La guerra in Ucraina tra le prove d’orchestra Trump-Ue e la terza via di Schlein
Quando Schlein dichiara che il Pd non sarà con l’Europa a continuare la guerra ha già compiuto una scelta di campo. Il corsivo di Giuliano Cazzola

Quando Schlein dichiara che il Pd non sarà con l’Europa a continuare la guerra ha già compiuto una scelta di campo. Il corsivo di Giuliano Cazzola
Nel film “Prova d’orchestra” di Federico Fellini un gruppo di musicisti si sottrae alle regole del direttore e provoca – con il contributo del sindacato – un caos ingovernabile che rende impossibile svolgere le prove in vista del concerto programmato. Il direttore, contestato, abbandona la sala nell’impossibilità di svolgere il suo ruolo. La confusione aumenta fino a quando dall’esterno un’enorme palla di acciaio, comunemente usata per abbattere gli edifici, si schianta contro la parete facendo tremare tutto l’edificio e preavvertendo dei danni che potrebbe determinare proseguendo nel suo lavoro. Gli orchestrali si rendono conto della loro situazione, si siedono ai loro posti con gli strumenti e si mettono a disposizione del direttore che torna a salire sul podio con tutta la sua autorevolezza.
Abbiamo descritto, con questa metafora, la condizione geopolitica del pianeta dopo i primi 40 giorni dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, a fronte degli atti sorprendenti e imprevisti che sciorina ogni giorno. In verità la vera novità del tycoon eletto il 5 novembre sta nel fatto che mantiene ciò che ha promesso durante la campagna elettorale anche per quegli aspetti ed iniziative che nessuno in Europa prendeva sul serio, per la loro contraddittorietà con un secolo di politica estera americana.
Trump è entrato in campo nella guerra in Ucraina convalidando le motivazioni dell’aggressore e la legittimità delle sue rivendicazioni nei confronti del paese aggredito la cui resistenza per tre lunghi anni era stata possibile grazie agli aiuti della precedente amministrazione americana. Nello stesso tempo, Trump aveva minacciato una guerra commerciale contro l’Europa perché aveva “in gran dispetto” quella unione economica istituita per “fregare” gli americani, condannati peraltro dai legami storici a garantire la sicurezza di un Continente di ingrati scrocconi, incapace di avere una visione dei nuovi equilibri geopolitici fino al punto di consegnare un possibile alleato come la Russia al nuovo nemico rappresentato dalla Cina popolare. Tutto ciò per difendere con tante esitazioni ed ipocrisie l’Ucraina, illudendone il governo e quel popolo di una possibile vittoria contro un avversario molto più forte nei confronti del quale la volontà di resistere si è trasformata – secondo Trump – in una aggressione sostanziale dell’aggredito verso l’aggressore.
Lo scontro in diretta nello Studio Ovale della Casa Bianca tra il ticket presidenziale e Zelensky ha prodotto – per tornare alla metafora – l’effetto della grande palla che si abbatte sul muro dell’Europa. Ma da noi c’è un problema: gli orchestrali non hanno ancora preso possesso dei loro posti e soprattutto non c’è un direttore in grado di riportare l’ordine. Qualcuno sta provando ad accordare il suo strumento emettendo un suono stridulo e stonato. Non si vede a breve la possibilità di iniziare la “prova d’orchestra” in preparazione e in vista del concerto.
In tale contesto la premier Giorgia Meloni è in evidente imbarazzo. Anche chi non condivide la sua cautela non può non esprimere onestamente comprensione per le sue difficoltà, come peraltro ha fatto Zelensky nelle stesse ore in cui in Italia le opposizioni invitavano perentoriamente la premier a scegliere tra Trump e l’Europa, mentre in tutte le fumerie d’oppio de La7 le conduttrici e i conduttori battevano lo stesso chiodo con un’insistenza fastidiosa. Che diritto hanno di porre questa domanda a Meloni Castore e Polluce dell’AVS i cui parlamentari in Italia e in Europa non hanno mai votato a favore del sostegno militare all’Ucraina? La stessa domanda potrebbe essere rivolta a Giuseppi, il più cauto nei confronti del nuovo corso americano.
Ma c’è di peggio. Si è resa conto Elly Schlein che tocca a lei (e al Pd) chiarire da che parte sta? Vediamo come la segretaria ha tracciato la posizione del suo partito nella relazione svolta in direzione nei giorni scorsi. “Non siamo con Trump e il finto pacifismo che cela una resa all’aggressore e non saremo con l’Europa per continuare la guerra”, ha detto Elly Schlein. Ma quale è la terza via della segretaria del Pd? Schlein ha accusato l’Europa di non aver fatto abbastanza, e ha chiesto a Bruxelles un cambio di passo: “L’Europa e l’Ucraina devono sedersi al tavolo e l’Ue rivendicare il suo protagonismo, il suo ruolo in questa pace che ridefinirà gli assetti. Non siamo nel Far West: la pace non può essere imposta con ricatti su terre rare e satelliti”.
Ma come è buona lei! La segretaria ricorda i primi apprendisti del sovranismo i quali sostenevano che a Bruxelles si dovessero sbattere i pugni sul tavolo per far valere le nostre ragioni. Mandiamo la Commissione europea a picchettare l’entrata del Palazzo dove a Doha si riuniranno le delegazioni Usa e russe? Come si fa a non capire che né la Russia né l’America vogliono l’Europa e l’Ucraina tra i piedi. Al limite va apprezzato il tentativo proposto da Meloni a Londra e accolto dai partner di promuovere un vertice Usa/Ue per concordare, se è possibile, delle linee di chiusura decorosa del negoziato. Ma Trump non accetterà mai di fare il capo delegazione di un’armata Brancaleone divisa costretta a misurarsi con un autocrate che decide da solo. Nel nuovo ordine mondiale che si profila i popoli disporranno soltanto di quei diritti che sono capaci di difendere.
Quando Schlein dichiara che il Pd non sarà con l’Europa a continuare la guerra ha già compiuto una scelta di campo, in solitudine rispetto a ciò che faranno gli altri partiti socialisti europei e occidentali. Quando ci renderemo conto che la sceneggiata del 28 febbraio nello Studio Ovale è stata solo una trappola in cui è caduto Zelensky organizzata per dare il pretesto a Trump di minacciare il blocco degli aiuti in mancanza di una resa dell’Ucraina, in Europa saremo chiamati a compiere delle scelte di campo ben più difficili: armarsi e partire per garantire un minimo di sicurezza a quel popolo martoriato o voltarsi dall’altra parte pronunciando un classico “abbiamo già dato”. In Italia sarà un altro 8 settembre, ma i primi a voltare le spalle e a marcare visita saranno i partiti di opposizione e la Cgil che si uniranno agli avanguardisti della Lega. Meloni dal canto suo si accorgerà di quanto fosse giusto l’aforisma di Winston Churchill: “Un pacifista è colui che nutre un coccodrillo, sperando che lo mangi per ultimo”.