L’analisi di Vespa: esercito europeo, le ambiguità dem

Schlein è più vicina a Guerini o a Conte?

Mar 8, 2025 - 08:13
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L’analisi di Vespa: esercito europeo, le ambiguità dem

Noi italiani siamo un popolo fantastico. Sondaggio di Alessandra Ghisleri per Porta a porta: abbiamo paura molto più del ragionevole di essere coinvolti in una guerra, ma non vogliamo assolutamente sentir parlare di riarmo. Eppure basta un minimo di memoria storica per rammentare che durante la Guerra Fredda (1945-1989), poi ripresa con Putin II, la pace è stata garantita dal fatto che Stati Uniti e Unione Sovietica (e oggi la Russia) avessero entrambi l’atomica. Nel 1981 il governo Spadolini accettò l’installazione a Comiso, in Sicilia, di 112 missili Cruise a testata nucleare come risposta ad altrettante armi sovietiche rivolte anche contro l’Italia. Nonostante la rivolta imponente del movimento pacifista (finanziato anche dall’Unione sovietica), nel 1984 il governo Craxi li rese operativi. Solo questo portò al disarmo bilanciato del 1987 e di fatto alla fine della Guerra Fredda. Si vis pacem, para bellum, se vuoi la pace, preparati alla guerra, dicevano i romani che se ne intendevano.

L’analisi di Vespa. Esercito europeo, le ambiguità dem
La leader del Pd Elly Schlein, 39 anni, siede sui banchi di Montecitorio

L’Italia è un Paese disarmato. Abbiamo poche migliaia di uomini dei corpi speciali che sono tra i migliori al mondo, ma non avremmo resistito cinque minuti a una invasione come quella russa in Ucraina. Abbiamo un esercito organizzato per la Protezione civile. Il nostro pacifismo, sposato perfino da un capo dello Stato ambiguo come Scalfaro, eliminò la sfilata del 2 giugno. La festa della Repubblica – con lo sfilamento dei reparti militari in quella che finalmente fu ripristinata come festività nazionale – dovette aspettare il 2000 e Carlo Azeglio Ciampi per tornare all’onor del mondo.

Nessuno è così pazzo da volere una guerra, ma se dopo il caso ucraino due Paesi neutrali come Svezia e Finlandia sono entrati di corsa nella Nato, se Paesi Nato di confine come la Polonia e i Baltici spendono cifre enormi per la difesa, è per diffidare Putin (che vuole tornare ai confini della Grande Madre Russia) dal mettersi grilli strani nella testa. Se molto prima dello stanziamento di 800 miliardi in quattro anni che Ursula von der Leyen formalizzerà nel Consiglio europeo del 20 marzo, il cancelliere Scholz ha messo sul piatto 100 miliardi di riarmo per recuperare un ritardo spaventoso e adesso vuole trasformare in decennale il piano quadriennale europeo per la difesa, se un uomo di sinistra-sinistra come il leader spagnolo Sanchez raddoppia gli stanziamenti nazionali per la difesa e approva il progetto europeo senza battere ciglio, forse è successo qualcosa. Non siamo sicuri che Elly Schlein la pensi allo stesso modo. Se sia più vicina agli ex ministri della Difesa del suo partito (Guerini e Pinotti) o a Giuseppe Conte per il quale anche un radar è latte tolto ai bambini.

Tutti vorremmo l’esercito europeo. Lo uccise nella culla Charles de Gaulle nel 1954 portando alle lacrime Alcide De Gasperi. Ma un esercito è l’arma di uno Stato: a chi risponderebbe senza unione politica europea? La sinistra obietta giustamente che le stesse divisioni che esistono al suo interno su un tema così decisivo si notano anche a destra dove Matteo Salvini è certamente più vicino alle posizioni di Conte che a quelle di Meloni e Tajani. Ma forse c’è una differenza. A sinistra la coalizione è da formare, nel centrodestra c’è. E fino a quando Salvini non metterà in crisi il governo (cosa di cui dubitiamo fortemente) la politica estera la determinano il presidente del Consiglio e il capo della Farnesina.