Il suono antico degli scalpellini. L’arte di scolpire la pietra serena

Una foto una storia Il ricordo di un mestiere che a lungo ha caratterizzato le strade del centro storico

Apr 30, 2025 - 04:03
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Il suono antico degli scalpellini. L’arte di scolpire la pietra serena

C’erano un tempo gli scalpellini: quando camminavi il loro tipico rumore li annunciava all’angolo di strada. L’arte dello scolpire richiede pazienza, dedizione e un occhio attento ai dettagli. La foto di Augusto Mattioli si perde nel tempo: trent’anni fa? Non sappiamo da cosa e chi sono stati sostituti: probabilmente da qualche macchina che sa il fatto suo, che si accende e subito assaggia la pietra. Ma vuoi mettere l’uomo? Lo scalpello era lo strumento della creatività, della pazienza e della perseveranza. Ogni pietra era diversa dall’altra. Oggi sono lisce, troppo perfette. Loro sapevano cogliere la forma nascosta della pietra e renderla visibile.

Ci potevi camminare sopra e sentire sotto il piede tutto il peso della storia, della rugosa volontà del tempo. Una volta mi è capitato di assistere fin dall’inizio al loro lavoro: si sedevano lenti con un cuscino sotto le forme e guardavano la pietra, la studiavano oltre gli spessi occhiali, ci parlavano a bassa voce, sembravano spiegargli come fosse bella, come una donna che si è trascurata per troppo tempo e che l’amore e il trucco la riportano al passato splendore. Il bello, se c’è, viene sempre fuori. E ogni colpo dello scalpello era un passo verso la realizzazione di un sogno.

E veniva da invidiarli: essere uno scalpellino significava essere il mago che trasforma il brutto in bello, il rozzo in raffinato, per poi creare qualcosa di unico. Erano gli unici filosofi da strada e la loro scomparsa un po’ ci costa, perché come uno scalpellino lavora la pietra, così noi dobbiamo lavorare con pazienza e dedizione per realizzare quello che sogniamo di fare. Una volta quelle rughe presero l’aspetto di un angelo, e ogni tanto passavo da quelle parti per vedere se si fosse liberato dalle catene della pietra. In realtà si celebrava le nozze fra la materia e la luce. E noi inconsapevoli testimoni.

Gli scalpellini sono scomparsi. Da un giorno all’altro. Senza nemmeno avvertirci. In silenzio. Pensavano in marmo e per questo anche il loro commiato è restato cristallizzato. L’abbandono ha sempre un gusto amaro, ma noi viviamo per dire sempre addio. Ad un amore, ad un amico che parte, ad un’idea che muore, ad un rumore famigliare, come proprio quello di quell’antico mestiere. E non c’è mai paracadute nel pozzo senza fondo dell’abbandono: ma dove sono andati?

Massimo Biliorsi