La perquisizione del cronista Simone Innocenti “era mirata solo a svelare la sua fonte”
La perquisizione ai danni di Simone Innocenti era “deliberatamente mirata a disvelare la fonte informativa del giornalista senza alcuna vera ricaduta sulle indagini”. Così la Cassazione nella motivazione della sentenza con cui lo scorso gennaio ha annullato il decreto di sequestro di tre computer e di un telefono cellulare nella disponibilità del cronista del Corriere […] L'articolo La perquisizione del cronista Simone Innocenti “era mirata solo a svelare la sua fonte” proviene da Il Fatto Quotidiano.

La perquisizione ai danni di Simone Innocenti era “deliberatamente mirata a disvelare la fonte informativa del giornalista senza alcuna vera ricaduta sulle indagini”. Così la Cassazione nella motivazione della sentenza con cui lo scorso gennaio ha annullato il decreto di sequestro di tre computer e di un telefono cellulare nella disponibilità del cronista del Corriere Fiorentino, indagato dalla procura di Firenze per concorso con uno o più pubblici ufficiali di rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio per un articolo del 17 maggio 2024 sul caso della 25enne allieva dei carabinieri (Scuola Marescialli e Brigadieri di Firenze), che si era tolta la vita ad aprile 2024.
La procura diretta da Filippo Spiezia lo scorso 31 luglio aveva disposto perquisizioni e sequestro. Il giornalista, difeso dall’avvocato Caterina Malavenda, aveva impugnato il decreto di perquisizione e il conseguente sequestro: il Riesame aveva respinto il ricorso, decisione poi ribaltata dalla Cassazione. La Suprema Corte sottolinea come le indagini “sembrano essersi limitate agli accertamenti, preliminari e funzionali, volti a stabilire che si fosse effettivamente trattato di un suicidio“. La perquisizione quindi non era necessaria, secondo gli ermellini: “Tale modus operandi da parte dell’organo requirente non è obiettivamente consentito” alla luce della Costituzione e della legge.
La Cassazione richiama la tutela delle fonti fiduciarie che l’ordinamento riconosce al giornalista in base all’articolo 15 della Costituzione e all’articolo 200 del codice di procedura penale, riportando, così la norma, “‘che se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione delle fonti’, il giudice e non il pubblico ministero ‘ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni'”. Per la Cassazione “deve, dunque, sussistere la necessità di accertare dei fatti costituenti reato, il che non era nel caso di specie, e ricorrere l’evenienza che l’esame testimoniale della fonte riservata costituisca la sola modalità per l’accertamento di quei fatti, anch’essa non riscontrabile nella fattispecie in esame”. Nelle motivazioni si legge ancora: “L’eventuale identificazione del pubblico ufficiale responsabile della divulgazione della notizia presunta riservata non avrebbe avuto alcuna incidenza sul fatto da accertare”, ovvero le modalità del decesso dell’allieva dei carabinieri.
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