Laila Al Habash: “Un tè nel deserto mi ha insegnato la meraviglia”

Cantautrice dalla doppia anima, italiana e palestinese, Laila Al Habash, 26 anni, è una delle voci più fresche e originali della scena musicale indipendente. Ha iniziato a suonare e scrivere canzoni da giovanissima, subendo il fascino del passato: «M’incantavo davanti alla tv quando vedevo vecchi programmi che mostravano Raffaella Carrà o Mina, mi chiedevo perché non L'articolo Laila Al Habash: “Un tè nel deserto mi ha insegnato la meraviglia” sembra essere il primo su Dove Viaggi.

Mag 14, 2025 - 16:38
 0
Laila Al Habash: “Un tè nel deserto mi ha insegnato la meraviglia”

Cantautrice dalla doppia anima, italiana e palestinese, Laila Al Habash, 26 anni, è una delle voci più fresche e originali della scena musicale indipendente. Ha iniziato a suonare e scrivere canzoni da giovanissima, subendo il fascino del passato: «M’incantavo davanti alla tv quando vedevo vecchi programmi che mostravano Raffaella Carrà o Mina, mi chiedevo perché non ci fosse più quella cosa, l’eleganza, lo stile che avevano, ne sentivo la mancanza. Colorate, maestose, con voci regali».

Cresciuta a Monterotondo, vicino Roma, racconta di aver vissuto con la sensazione costante di essere in apnea: «Non c’erano stimoli per i miei occhi. Mi mancava un posto in cui sviluppare e coltivare la mia passione per la musica, non poter fare cose che mi elevassero». Da qualche anno ha scelto Milano come città d’adozione, preferendola a Roma, perché «è troppo bella, una bellezza insopportabile». Dove non solo ha trovato il giusto equilibrio «tra il bisogno di avere intorno quel pizzico di brutto che mi è familiare e quello di sentirmi accolta», ha anche capito che la dimensione di provincia, di apparente nulla che l’ha nutrita, l’ha resa la persona e l’artista che è. Il suo ultimo EP, Long Story Short, frutto di un periodo incredibile in cui ha affrontato un tour internazionale dall’Europa al Brasile ed è stata scelta per aprire il concerto dei Coldplay a Napoli, è un pop fluido, raffinato e ironico, ricco di influenze. Un ponte tra epoche e culture diverse.

Pensi che avere una doppia identità, mamma italiana, papà palestinese, abbia influenzato il tuo percorso personale e artistico?
«Per tanto tempo non ho dato troppa importanza alla cosa, le culture di mamma e papà si sono armonizzate perfettamente. Dopo il 7 ottobre però ho dovuto cominciare a farci i conti, a dialogare con questa parte di me. Sono nata e cresciuta in Italia, non parlo arabo, mio padre non me lo ha insegnato. Credo che per molti palestinesi profughi l’eredità sia una ferita troppo dolorosa da trasmettere ai figli. Ho realizzato cosa significa essere figlia di una persona che non ha uno Stato. Quel sentirsi sempre un po’ apolide, fuori posto… Nel mondo ci sono tanti come me, “palestinesi diluiti”, che non hanno nemmeno la possibilità di visitare il Paese d’origine».

Quindi non sei mai stata in Palestina?
«Sono andata spesso in Giordania, un paese che ha accolto molti profughi, dove vive parte della mia famiglia, ma in Palestina ci sono stata solo una volta da piccolissima. Non ci sono più tornata a causa dell’occupazione militare, se hai origini palestinesi può essere molto travagliato entrare. Non ho ricordi ma tante storie di Nablus, la città di mio padre, e della fabbrica di saponi che avevano i miei nonni. Spero un giorno di poterle vedere con i miei occhi».

In Mystic Motel, il tuo secondo disco, hai citato il deserto del Wadi Rum in Giordania. Lo hai mai visto?
«Vado spesso in Giordania a trovare i miei parenti e il Wadi Rum è uno dei miei posti del cuore, insieme a Jerash e Petra. Capivo già da bambina quanto fossero speciali questi luoghi, pieni di poesia. Ricordo in particolare un tramonto nel deserto, ci fermammo con l’auto, scendemmo estasiati e mio padre preparò un tè, che sorseggiammo tra le rocce dai colori incredibili, mai visti. Mi ha lasciato la consapevolezza che da qualche parte nel mondo ci sarà sempre qualcosa di meraviglioso che ti può sorprendere. Anche quando non c’è uno sguardo umano a coglierlo. Mi piace questa idea che la natura se ne freghi di noi e faccia cose spettacolari anche quando nessuno la guarda. La natura vive da più tempo di noi, è più sapiente e osservarla ci permette di imparare molte cose».

Layla Al Habash
Nata e cresciuta a Roma, Laila Al Habash (classe 1998) scrive musica da quando aveva 13 anni

Le tue canzoni parlano di amori, relazioni e del tempo che sfugge. Che rapporto hai con il tempo?
«Un rapporto molto difficile. Mi sono sempre sentita precoce, con qualcosa da dire già a 13 anni ma senza nessuno che mi prendesse sul serio. La sensazione di sentirsi in anticipo era accompagnata da quella di sentirsi in enorme ritardo. A 19 anni scalpitavo per fare uscire la mia musica, avevo paura che le cose che avevo scritto a 13 anni potessero invecchiare. Ora sto cercando di riallinearmi al tempo, di sincronizzarmi, ma parlarne resta complicato».

Ti è mai capitato, da qualche parte, di sentirti fuori dal tempo?
«Sì, in Armenia. Le montagne sono presenze diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati. Le altezze rimandano all’ascetismo e lì mi sono sentita trasportata verso quella condizione. L’Armenia è austera, piena di monasteri, uno strano miscuglio di influenze arabe, sovietiche, cristiane e di modernità, percepisci il processo di cambiamento in cui è coinvolta. Un insieme di cose che non avevo mai visto e di cui nessuno mi aveva parlato prima, che mi ha fatto perdere le coordinate temporali.

Anche la tua musica fa viaggiare. Dove vuoi portarci di preciso?
«È quello che cerco di fare in effetti con la mia musica. Portare altrove. In un luogo pieno di luce, caldo, avvolgente ma anche scomodo, storto, uso la musica per infiocchettare una sorta di disagio, di malessere che racconto. Finora ho parlato di cose comuni, relazioni, le vite degli altri. Ma adesso sono entrata in una nuova fase che pone al centro le domande esistenziali. Non ho ancora trovato un posto concreto nel mondo che abbia le caratteristiche della mia musica. Forse è su un altro pianeta».


Ponza è il titolo di una tua canzone, cosa significa per te?
«È un luogo a cui sono molto legata, ci ho passato tante estati, un posto magico che voglio proteggere. Un po’ come quella sottile gelosia che provi quando parli di una persona che ami e che non vuoi esporre troppo. Ponza, il Circeo, ci ha pensato Ulisse a rendere questi luoghi archetipici e pieni di mistero. Ponza incarna per me l’idea stessa di approdo, di essere arrivati da qualche parte. Stare così vicino all’antichità mi incanta e mi emoziona».

In Abbagli invece canti: «Quando mi sembrava di toccare il fondo / mi chiedevo in che parte del mondo / volevo scappare e partire». Ti sei data una risposta?
«Ancora no. Nei momenti di sconforto penso sempre a partire, ma sto cercando di non usare il viaggio come fuga. Preferisco il viaggio di scoperta, soprattutto quelli che faccio per lavoro, dove la scoperta divento io. Quando ho bisogno di un rifugio mi basta andare a Roma. Roma è bellezza, ossigeno per gli occhi, e poi detesta la fama e l’altezzosità, è una città che, se serve, ti rimette a posto con la sua ironia».

A proposito di scoperte, il Brasile sembra averti lasciato qualcosa di speciale, di che si tratta?
«Il modo in cui i brasiliani vivono la musica. È come se dentro avessero un motore diverso. Quando sono tornata mi sono immersa nel funk brasiliano e ho studiato per un anno portoghese perché volevo assolutamente capire, sentire le parole e la musica come loro. Pensavo che attraverso la lingua avrei potuto scoprire il segreto di quel movimento. Il Brasile mi ha donato il sentimento che c’è dietro il samba. Il samba è una sorta di trance, un vortice da cui non riesci a uscire. Un vortice che racconta il dolore ma con un ritmo festoso. Mi ha insegnato che la musica può trasformare la sofferenza».

C’è stato un momento, in giro per il mondo, in cui hai sentito forte il legame con le tue radici palestinesi?
«Sì, è stato proprio alla fine di un concerto in Brasile. Un uomo anziano di Nablus mi si è avvicinato per dirmi che aveva le stesse origini di mio padre. Gli somigliava persino nei modi e nell’accento. Mi ha colpito come ovunque tu sia si ripresentino dei pattern, come una sorta di segnali che la vita ti invia per farti capire che stai andando bene».

In che momento della vita ti trovi e se fosse un posto quale sarebbe?
«La sala di attesa al gate di un aeroporto, un luogo brutto e bello al tempo stesso. Scomoda ma con la promessa di qualcosa di ignoto che sta per accadere. È così che mi sento adesso, mi sto preparando all’imbarco, a scrivere un nuovo capitolo della mia vita, nuova musica che non vedo l’ora di far sentire alle persone. E intanto mi chiedo se andrà tutto bene, ho un po’ di ansia da viaggio ma al tempo stesso tanto entusiasmo. E un pizzico di impazienza perché stare al gate è sempre un po’ noioso».

So che sei un’appassionata di astrologia. Cosa vedi nel tuo cielo futuro?
«Vedo tanti viaggi, nutrimento per l’anima, parole a bizzeffe, tour in giro per il mondo e molto tempo per parlare del tempo. Voglio vivere il mondo per ricordarmi quanto sono piccola di fronte alla sua vastità».

Dove vorresti portare la tua nuova musica? «
«Se potessi, tornerei in Brasile domani, senza ombra di dubbio. Vorrei suonare in Inghilterra, che è la Mecca di tutti i musicisti. M’incuriosiscono anche l’estremo oriente, Cina e Giappone, e i Paesi arabi. So che i giovani lì ascoltano la musica italiana, mi chiedo come prenderebbero la mia».

DALLA GIORDANIA A PONZA: 4 IDEE PER PARTIRE

● Giordania delle meraviglie
Sorgenti, terme, oasi: emozioni e avventure inaspettate vi attendono, tra antiche città, riserve e deserti. Con la capitale, Amman, tutta da vivere
LEGGI DI PIÙ

● Viaggio in Armenia, tra monasteri e città
Alla scoperta di una terra antichissima, naturale ponte tra Occidente e Oriente, che ha sempre lottato per mantenere salde le sue tradizioni
LEGGI DI PIÙ

● Roma: cosa vedere e cosa fare
La nostra guida aggiornata alla Città eterna, tra arte, monumenti, passeggiate e mercatini. Immersi nella bellezza
LEGGI DI PIÙ

● Ponza, un tuffo nel mare del mito
Grotte mitologiche, case scavate nel tufo e baie incontaminate da scoprire in barca in totale libertà
LEGGI DI PIÙ

Dove Viaggi ©RIPRODUZIONE RISERVATA

L'articolo Laila Al Habash: “Un tè nel deserto mi ha insegnato la meraviglia” sembra essere il primo su Dove Viaggi.