro autore con una raffinatezza sconfinata – Mussolini “si era lasciato alle spalle la lunga crisi determinata dal ‘delitto Matteotti’” e si apprestava a varare le Leggi Fascistissime e a costruire il totalitarismo. Allo stesso modo, Giovanni Gentile, che, con grande magnanimità, aveva deciso, nel 1924, di dimettersi da Ministro “per tamponare le difficoltà suscitate dal ‘delitto Matteotti’”, si apprestava a diventare col Manifesto, con la guida dell’Istituto di cultura Fascista e con il varo dell’Enciclopedia italiana “il punto di riferimento della cultura fascista”.

Siniscalchi, però, non si limita a rendere onore e gloria al fascismo, usando l’infame delitto Matteotti, orchestrato e realizzato dai fascisti con il benestare del loro eroico capo, come semplice fatto euristico utilizzato per giustificare l’instaurazione del regime. Il nostro autore rincara la dose e afferma che il Manifesto degli intellettuali fascisti  è anche la fonte più limpida dei concetti di “egemonia culturale” (sic) e di “intellettuale organico” elaborati da Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere. Che, come si evince dal titolo dato ai suoi scritti dai curatori, sono stati redatti nelle carceri fasciste, dove l’intellettuale comunista scontava la sua pena di detenuto politico e dove – sarà utile rammentare al nostro autore – ha perso la vita a causa delle condizioni in cui era costretto a vivere. 

Naturalmente, tutto ciò è stato affermato senza uno straccio di argomentazione e riferimento filologico, ma adducendo semplicemente il fatto che la grande opera di Gentile era stata quella di attirare fior fiore di intellettuali, come Pirandello e Ungaretti, per citare due tra i più noti, e dimostrare che fascismo e cultura non erano concetti contraddittori. Con ciò il nostro ha dimostrato, con metodo scientifico, che il concetto di “egemonia culturale”, peraltro mai usato in questi termini da Gramsci, è stato concepito per primo dal filosofo attualista. Il quale era stato anche redarguito da Benedetto Croce che, indispettito dalla pubblicazione del Manifesto, poteva “tollerare un governo fascista. Poteva chiudere gli occhi anche sull’uso della forza. Non poteva tollerare un ‘governo della cultura fascista’”. Don Benedetto, accecato dall’invidia, non ha colto ciò che il grande Siniscalchi ha invece afferrato in maniera brillante sulle colonne di Libero, e cioè il famigerato concetto di egemonia culturale, che significa, come si deduce dalle sue parole, nient’altro che “nazionalizzazione della cultura”. 

Si può finalmente capire l’enigmatica affermazione che si trova nella chiosa finale dell’articolo. Qui si afferma che nel dopoguerra Croce, colpito umanamente dalla morte violenta di Gentile ad opera dei partigiani del GAP, avrebbe finalmente compreso il concetto di egemonia culturale, ritenendo egli stesso di essere la guida morale della nuova Italia. Ma Croce “non poteva sapere che la sua ‘religione della libertà’ sarebbe stata soppiantata da un’«egemonia culturale» di segno opposto”. Quindi, deduciamo dalle parole del Maestro, che Croce in realtà conosceva il concetto di egemonia culturale già nel 1932, quando fu pubblicato Storia d’Europa nel secolo decimonono, libro nel quale fu coniato il concetto di religione della libertà. Ma sappiamo anche che, poiché egemonia culturale significa essenzialmente “nazionalizzazione della cultura”, Croce non riesce a cogliere le sottili sfumature del concetto gentiliano. Come si poteva pretendere infatti, afferma Siniscalchi con un autentico colpo di genio, che una religione della libertà potesse nazionalizzare la cultura che aveva “dimostrato un’endemica debolezza alla politicizzazione” (forse il nostro autore voleva dire ritrosia, ma anche i più grandi sbagliano). 

E allora eccoci al gran final, al grande scacco matto. A soppiantare l’egemonia crociana è stata quella che hanno esercitato gli scritti di Antonio Gramsci, definito “marxista-gentiliano”. Finalmente, il nostro autore smaschera il vero volto della Repubblica Italiana: il marxismo-gentilismo gramsciano. Infatti, alla “salvifica e redentrice fonte gramsciana, era pronta ad abbeverarsi una frotta di intellettuali un tempo fascisti, ora antifascisti, perlopiù comunisti, alcuni convintamente stalinisti”.

Dobbiamo essere tutti grati al grande Siniscalchi per questa generosa lezione. Finalmente abbiamo capito che il vero fascismo non è il fascismo, ma è il comunismo. Finalmente sappiamo che Matteotti si è fatto uccidere per fare un dispetto al generoso Mussolini e costringerlo a instaurare un regime totalitario e dittatoriale. Sappiamo inoltre che Gentile è stato costretto a scrivere il Manifesto degli intellettuali fascisti perché gli intellettuali antifascisti invidiosi e rosiconi sbeffeggiavano il fascismo definendolo rozzo e allergico alla cultura. Infine siamo ora consapevoli che Gramsci si è fatto arrestare perché così avrebbe potuto studiare meglio il Manifesto (non quello di Marx) e coniare finalmente il concetto di egemonia culturale.

Il fascismo, nella visione di Siniscalchi, è stato costretto a diventare regime totalitario da Matteotti e a nazionalizzare la cultura dagli invidiosi. Il marxismo-gentilismo gramsciano ne è stato l’erede, ma ha ereditato solo la parte totalitaria e violenta, ignorando quella ancora vitale e progressiva. Ora gli intellettuali della nuova destra, capeggiati dal nostro intrepido autore, possono finalmente riscrivere la storia politica e della cultura italiana e riscattare la patria umiliata da decenni di totalitarismo comunista. Peccato che, visti i risultati, tutto questo agitarsi dei grandi spiriti servirà soltanto a farsi belli davanti al caro vecchio padrone americano e a piazzare un po’ di gente in posizioni di potere e di rendita. 

Risparmio, infine, al lettore lo spiegone sulla citazione iniziale di Hegel. Dovremmo infatti, almeno per Pasqua, evitare di mischiare il sacro al profano e tornare a prendere le cose con un po’ più di serietà.


[1]  F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. it. e cura di G. Garelli, Einaudi, Torino 2008, p. 462.