Leggi speciali e ritocchi alla supply chain per limare l’effetto dazi
Scambi commerciali. L’analisi della legislazione degli Stati Uniti e della Ue consente margini di manovra. Sotto esame anche fornitori e canali di sbocco L’escalation tariffaria internazionale (o meglio, il rally delle misure tariffarie) e il quadro di incertezza che ne sta derivando per le imprese suggerisce di analizzare con molta attenzione tutti i mezzi utili […] L'articolo Leggi speciali e ritocchi alla supply chain per limare l’effetto dazi proviene da Iusletter.

Scambi commerciali. L’analisi della legislazione degli Stati Uniti e della Ue consente margini di manovra. Sotto esame anche fornitori e canali di sbocco
L’escalation tariffaria internazionale (o meglio, il rally delle misure tariffarie) e il quadro di incertezza che ne sta derivando per le imprese suggerisce di analizzare con molta attenzione tutti i mezzi utili a mitigare, anche nel breve periodo, l’impatto delle accresciute misure tariffarie statunitensi. Si tratta di strumenti che possono essere categorizzati su tre direttrici:
rimedi legislativi previsti dalla legislazione Usa (utili a ridurre la base imponibile sulla quale calcolare il dazio);
regimi doganali speciali previsti dalla normativa doganale unionale (utili a ridurre i costi e conseguentemente il prezzo di uscita delle merci dalla Ue);
ottimizzazione degli schemi contrattuali e della supply chain internazionale delle imprese.
1
FIRST SALE RULE
La prima vendita
della catena
La fattispecie della first sale rule è applicabile ai casi (numerosi) di transazioni commerciali internazionali che prevedono una o più rivendite a fronte di un unico spostamento di beni verso gli Stati Uniti, di modo che l’operazione, concordata con la Customs and boarder protection (Cbp) che deve preventivamente approvarla con apposita procedura di ruling, sia sin dall’inizio strutturata, organizzata e finalizzata all’esportazione verso gli Usa. In tali circostanze la regola consente di applicare i dazi doganali di importazione vigenti in Usa sul valore della prima vendita della catena e non su quello dell’ultima transazione effettuata nei confronti dell’importatore statunitense (come accadrebbe di norma). Si tratta di un’agevolazione prevista dalla legislazione statunitense che può essere concessa nel rispetto di determinate condizioni e deve essere supportata da idonea documentazione contrattuale.
Facciamo un esempio: azienda produttrice italiana vende ad azienda commerciale italiana (transazione n. 1) che vende a cliente Usa (transazione n. 2); ai fini della determinazione del valore in dogana, può essere richiesta l’applicazione dei dazi doganali sulla transazione n. 1. In pratica, attraverso l’applicazione della regola abbattiamo la base imponibile su cui si applicano i dazi e quindi riducono l’impatto degli stessi sull’importatore.
2
L’ABBATTIMENTO
Le parti made in Usa
oltre il 20% del valore
Il prodotto esportato negli Stati Uniti potrebbe contenere al suo interno componentistica di origine Usa, circostanza questa piuttosto probabile soprattutto per taluni comparti industriali contraddistinti da una global value chain particolarmente frammentata. Al riguardo può essere consentito, alle condizioni stabilite dal Cbp, che ai fini della determinazione della base imponibile per l’applicazione dei maggiori dazi in Usa dal valore del prodotto esportato da Ue possa essere detratto quello della componente Usa, a condizione che questo sia almeno pari al 20% del valore del prodotto esportato e purché sussistano condizioni di tracciabilità e riconoscibilità della componentistica Usa.
Anche qui può essere utile un esempio. Azienda italiana esporta in Usa una macchina utensile prodotta in Italia (valore 200miadollari statunitensi) all’interno della quale sono incorporati due componenti made in Usa acquistati da fornitori statunitensi (valore 50mila dollari statunitensi pari al 25% del valore dell’impianto).
Se l’esportatore è in grado di documentare opportunamente l’origine statunitense dei componenti (lavorazione sostanziale effettuata in Usa), l’importatore Usa può chiedere al Cbp l’applicazione dei maggiori dazi su un valore di 150mila dollari statunitensi, riducendo sensibilmente il carico daziario all’importazione.
3
I MARGINI DI AZIONE
I regimi
doganali speciali
La mitigazione dell’impatto daziario in Usa può essere ricercata anche attraverso una riduzione dei costi sostenuti nell’Unione europea, finalizzata alla possibilità di praticare prezzi più bassi all’esportazione. In tal senso i regimi speciali disciplinati dal Codice doganale dell’Unione (Cdu), prevedono efficaci strumenti di governance dei costi legati agli aspetti tariffari; si richiama a mero titolo di esempio un regime in particolare, il perfezionamento attivo (Inward processing relief, Ipr), e se ne delineano sinteticamente gli effetti con riguardo a una esportazione verso gli Usa attraverso un esempio (si evidenzia che il regime in questione è soggetto a specifica autorizzazione ed alla costituzione di idonea garanzia).
Vediamo l’esempio. Azienda italiana importa da Paesi terzi (ad esempio, Cina) materie prime e componenti intermedi da utilizzare per la produzione di un apparecchio meccanico che a sua volta dovrà essere esportato negli Usa; attraverso il ricorso al regime del perfezionamento attivo (Ipr) l’azienda può richiedere autorizzazione a introdurre nel territorio dell’Ue i componenti esteri da sottoporre a lavorazione senza il pagamento dei dazi doganali e degli altri tributi altrimenti previsti, così riducendo i costi di produzione del bene da esportare. Il vero beneficio, allo stato attuale, se le materie prime e i semicomponenti utilizzati hanno origine cinese, si ottiene nel caso in cui le lavorazioni effettuate attribuiscono al bene finito l’origine europea, potendo evitare i dazi cinesi e sfruttando la tassazione europea. Va infatti ricordato che il meccanismo di applicazione di dazi dipende dall’origine dei beni e non dalla loro provenienza.
4
CLAUSOLE CONTRATTUALI
I costi a carico
del venditore
Il dazio doganale incombe di norma sull’importatore il quale è chiamato al pagamento del tributo in dogana al fine di poter immettere il bene in consumo nel proprio paese e ne sopporta dunque il carico economico.
Vi possono tuttavia essere dei casi in cui il venditore (ad esempio, esportatore italiano) decida di farsi carico dell’intera fase dei costi connessi alla spedizione del bene (ivi compresi gli oneri doganali di ingresso in Usa); la formazione del prezzo deve in tal caso tener conto di una serie di fattori di costo talvolta molto difficili da determinare.
Gli Incoterms 2020 così come codificati dall’International chamber of commerce prevedono al riguardo una particolare condizione di resa (Ddp, Delivererd duty paid) che carica il venditore di tutti i costi e i rischi connessi alla spedizione del bene sino alla consegna del luogo convenuto nel paese del compratore e delle relative imposte dovute all’importazione.
La clausola in questione risulta particolarmente rischiosa se non mitigata adeguatamente all’interno del contratto, dal momento che un accresciuto livello di dazi doganali rispetto a quello stimato per la formazione del prezzo in fase di previsione contrattuale, graverebbe interamente sul venditore, pregiudicando gravemente la redditività dell’operazione.
È quindi opportuno costruire schemi contrattuali che non carichino il venditore di oneri oggettivamente non quantificabili, anche nel breve periodo. Le cautele e gli adeguati rimedi da inserire nel contratto di compravendita internazionale assumono dunque una rilevanza cruciale in un momento di così forte turbolenza tariffaria.
5
NEL MEDIO PERIODO
La revisione
della supply chain
Senza arrivare a modificare le fonti di approvvigionamento o i mercati di sbocco (misure possibili solo in un medio periodo e con una situazione più stabile) potrebbe risultare molto importante rivedere la propria supply chain per ridurre alcune voci che concorrono alla formazione della base imponibile ovvero che definiscano meglio il flusso dei beni e la relativa fatturazione.
Se vogliamo fare un esempio (che non esaurisce le possibilità di intervento sullo specifico tema), si immagini il caso in cui un operatore italiano vende dei beni a una società americana operante nel mercato statunitense. Potrebbe essere utile indagare dove il cliente vuole vendere i beni e modificare di conseguenza il flusso dei beni e la fatturazione degli stessi.
Infatti se il cliente vuole vendere, ad esempio, il bene in Corea del Sud, ma aveva l’abitudine di ricevere i beni negli Stati Uniti, potrebbe essere interessante vendere i beni allo stato estero e trasferirli direttamente nel Paese di destinazione (la Corea del Sud) potendo così ottenere due benefici: il primo di non pagare i dazi negli Stati Uniti e il secondo quello di sfruttare l’area di libero scambio tra Europa e Corea del Sud.
L'articolo Leggi speciali e ritocchi alla supply chain per limare l’effetto dazi proviene da Iusletter.