L’eredità di Papa Francesco ai lavoratori, tra dignità e giustizia sociale
Il lavoro secondo il Pontefice e alcuni punti chiave del suo pensiero, come atto di memoria ma anche e soprattutto come invito a trasformare il lutto in impegno sociale

Con la scomparsa di Papa Francesco lo scorso lunedì 21 aprile, si chiude un capitolo intenso e coraggioso della storia del Vaticano, segnato da un’attenzione costante verso le sfide sociali e dalla volontà di riformare la Chiesa nel suo complesso, per adeguarla al nostro tempo. Nel magistero del Pontefice il lavoro ha trovato un posto centrale: per Jorge Mario Bergoglio l’occupazione non è mai stata soltanto una questione economica o produttiva, ma in primis una questione di dignità, giustizia e umanità.
Le parole utilizzate dal Papa per parlare di lavoro, nei suoi dodici anni di percorso alla guida del mondo cristiano, rimangono impresse nella memoria e sono tanto più importanti in un periodo come quello odierno, caratterizzato da forti tensioni sociali, lotta per i diritti delle minoranze, emigrazione di massa, aumento della povertà e guerre che minacciano il mondo.
Ricordiamo allora i principali messaggi che il Pontefice ha lasciato a tutti, credenti e non credenti – una sorta di eredità che invita a riflettere sulle sfide del nostro tempo e sulle possibili soluzioni.
Il lavoro dà dignità, non il denaro
Dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha ribadito con forza che il lavoro dà dignità, non il denaro. Con parole semplici ma potenti, ha scardinato la logica dominante del profitto come fine ultimo, ricordando che un’economia giusta si misura sulla sua capacità di offrire lavoro a tutti, e non sul solo aumento del Pil.
La disoccupazione che affligge pesantemente vari Paesi europei e del mondo è la conseguenza, spiegava Francesco, di un sistema economico che non è più capace di creare posti di lavoro, che crea scarti e genera disoccupazione perché ha messo al centro un idolo, che si chiama denaro.
Nei suoi interventi e negli incontri con la gente, il Papa ha parlato spesso della sofferenza di chi è senza occupazione e stipendio e del peso che grava su intere famiglie, private della possibilità di costruire un futuro sereno.
La dimensione etica del lavoro
Il datore di lavoro virtuoso e che ha cuore il bene dei suoi dipendenti sa dirigere, ma anche saper ascoltare, condividendo progetti e idee con umiltà e fiducia. Questo è l’imprenditore vero creatore di valore per la propria azienda e per gli altri, colui che, partendo dalla comunità in cui vive e lavora, dà il buon esempio agli altri e mette al primo posto l’attenzione alla persona concreta e ai suoi bisogni.
Il Papa ha spesso parlato di quanto sia importante lavorare insieme, sinergicamente, per costruire il bene comune e un nuovo umanesimo del lavoro, garantendo un’occupazione rispettosa dei diritti, delle libertà e della dignità delle persone, nella consapevolezza che il bene delle persone e il bene dell’azienda vanno di pari passo.
Una sana economia, notava il Papa, non è mai scollegata dal significato di ciò che si produce e l’agire economico è sempre anche un fatto etico. Secondo il Pontefice vanno tenute unite azioni e responsabilità, giustizia e profitto, produzione di ricchezza e la sua ridistribuzione, operatività e rispetto dell’ambiente, perché nel corso del tempo diventano elementi che garantiscono e proteggono la vita dell’azienda e il benessere di chi ci lavora.
L’alleanza educativa
In un rapporto virtuoso che lega datori e dipendenti, il lavoro crea altro lavoro, la responsabilità crei altra responsabilità, la speranza crei altra speranza. Il riferimento che spesso ha fatto Papa Francesco è stato quello alle giovani generazioni, che oggi più che mai hanno bisogno di certezze e di risposte concrete sul fronte occupazionale.
Anzi tra i temi più ricorrenti nelle sue analisi compare il futuro dei giovani, frequentemente obbligati ad accettare impieghi precari o a emigrare all’estero alla ricerca di miglior fortuna. Francesco ha definito la disoccupazione giovanile una ferita aperta per le nostre società. Ecco perché il Pontefice ha lanciato appelli per un’alleanza educativa e lavorativa che aiuti i giovani a inserirsi nel mondo del lavoro, senza rinunciare ai propri sogni e valori.
Tale alleanza comporta la partecipazione e la collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti nella crescita e maturazione dei giovani, ossia anzitutto famiglie, ma anche scuole, comunità e spazi di ritrovo, per creare un buon ambiente per l’apprendimento e la formazione integrale. Un’alleanza, ha sintetizzato Papa Francesco, fondamentale per affrontare le sfide educative del nostro tempo e per costruire un futuro più giusto per le nuove generazioni.
Il lavoro nero è peccato mortale
Nel corso degli anni, il Pontefice ha più volte puntato il dito contro lo sfruttamento del lavoro, in particolare quello irregolare. Disse in un’occasione, suscitando reazioni forti anche in ambito politico:
Sfruttare le persone con contratti precari o in nero è peccato mortale.
Per il Papa, non era solo questione di regole, ma di etica perché senza giustizia nel lavoro, non può esserci vera pace sociale. In un’omelia mattutina a Santa Marta, Francesco spiegò che
chi accumula ricchezze con sfruttamento, lavoro in nero, contratti ingiusti, è una sanguisuga che rende schiava la gente.
Ecco perché ha denunciato le condizioni di tanti lavoratori invisibili – braccianti, colf, rider – e ha dato voce a quelle categorie spesso ignorate dal dibattito pubblico. Non si è tirato indietro nel chiedere ai datori di lavoro, alle istituzioni e ai governi una responsabilità più grande nella tutela di chi lavora.
Integrazione e sistemazione dignitosa
In riferimento al lavoro, non potevano mancare parole sui migranti, ai quali il Pontefice ha raccomandato il rispetto della cultura e delle leggi del Paese che li accoglie
per mettere così in campo congiuntamente un percorso di integrazione e per superare tutte le paure e le inquietudini. E favorire così le occasioni lavorative.
Nella volontà di lottare con fermezza contro i traffici illeciti, si può ricevere un certo numero di persone, spiegava, senza trascurare la possibilità di integrarle, sistemarle in modo dignitoso e darle un’occupazione rispettosa dei diritti umani.
Concludendo, il messaggio sociale di Papa Francesco, che ha radici profonde nella dottrina sociale della Chiesa, ha quindi saputo parlare anche ai non credenti. È un linguaggio diretto e concreto che ha fatto breccia nel cuore dei lavoratori, sindacalisti, imprenditori etici e semplici cittadini. E, in un tempo segnato da diseguaglianze crescenti, il Pontefice ha ricordato che il lavoro non è merce, ma vocazione e servizio. Nell’attesa dei funerali e del successivo Conclave, sono parole che oggi suonano come testamento morale di un papato profondamente umano e attento alla realtà concreta.