La “maledizione” di Montchavin, il paese dove 1 abitante su 12 si ammala di Sla: “Tutta colpa di un fungo considerato una prelibatezza locale”
Sembrava un angolo di paradiso, un tranquillo villaggio alpino incastonato tra le montagne francesi. Ma Montchavin, 200 anime nel cuore della Savoia, nascondeva un segreto terribile, una “maledizione” silenziosa che per quasi trent’anni ha seminato morte e angoscia. Tra il 1991 e il 2019, ben 16 residenti – quasi un decimo della popolazione – hanno […] L'articolo La “maledizione” di Montchavin, il paese dove 1 abitante su 12 si ammala di Sla: “Tutta colpa di un fungo considerato una prelibatezza locale” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Sembrava un angolo di paradiso, un tranquillo villaggio alpino incastonato tra le montagne francesi. Ma Montchavin, 200 anime nel cuore della Savoia, nascondeva un segreto terribile, una “maledizione” silenziosa che per quasi trent’anni ha seminato morte e angoscia. Tra il 1991 e il 2019, ben 16 residenti – quasi un decimo della popolazione – hanno ricevuto una diagnosi infausta: Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), o malattia del motoneurone (MND), una patologia neurodegenerativa fatale, senza cura né trattamento, che paralizza lentamente il corpo fino a bloccare la respirazione.
Un’incidenza spaventosa, 20 volte superiore alla media europea, che ha trasformato l’idillio alpino in un incubo. Cosa stava uccidendo gli abitanti di Montchavin? Per anni, le ipotesi più disparate hanno serpeggiato tra i residenti: il piombo fuoriuscito da una miniera dismessa e finito nell’acqua? Le onde elettromagnetiche delle antenne di telefonia mobile? O addirittura una maledizione, come credeva una donna del villaggio?
L’allarme della dottoressa e l’indagine decennale
La prima a sospettare che qualcosa non andasse fu la dottoressa Valerie Foucault, medico di base a Montchavin dai primi anni ’90. Dopo i primi due casi isolati (1991 e 2000), nel 2009 si ritrovò con ben cinque pazienti affetti da SLA. “Semplicemente non potevo più sopportarlo”, ha raccontato al Daily Mail. “Mi affeziono ai miei pazienti e la cosa mi colpisce personalmente. […] Non c’era niente che potessi fare per loro”. Consapevole dell’anomalia statistica (“guardai le cartelle e pensai, ‘questo semplicemente non è possibile'”), la Dr. Foucault cercò aiuto presso le autorità sanitarie regionali, ma inizialmente fu liquidata: “Mi dissero che c’era un cluster di casi, ma che a volte succede e non c’era niente da fare”.
Ma quando nel 2010 altre tre persone si ammalarono, portando il totale a otto, l’interesse della comunità scientifica si accese. La dottoressa Emmeline Lagrange, neurologa dell’Ospedale Universitario Grenoble Alpes, ottenne il supporto governativo e avviò un’indagine approfondita che sarebbe durata dieci anni. Le prime indagini furono condotte sulle reti idriche, i serbatoi, il sistema di distribuzione”, ha ricordato il sindaco locale, Jean-Luc Boch. “Nessun sintomo, nessun segno, nessuna traccia di possibile infezione attraverso l’acqua. Poi abbiamo esaminato se gli inceneritori potessero essere la causa. Tutto è stato analizzato”. E quando dice tutto, intende davvero tutto: il terreno dei giardini, le emissioni di gas radon nelle case, la neve artificiale, persino il legno delle vecchie carrozze ferroviarie riutilizzato per le infrastrutture del villaggio. Ad ogni residente fu chiesto di compilare un questionario lunghissimo (fino a tre ore) su dieta, lavoro, abitudini, hobby. Si escluse anche la pista genetica: nessuna familiarità tra le vittime. Anni di ricerche, nessun risultato.
La svolta: i sospetti su un fungo “prelibato”
La svolta arrivò nel 2017-2018 grazie al contributo del neurologo statunitense Dr. Peter Spencer. Esperto di cluster di malattie neurodegenerative legate a fattori ambientali (aveva studiato un caso simile nell’isola di Guam, collegato al consumo di semi di cicade), Spencer puntò l’attenzione sui funghi. Sapeva che alcuni contengono tossine capaci di danneggiare il sistema nervoso. Unendosi al team della Dr. Lagrange, Spencer condusse nuove interviste focalizzate sul consumo di funghi. E un elemento emerse prepotentemente: la maggioranza dei pazienti con SLA dichiarò di aver mangiato il “falso spugnolo” (Gyromitra esculenta, ndr), un fungo considerato una prelibatezza locale ma noto per la sua tossicità se non adeguatamente trattato. Metà di loro ricordava di essersi sentito male almeno una volta dopo averlo consumato. Al contrario, nessuno dei 48 soggetti sani presi come controllo dichiarò di averlo mai mangiato. Nel giugno 2021, la pubblicazione scientifica: “Le genotossine fungine potrebbero indurre la degenerazione dei motoneuroni”. Una conclusione forte, anche se lo stesso Dr. Spencer ha sottolineato al Mail che si tratta di un'”associazione” e che servono ulteriori ricerche per provare una relazione di “causa-effetto”.
Lo scetticismo degli Aabitanti e la voce del superstite
Ma cosa ne pensano gli abitanti di Montchavin? Le reazioni sono contrastanti. Ginette Blanchet, 70 anni, nipote di Edmond Clement-Guy, morto suicida dopo la diagnosi di SLA 17 anni fa, conferma: “Sì, mangiava quei funghi”. Ma aggiunge: “Ciò che tutti i malati avevano in comune era che stavano molto nella natura. Molti erano cacciatori, taglialegna, maestri di sci”. E ricorda lo shock alla scoperta del possibile legame con i funghi, dopo aver pensato all’acqua, alla selvaggina, persino ai fuochi d’artificio.
Sua cognata, Mireille Marchand, 76 anni, sorella di Edmond, è ancora più scettica: “Io li mangiavo ogni primavera per almeno 20 anni”, dice allegramente, pur avendo smesso dopo i risultati dello studio. “Non sono convinta che siano la causa della malattia. Penso che rimanga un mistero“. Mireille continua a raccogliere altri funghi, come le verpa bohemica, che richiedono anch’esse una cottura prolungata per eliminare le tossine. Anche Herve Fino, 64 anni, residente da 43 anni e amico di un’altra vittima, Marie Paul, dubita: “Lei non ha mai mangiato consapevolmente falsi spugnoli. […] Penso fosse più legato allo stress per il suo ristorante in fallimento”. E su Edmond: “Una volta cadde in acqua gelida fino al collo. Forse è stato quello a causare la sua condizione”.
Sembra che, nonostante le evidenze scientifiche, molti a Montchavin preferiscano cercare altre spiegazioni. Ma la testimonianza più spiazzante arriva da Steve Isaac, 66 anni, cittadino britannico, l’unico paziente del cluster ancora in vita. Diagnosticato nel 2009 con un’aspettativa di vita di due anni, ha sfidato la prognosi (come Stephen Hawking), nonostante oggi sia completamente paralizzato, comunicando solo con gli occhi attraverso un computer. Residente a Montchavin dal 2007 con la famiglia, Isaac nega categoricamente di aver mai mangiato consapevolmente il fungo incriminato: “A mia conoscenza, non ho mai mangiato falsi spugnoli. E non so perché così tante persone si siano ammalate nella zona. Forse è solo un’anomalia casuale”.
Mistero risolto? Forse.
Negli ultimi sei anni, da quando i locali hanno smesso di consumare il falso spugnolo, non ci sono state nuove diagnosi di SLA a Montchavin. Un dato significativo, che però, come ricorda il Dr. Spencer, non basta a stabilire una causalità definitiva. E la testimonianza di Steve Isaac aggiunge un ulteriore elemento di dubbio. Il mistero del villaggio alpino, forse, non è ancora del tutto svelato. E l’ombra delle miniere di carbone, chiuse nel 1995 proprio all’inizio dell’epidemia, resta come un’altra, scomoda, coincidenza.
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