La spesa sanitaria nazionale incide sulla sopravvivenza dei pazienti affetti da leucemie, linfomi e mielomi
L’Italia, anche se allineata alla media europea, non raggiunge i livelli di sopravvivenza ottenuti dai paesi con maggiori investimenti. È necessario aumentare i finanziamenti in sanità

Economia e salute sono sempre più strette. E non solo quando si tratta di programmare investimenti ed approcci terapeutici, attraverso percorsi appropriati. Ma anche e soprattutto quando si incrociano i dati relativi alla sopravvivenza dopo una malattia con le condizioni economiche in cui si vive.
Basti pensare, in questo senso, ad una ricerca europea, condotta nell’ambito del progetto EUROCARE-6 (European cancer registry based study on survival and care of cancer patients), che ha coinvolto 27 paesi europei e oltre un milione e 150 mila pazienti affetti da patologie onco-ematologiche. L’indagine ha rivelato l’esistenza di un legame significativo tra l’entità della spesa sanitaria nazionale e la sopravvivenza dei pazienti affetti da tumore ematologico.
Stiamo parlando di patologie come leucemie, linfomi e mielomi, per i quali la ricerca di terapie innovative è fervente e continua a produrre nuove prospettive di cura, comprese (quando indicate) le CAR-T.
Fondi significa cure
Lo studio, che ha visto la collaborazione della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano (INT) e dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), fornisce un’analisi approfondita della sopravvivenza a lungo termine per i tumori ematologici, come linfomi, leucemie e mielomi. I risultati di questa ricerca sono stati recentemente pubblicati su Lancet Oncology e Journal of Cancer.
Sostanzialmente dalle indagini emerge come nei paesi in grado di destinare elevate risorse alla sanità, la probabilità di sopravvivenza per i pazienti affetti da tumore ematologico sia significativamente superiore rispetto ai paesi con minore spesa sanitaria nazionale. In particolare, i paesi dell’Est Europa, che investono meno in sanità, presentano per il linfoma non-Hodgkin una sopravvivenza a 10 anni dalla diagnosi quasi dimezzata rispetto ai paesi che investono di più, 33% contro 62% (Danimarca, Norvegia e Svizzera).
Questo pattern è evidente per il linfoma diffuso a grandi cellule B (34% vs 58%), il linfoma mantellare (21% vs 61%), il linfoma follicolare (40% vs 81%), la leucemia mieloide acuta (6% vs 21%) e la leucemia mieloide cronica (31% vs 65%).
In Italia, la sopravvivenza per tumore ematologico è in linea o di poco superiore alla media europea: dopo 10 anni dalla diagnosi sopravvive il 58% dei pazienti affetti da linfoma non-Hodgkin, contro una media del 55% in Europa, e il 52% dei pazienti con leucemia mieloide cronica, sia in Italia che in Europa.
Puntare sugli investimenti
Claudia Vener, medico, ricercatrice presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e coordinatrice dello studio, ha commentato:
“Il nostro studio dimostra inequivocabilmente che gli investimenti in sanità, soprattutto in ricerca ed innovazione terapeutica, hanno un impatto diretto sulla sopravvivenza dei pazienti affetti da tumore ematologico. Per alcune patologie, come la leucemia mieloide acuta, la sopravvivenza a 10 anni è ancora troppo bassa, evidenziando l’urgenza di un maggiore impegno nell’incrementare i fondi per la ricerca e per le cure innovative”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Silvia Rossi, ricercatrice presso l’Istituto Superiore di Sanità e co-autrice dello studio.
“Le grandi differenze di sopravvivenza riscontrate tra i paesi europei sono molto probabilmente legate ad un diverso grado di accesso alle cure e ad una diversa disponibilità ed utilizzo di trattamenti efficaci. L’Italia, anche se allineata alla media europea, non raggiunge i livelli di sopravvivenza ottenuti dai paesi con maggiori investimenti. È quindi necessario aumentare i finanziamenti in sanità affinché migliorino ulteriormente le possibilità di cura per i pazienti onco-ematologici”.
Il progetto ha beneficiato di importanti fondi europei, inclusi quelli derivanti dalla Joint Action iPAAC (Innovative Partnership for Action Against Cancer). I risultati di questo studio sottolineano l’importanza di proseguire con il sostegno alla ricerca scientifica per migliorare la qualità e le aspettative di vita dei pazienti affetti da tumore ematologico.
Quando servono le CAR-T
Mentre aumenta l’armamentario terapeutico a disposizione degli ematologi, con farmaci sempre più “intelligenti” e mirati caso per caso, si allargano anche le maglie per l’impiego delle CAR-T.
Lo ha recentemente ricordato Pier Luigi Zinzani, Professore di Ematologia Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Direttore Istituto di Ematologia “L. e A. Seràgnoli” IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna e Presidente SIE “Società Italiana di Ematologia).
“Ad oggi, la lista delle CAR-T con indicazione all’utilizzo nei tumori ematologici è diventata molto lunga. Partendo dall’inizio, abbiamo come indicazione sul territorio nazionale per i linfomi diffusi a grandi cellule un prodotto CAR-T in seconda linea e tre prodotti CAR-T in terza linea; per quanto riguarda i linfomi follicolari abbiamo un prodotto CAR-T in terza linea e un altro prodotto in quarta linea; per il linfoma mantellare abbiamo un unico prodotto in terza linea, ma nei prossimi mesi avremo sicuramente un altro prodotto con indicazione in seconda linea per il linfoma diffuso a grandi cellule B. Invece, nell’ambito del mieloma multiplo abbiamo un prodotto in quarta linea e arriverà entro la fine dell’anno un prodotto in seconda linea; allo stesso tempo, abbiamo un prodotto anche nel setting del paziente ricaduto/refrattario con leucemia acuta linfoblastica. Inoltre, le tre company impegnate nell’area ematologica stanno partendo con studi di fase 1 per la messa a punto della seconda generazione delle CAR-T autologhe, in quanto bisogna considerare anche la parte delle CAR-T allogeniche per le quali ad oggi non vi è ancora alcuna indicazione ufficiale ma solo studi in corso. Possiamo dire che l’attuale tendenza è quella di spostare sempre di più l’utilizzo delle terapie CAR-T nelle prime linee, in quanto la precocità di impiego ne aumenta l’efficacia e offre la possibilità di impiegarle nel momento in cui il paziente è ancora nelle migliori condizioni cliniche, potendo così ottenere risultati sicuramente ottimali rispetto al paziente pesantemente pretrattato, che talvolta non risponde più ai rigorosi criteri di eleggibilità necessari a ricevere le CAR-T.”
Insomma, le armi aumentano. Ma occorre pensate alla sostenibilità del sistema. Anche alla luce degli sviluppi delle cure e delle prospettive sempre migliori che si possono offrire ai malati. Ad oggi, maggio 2025, sono oltre 40 i Centri etichettati come Centri CAR-T, autorizzati alla somministrazione di queste terapie cellulari; quando si è partiti, più di cinque anni fa, erano non più di 5-6.