La classe operaia non è andata in paradiso. E cerca asilo da Trump
La globalizzazione ha fatto anche cose buone. Se questo non la assolve dalle sue colpe, neppure giustifica chi pensa di gettarla al vento. Meglio valorizzare i suoi benefici correggendo le distorsioni che hanno provocato innegabili squilibri. Viene in mente questo ragionamento riguardando l’immagine dell’operaio di Detroit (se davvero era un operaio) intervenuto nel discorso sui dazi di Trump. L’operaio ha ricordato la progressiva chiusura delle fabbriche a Detroit, l’angoscia dei suoi colleghi, l’ansia di chi vede sparire un contesto di certezze. Di fronte all’impoverimento, la classe operaia non è andata in paradiso ma ha cercato risposte nella destra estrema che ha semplificato e anche mistificato problemi e soluzioni. Un fenomeno replicato in tutto l’Occidente. Resta però da dimostrare se la risposta sovranista e ipernazionalista (i dazi, ad esempio) sia quella giusta. O se semplicemente sia l’unica risposta che – ripetuta con vigore e arroganza – abbia fatto breccia nelle sofferenze. Ciò che è mancata è una voce altrettanto forte e comprensibile da parte delle famiglie politiche moderate e progressiste. È troppo cauta e spesso complessa la definizione di un modello sociale ed economico che contrasti le ingiustizie mantenendo una dimensione multinazionale e interconnessa. Una risposta coraggiosa può arrivare dall’Europa, se saprà – come ha fatto per 80 anni – risolvere i conflitti con la cooperazione internazionale. L’alternativa è scivolare in una dimensione isolazionista che i conflitti li risolve con le guerre (e non solo quelle commerciali).

La globalizzazione ha fatto anche cose buone. Se questo non la assolve dalle sue colpe, neppure giustifica chi pensa di gettarla al vento. Meglio valorizzare i suoi benefici correggendo le distorsioni che hanno provocato innegabili squilibri. Viene in mente questo ragionamento riguardando l’immagine dell’operaio di Detroit (se davvero era un operaio) intervenuto nel discorso sui dazi di Trump.
L’operaio ha ricordato la progressiva chiusura delle fabbriche a Detroit, l’angoscia dei suoi colleghi, l’ansia di chi vede sparire un contesto di certezze. Di fronte all’impoverimento, la classe operaia non è andata in paradiso ma ha cercato risposte nella destra estrema che ha semplificato e anche mistificato problemi e soluzioni. Un fenomeno replicato in tutto l’Occidente. Resta però da dimostrare se la risposta sovranista e ipernazionalista (i dazi, ad esempio) sia quella giusta. O se semplicemente sia l’unica risposta che – ripetuta con vigore e arroganza – abbia fatto breccia nelle sofferenze.
Ciò che è mancata è una voce altrettanto forte e comprensibile da parte delle famiglie politiche moderate e progressiste. È troppo cauta e spesso complessa la definizione di un modello sociale ed economico che contrasti le ingiustizie mantenendo una dimensione multinazionale e interconnessa. Una risposta coraggiosa può arrivare dall’Europa, se saprà – come ha fatto per 80 anni – risolvere i conflitti con la cooperazione internazionale. L’alternativa è scivolare in una dimensione isolazionista che i conflitti li risolve con le guerre (e non solo quelle commerciali).