L’economista Fortis: Italia utile alla Ue “Gli Usa si sono saccheggiati da soli”

Il vicepresidente della Fondazione Edison: la missione della premier Meloni può aiutare von der Leyen. “Il modello capitalistico americano ha impoverito la pancia del Paese, che però ora vota Trump”

Apr 16, 2025 - 03:59
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L’economista Fortis: Italia utile alla Ue “Gli Usa si sono saccheggiati da soli”

Roma, 26 aprile 2025 – “La verità è che gli Usa si sono saccheggiati da soli – taglia corto Marco Fortis, economista e vicepresidente della Fondazione Edison, alla vigilia del viaggio di Giorgia Meloni negli Usa –. È stato il loro modello capitalistico a portare all’estero stabilimenti e produzioni, impoverendo la pancia dell’America, la stessa che oggi vota per Trump”.

L’economista Marco Fortis
MARCO FORTIS VICE PRESIDENTE FONDAZIONE EDISON

Cosa potrà fare la premier italiana per riportare il sereno nei rapporti fra Usa e Ue?

“Quello che ancora manca è il contatto ai massimi livelli. Il viaggio di Meloni potrebbe essere utile anche a Ursula von der Leyen, dal momento che, per i suoi buoni rapporti con Trump, è l’ambasciatrice ideale per portare la voce dell’Europa a Washington. Certo, se fra un caffè e l’altro riuscisse anche a spiegare che i nostri vini non danneggiano in alcun modo l’industria americana, non sarebbe certo un male. Ma, soprattutto, dovrà cercare di convincere Trump a non proseguire sulla strada della falsa narrativa secondo cui l’Europa avrebbe saccheggiato gli Stati Uniti”.

Non sarà facile…

“Sì. Ma ci sono i dati dalla parte dell’Europa. È vero che la bilancia commerciale presenta un surplus, ma la situazione è completamente diversa se analizziamo quella dei pagamenti. Nonostante continuiamo a esportare beni, abbiamo importato dagli Usa 148 miliardi di euro in servizi, soprattutto commerciali o legati ai diritti di proprietà intellettuale”.

E, allora, qual è la verità?

“Trump sta di fatto mettendo in discussione la storia del capitalismo Usa degli ultimi 25 anni. Un modello che ha cominciato a incrinarsi con la crisi dell’automotive, all’inizio degli anni Duemila, quando ha sofferto la concorrenza giapponese e coreana, mettendo in crisi i distretti industriali del Nord America. A quel punto, gli Usa si sono lanciati nell’hi-tech, nella new economy, mantenendo i cervelli in fabbrica, ma spostando la produzione in altri Paesi, a partire dalla Cina. Un modello che ha fatto crescere le diseguaglianze, non ha creato posti di lavoro, ha concentrato enormi profitti nelle mani di pochi, lacerando il tessuto sociale. Insomma, gli Usa si sono saccheggiati da soli”.

Come se ne esce?

“Facendo capire a Trump che l’Europa non è una minaccia per i posti di lavoro americani, perché fornisce beni che gli Stati Uniti non producono, come le auto tedesche o i prodotti del made in Italy: dalle Ferrari al Parmigiano Reggiano, fino ai prosciutti di Parma”.

L’Europa non farebbe bene ad aprire un dialogo con la Cina?

“Andiamoci piano. La Cina è un grande mercato, ma noi esportiamo più in Spagna. Se c’è qualcuno davvero saccheggiato nell’era della globalizzazione, sono i nostri distretti industriali, quando tedeschi e francesi hanno iniziato a comprare prodotti cinesi anziché italiani. Anche noi abbiamo vissuto lo stesso problema degli Usa, con la differenza che non ce la siamo cercata e abbiamo saputo reagire. Il made in Italy si è diversificato: ciò che ci ha portato via la globalizzazione lo abbiamo riconquistato, con gli interessi, senza puntare sul basso costo del lavoro ma su qualità e creatività”.

Non rischiamo di pagare un prezzo molto alto per i dazi?

“Il rischio di una recessione esiste. Trump sta giocando una partita di poker molto pericolosa, avendo in mano carte basse. Ma l’Italia ha ricevuto da Standard & Poor’s un riconoscimento per diversi fattori positivi. Abbiamo in portafoglio ordini di medio e lungo periodo. Inoltre, i nostri principali concorrenti sono i tedeschi, che hanno fabbriche in Cina potenzialmente esposte ai dazi Usa. Quindi, le nostre macchine industriali potrebbero diventare più competitive. Quando l’agenzia ha alzato il rating, ha riconosciuto la nostra capacità di resistere anche a una guerra dei dazi. Come abbiamo già fatto durante l’era Covid o della guerra in Ucraina”.