La Trumpnomics in pillole (secondo Seminerio)
In cosa consiste la politica economica di Donald Trump. L'analisi di Mario Seminerio, curatore del blog Phastidio.

In cosa consiste la politica economica di Donald Trump. L’analisi di Mario Seminerio, curatore del blog Phastidio
Quando si parla della politica economica di Donald Trump, e non solo di quella, continua a valere il motto “nessuno sa nulla”. Nel senso che l’uomo è imprevedibile e si nutre di caos, come narra la vulgata. Alcuni obiettivi sembrano essere stati identificati, mentre il conseguimento di altri pare destinato ad andare allo scontro con la realtà. Nel mezzo, un’economia come quella statunitense, minata da alto debito e deficit, con i quali si dovranno effettivamente fare i conti. Ma, come sempre, est modus in rebus.
Per questo ho cercato di riunire le poche cose che presumo (la radice etimologica è la stessa di presunzione) di aver compreso, e proverò ad esporle sotto forma di domande e risposte.
La borsa americana ha accusato un forte calo: arriva la recessione?
Calma, e con ordine: l’andamento del mercato azionario non riflette esattamente l’economia reale. A volte ne è uno specchio deformato e deformante, a volte ha delle accelerazioni che si esauriscono senza trasmettersi all’economia reale, “là dove il copertone tocca la strada”. Altre volte, invece, plasma le dinamiche reali. È il concetto di “riflessività” reso popolare da (brrr!) George Soros.
Sì, e quindi?
Quindi, un mercato azionario con multipli storicamente così elevati come quello americano, frutto di anni di espansione e di un abnorme processo di concentrazione sul settore tecnologico, può tranquillamente mettere in conto fasi di cosiddetta correzione, senza che il suo trend espansivo di fondo ne venga minato. Però…
Però?
Però qui la situazione è diversa. Trump e i suoi hanno iniziato a dire che stanno cambiando il paradigma produttivo americano, che ci sarà una transizione, concetto che come sai io considero fondamentale perché implica un passaggio di stato mai indolore. Soprattutto, i mercati erano in qualche modo convinti che ci sarebbe stata una “put di Trump”, cioè una sorta di stop loss, di blocco dei ribassi, e che tale limite fosse non troppo lontano dal valore corrente dei corsi di borsa. Oggi invece scopriamo che quel limite potrebbe essere ben più basso, con conseguente maggior dolore per investitori e risparmiatori.
Cioè Trump potrebbe causare una recessione in modo deliberato?
Diciamo come conseguenza del fatto che ora è impegnato nella pars destruens, ad esempio con l’azione di taglio di costi del DOGE, di cui parlerò tra poco, e con i dazi. Mentre la pars construens, quella dei tagli di tasse e della forte deregulation arriveranno dopo, forse.
Ma i dazi non sono un bluff o meglio un’arma negoziale per estrarre concessioni?
Lo sai, tu? Io no. I dazi sono stati presentati come fonte di entrate, quindi permanenti ma anche come strumento negoziale, cioè reversibili. Però Trump ha un’idea che reitera in modo costante.
Quale?
Drenare aziende dal resto del mondo, soprattutto dall’Europa. In questo modo, ricreare una potente base manifatturiera americana. Nel mezzo però c’è un autentico veleno, quello dell’incertezza. I continui annunci di dazi, con modifiche in corsa, sia pure per ora senza deroghe rilevanti, stanno creando una gelata nelle imprese. Che, non riuscendo a pianificare correttamente gli investimenti, fermano tutto. Questo rischia di creare una sorta di “stop improvviso” all’economia, a cui i mercati azionari non potrebbero che reagire con ribassi molto pesanti. I quali, a loro volta, indurrebbero un effetto ricchezza negativo.
Che sarebbe?
Quando guadagni in borsa, cresce la tua propensione ai consumi voluttuari, detti anche discrezionali. Recenti statistiche mostrano che il primo decile di percettori di reddito americani conta ormai per la metà dei consumi del paese. Se la borsa e gli immobili perdono valore, questi soggetti riducono i consumi voluttuari, e bloccano l’economia.
E il dollaro?
Il dollaro è tornato ai livelli che aveva al momento dell’elezione di Trump. Nel mezzo c’è stato un forte apprezzamento, causato da attese di crescita indotta dalle politiche di Trump e dal protezionismo. Perché, a parità di ogni altra condizione, i dazi causano apprezzamento della moneta del paese che li impone. Solo che, a un certo punto, sono accadute alcune cose…
Quali?
Che la Germania ha annunciato un maxi programma di indebitamento per riarmo e modernizzazione infrastrutturale. I mercati hanno cambiato le prospettive di crescita europea e del debito tedesco, spingendo al rialzo i rendimenti dell’area. Nel contempo, negli Stati Uniti uscivano dati economici che indicavano un apparente indebolimento dei consumi e, soprattutto, del cosiddetto sentiment degli agenti economici. Questa differenza ha messo le ali all’euro e penalizzato il dollaro.
Quindi Trump non dovrà far svalutare il dollaro, come si diceva?
Non è detto. Si parla molto di questo teorico “Accordo di Mar-a-Lago”, dove i partner commerciali degli americani dovrebbero spingere al ribasso il dollaro, in una sorta di riedizione dell’Accordo del Plaza del 1985. Solo che oggi non siamo nel 1985, e la situazione economica globale è molto differente. Questo fantomatico “accordo” è stato partorito dalla mente dell’economista Stephen Miran, uno dei tanti Stranamore che la professione economica regala da sempre al mondo e oggi capo dei consiglieri economici di Trump (tu guarda il caso). La cosa più ridicola è che la linea di pensiero di Miran è che il dollaro è diventato un onere insostenibile per l’America ma al contempo Trump minaccia di sanzioni chiunque dovesse decidere di abbandonare il biglietto verde nelle transazioni internazionali.
Però i rendimenti sul dollaro stanno scendendo. Non è quello che Trump voleva?
Sì, ma bisogna capirsi: se scendono perché i mercati iniziano a scontare una recessione negli USA, non mi pare un grande successo di policy. E comunque, malgrado il dato di inflazione di febbraio, che sembra rassicurante, io temo che vedremo un aumento delle pressioni inflazionistiche che renderà più difficile l’ulteriore discesa dei rendimenti.
Cioè tu vedi un rischio di stagflazione?
I dazi fanno aumentare i prezzi e ridurre le quantità. C’è chi, come il Segretario al Tesoro Scott Bessent, dice che l’inflazione da dazi è per definizione transitoria e una tantum, quindi il problema non si pone. Ma se le aspettative degli agenti economici si posizionano su più inflazione, l’inflazione arriva. Lo chiamano inflationary mindset.
(Estratto dal blog Phastidio)