“La pelle“ di Malaparte. Romanzo senza ritorno
Curzio Malaparte, al secolo Curt Erich Suckert (1898-1957), sembra che continui a soffrire di un forte (per me assurdo) pregiudizio...

Curzio Malaparte, al secolo Curt Erich Suckert (1898-1957), sembra che continui a soffrire di un forte (per me assurdo) pregiudizio letterario, dovuto probabilmente – se non sicuramente – alla sua vita, che è una continua successione di cambi di rotta, di decisioni inaspettate, di provocazioni. Ha partecipato (o forse no) alla marcia su Roma, in punto di morte lasciò la Villa Malaparte di Capri alla Repubblica Popolare Cinese (anche se la famiglia impugnò il testamento e riuscì a recuperare la proprietà), in ospedale quando era quasi alla fine del viaggio strappò la tessera del partito comunista (o forse no), si converti in articulo mortis al cattolicesimo (o forse no).
Prima fascista “di sinistra”, poi mandato al confino da Mussolini per il suo scomodo e bellissimo saggio del ’31, Tecnica del colpo di stato. Ma non si può raccontare in poche righe una vita come la sua. Intorno alla metà degli snni Venti (dopo averne vagliati molti, tutti scartati) sceglie finalmente lo pseudonimo definitivo, dopo aver letto un piccolo saggio del 1869, I Malaparte ed i Bonaparte nel primo centenario di un Malaparte-Bonaparte, scritta da un anonimo che si definisce “l’autore della Storia dei ladri nel Regno d’Italia”.
Veniamo al Malaparte scrittore: Adelphi sta finalmente ripubblicando la sua Opera (uso la maiuscola, non a caso), e non posso che esclamare: era ora che succedesse. Un genio, un gigante della letteratura, un fine intellettuale capace però di raccontare storie umane senza sfoggio di cultura fine a se stesso, senza portarsi dietro inutili intellettualismi. Parliamo della sua opera forse principale, che nulla toglie a tutto il resto della sua Opera, cioè La pelle, un romanzo scomodo, amaro, feroce e sentimentale, che impasta, in una mistura narrativamente micidiale, il realismo più crudo e una componente visionaria capace di dare più forza al realismo.
Si è spesso definito Malaparte un cinico, ma non sono per niente d’accordo: lui vuole “soltanto” raccontarci il peggio dell’uomo nel modo più efficace possibile, l’umanità più marcia con le parole più giuste, e ci riesce benissimo. Ma dietro le sue pagine lo sento soffrire per quello che racconta, per il male di cui è capace l’uomo. Anche se – da vero narratore – invece di voltare il viso dall’altra parte, non può fare a meno di “raccontare”, di metterci davanti a quello che non vorremmo vedere. Dunque niente cinismo, quella menzogna lasciamola dire a chi non lo conosce e a chi forse non lo stima.
Lo dico sempre: La pelle è un libro senza ritorno. Chi lo ha letto, dopo non sarà più lo stesso, e in modo profondo, come accade con la grande letteratura. Avrei tanto voluto conoscere Malaparte, ma purtroppo se n’è andato nello stesso anno in cui sono nato.