L’appello del rifugiato Majed Al-Shorbaji rimasto bloccato a Gaza: “Meloni, fammi tornare in Italia”
«Per favore signora Meloni». Majed Al-Shorbaji lancia il suo appello dalle macerie di Jabalya, nel nord di Gaza, distrutta da più di un anno di bombardamenti israeliani. «Non c’è niente qui. Non c’è luce, non c’è acqua. Per favore, voglio tornare e lavorare in Italia». Sullo sfondo di una città che non esiste più, mostra […]

«Per favore signora Meloni». Majed Al-Shorbaji lancia il suo appello dalle macerie di Jabalya, nel nord di Gaza, distrutta da più di un anno di bombardamenti israeliani. «Non c’è niente qui. Non c’è luce, non c’è acqua. Per favore, voglio tornare e lavorare in Italia». Sullo sfondo di una città che non esiste più, mostra la sua carta d’identità e il permesso di soggiorno, ottenute grazie allo status di rifugiato, che gli garantisce (o dovrebbe garantire) gli stessi diritti di un cittadino italiano. Con la moglie incinta, sta provando in tutti i modi a lasciare la Striscia su cui, dopo due mesi di tregua, è tornata a piovere la morte.
La storia di Majed
Majed ha 27 anni. È arrivato in Italia attraversando il Mediterraneo nel 2019, accolto dalla onlus CIAC, Centro immigrazione asilo e cooperazione, di Parma. Ottiene presto la protezione internazionale come apolide. Si trasferisce in provincia, a Fidenza, dove incomincia a lavorare come magazziniere nel settore della logistica del freddo. Ha ancora il suo stipendio, ma oggi non riesce ad usarlo: «Non riesco a prelevare dalla mia banca», continua mostrando il suo bancomat, «ce li ho i soldi, ma non posso comprare cibo».
Passa qualche anno sulla via Emilia, convinto di aver trovato qui il suo futuro: un lavoro con contratto a tempo indeterminato, una casa, una comunità. A settembre 2023, però, arriva una brutta notizia. Suo padre a Gaza ha avuto un attacco cardiaco, che lascia pesanti strascichi sulla sua salute. Majed, così, ritorna per assistere la famiglia in un momento difficile.
Poche settimane e arriva il 7 ottobre. L’attacco di Hamas verso i territori e i kibbutz israeliani intorno alla Striscia cambia tutto. Inizia subito la rappresaglia dello Stato ebraico: Gaza viene sigillata e le bombe iniziano a cadere incessantemente giorno e notte. L’ordine di evacuazione di massa dell’IDF li costringe a lasciare il campo profughi di Jabalya, dove è cresciuto, e a spostarsi a sud, iniziando l’inutile ricerca di una zona sicura. Per un periodo dormono in una scuola dell’UNRWA, l’agenzia ONU per i profughi palestinesi, ma presto anche questo rifugio viene assediato.
Si spostano attraverso sistemazioni di fortuna per settimane, provando a scappare dai bombardamenti, dai crampi della fame e dalla sete. Arrivano all’ospedale Al Shifa, il maggiore della Striscia, dove trovano riparo per un po’. Fortuna o lungimiranza, lo lasciano poco prima dell’assedio che fra marzo e aprile 2024 trasforma la struttura sanitaria in un enorme cimitero, tra fosse comuni e pazienti lasciati morire nei loro letti.
Nel mezzo della distruzione e del peregrinare per un riparo, Majed cerca di trovare da mangiare e bere per suo padre e gli altri suoi sette familiari. Racimola qualche soldo vendendo eSim, un sostituto virtuale delle normali schede Sim che permettono la connessione alla rete telefonica e internet.
Ma anche fra le macerie, ogni tanto nasce un fiore. Proprio nei mesi più duri della vita sua e di tutti i gazawi, conosce la sua attuale compagna, Lasim. Un amore che gli dà speranza ma alimenta l’urgenza di lasciare Gaza per provare a tornare in Italia. «Vedo ogni giorno persone che riescono ad uscire. Perché io no? Il consolato italiano dice che Israele non dà l’autorizzazione».
Gli sforzi per tornare in Italia
Mentre nel sud l’ospedale Nasser di Khan Younis è al collasso, i bombardamenti continuano a bersagliare prevalentemente il nord. A poche centinaia di metri da Majed viene colpita una scuola. Il fumo bianco si alza mentre qualcuno esclama: «Oh my God!».
«Saluto il sindaco di Fidenza. Grazie per quello che stai facendo». Majed si rivolge direttamente a Daniele Malvisi, sindaco della cittadina emiliana del Partito Democratico, che si è attivato da subito per provare a riportarlo in Italia. “Illustrissimo Signor Ministro, Le scrivo per chiedere il Suo diretto interessamento per un mio concittadino che sta vivendo i gravi pericoli di una ingiusta permanenza forzata in Palestina”, inizia la lettera inviata al capo della Farnesina Antonio Tajani il 20 febbraio 2025. Una missiva che non ha ancora trovato risposta. “Per quanti tentativi siano stati fatti dai funzionari del Suo Ministero, durante il conflitto Majed Al-Shorabji non è riuscito a ottenere il visto per tornare in Italia attraverso l’Egitto. Trovo inaccettabile che a distanza di 20 giorni dal cessate il fuoco, non sia ancora riuscito a ottenere i documenti necessari a lasciare la Palestina”, continua la lettera.
«La situazione è molto complessa, anche giuridicamente», aggiunge il sindaco Malvisi. «Per noi fidentini Majed è un concittadino in grave difficoltà. Per riuscire a riportarlo in Italia serve avviare ai più alti livelli un dialogo con le autorità israeliane, partendo dallo status di rifugiato politico che il nostro Paese gli ha riconosciuto». Per questo il comune sta provando a spingere parlamentari ed ex parlamentari emiliani del PD per arrivare più direttamente a Tajani.
Oltre alle istituzioni, anche tanti fidentini si sono mobilitati per il loro concittadino. Il CIAC, la onlus che per prima ha accolto Majed, ha scritto a lungo al consolato italiano a Gerusalemme, mentre Potere al Popolo Fidenza ha lanciato a fine febbraio una campagna per farlo nominare “assessore alla pace” e provare a smuovere la situazione.
Un’idea che sembra venire dalla vicina Parma, dove Daria Jacopozzi ha fra le sue deleghe, oltre alla partecipazione, i quartieri e i rapporti con il terzo settore, anche quella alla pace. Sarebbe difficile replicarla nella piccola Fidenza. In quanto comune di meno di 35 mila abitanti, la cittadina emiliana ha diritto ad una giunta di massimo sei componenti compreso il sindaco. Ogni assessore ha già molte competenze e sarebbe un problema spingere uno di questi alle dimissioni e perdere una figura importante nella gestione dei servizi. Impossibile anche concedergli una delega come privato cittadino: la normativa attuale non la consente per chi non ha la cittadinanza italiana.
Nel caos delle bombe e della nuova offensiva su terra dell’IDF, anche le informazioni si fanno precarie e fumose. «Mi hanno detto che stanno preparando due aerei che partiranno da Eilat-Ramon, a sud di Israele con cui faranno uscire tante persone verso Italia e Romania», racconta Majed di alcune voci. Il volo parte il 19 marzo, per arrivare a Milano Linate. A bordo ci sono 9 bambini palestinesi bisognosi di cure, per lo più terapie oncologiche, e i loro familiari. Per salvare questo cittadino di Fidenza e sua moglie Lasim servirà uno sforzo diplomatico in più. «Spero tanto che la situazione si sblocchi e di tornare in Italia al più presto», conclude stanco, «e di vivere in un posto sicuro».