Il Papa del popolo: Bergoglio e il populismo
(Una versione più breve di questo testo è apparsa in lingua inglese sul blog del Populism Specialist Group della Political Studies Association il 29/04/2025, accessibile al link: https://www.psapopulism.org/blog/research/alessandro-volpi-the-peoples-pope-bergoglio-and-populism) Il pontificato […]

(Una versione più breve di questo testo è apparsa in lingua inglese sul blog del Populism Specialist Group della Political Studies Association il 29/04/2025, accessibile al link: https://www.psapopulism.org/blog/research/alessandro-volpi-the-peoples-pope-bergoglio-and-populism)
Il pontificato di Papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, ha rappresentato per molti aspetti una novità. È stato infatti il primo papa gesuita, ma anche il primo a scegliere il nome del Santo povero di Assisi, e il primo non europeo da più di un millennio. Ma più specificamente: il primo latinoamericano e argentino. Su questa sua provenienza geografica, che egli stesso ha sottolineato fin dal suo esordio, dicendo che i cardinali erano andati a prenderlo “quasi dalla fine del mondo”, si sono soffermati molti nell’analisi delle sue posizioni su temi politici, sociali ed etici. È interessante allora chiedersi che rapporto Bergoglio abbia avuto con la tradizione politica del suo paese, e in particolare con il populismo, fenomeno che nella variante peronista, ha dominato la politica almeno a partire dagli anni ’40. Questo ci permetterà anche di gettare luce su alcune dinamiche della politica contemporanea che hanno a che vedere con trasformazioni – forse – epocali che ci attendono.
Il 4 aprile 2025 sul Wall Street Journal Joshua Chaffin e Aaron Zitner hanno parlato di quella parte conservatrice e tradizionalista di chiesa cattolica statunitense, che ora vede nel vicepresidente J. D. Vance un suo riferimento, e che è fortemente critica dell’operato di Papa Francesco. I due giornalisti hanno citato le parole di Stephen P. White (Direttore esecutivo del Catholic Project, una iniziativa di ricerca della Catholic University di Washington, D.C.) il quale definisce queste posizioni come parte di un movimento “populista” diffuso in tutto il mondo. Parla quindi, e con lui gli autori che lo hanno citato, di un cattolicesimo populista e tradizionalista contro l’eredità di Francesco, con la prospettiva di superare il suo pontificato imprimendo una svolta conservatrice.
Dall’altro lato però il Papa argentino è stato egli stesso definito spesso populista, a partire dalla sua provenienza geografica e in rapporto al suo discorso pubblico. Loris Zanatta, uno studioso molto critico del peronismo, nel suo libro Il populismo gesuita (Laterza, 2020) ha visto nella figura di Bergoglio la manifestazione di un cattolicesimo gesuita populista connesso con l’arretratezza e la mancata modernizzazione del contesto argentino. Questa posizione è indubbiamente problematica ed è stata molto criticata negli studi sul populismo, perché relega – contro molte evidenze empiriche – il populismo a presunte “democrazie immature”, definendo una teleologia storica che vede nell’estinzione di questo fenomeno un momento realizzabile oltre che desiderabile, non comprendendone la natura strutturale nella democrazia moderna. Ma il punto che qui viene colto da Zanatta è che il Bergoglio, prima nella sua veste di arcivescovo di Buenos Aires e poi come Papa, abbia fatto riferimento al concetto di popolo come un asse centrale della sua visione della politica e della società. Questo aspetto non può essere ignorato. Seppur nel tempo ci siano stati dei cambiamenti, la cultura argentina nel quale si è formato, ha senza dubbio avuto un peso fondamentale in tutto il suo pontificato: si potrebbe dire quello che Laclau diceva di sé stesso, che tutte le questioni teoriche che egli ha affrontato nella sua carriera accademica, hanno una radice nella giovanile esperienza in una argentina dominata dal peronismo – anche quando il movimento peronista era proscritto e Perón esiliato. Qui non possiamo andare a fondo del rapporto problematico di Bergoglio con il peronismo storico – pensiamo ad esempio ai rapporti critici con il Kirchnerismo, il peronismo del nuovo millennio – ma senza dubbio le questioni e il lessico politico nel quale egli ha sviluppato il suo pensiero nascono da quel laboratorio politico e teorico straordinario e tragico che è stata l’Argentina dopo il primo governo peronista. Se vogliamo cogliere in maniera più diretta l’origine del pensiero di Bergoglio, dobbiamo far riferimento a quello che è stato il suo maestro, ovvero Juan Carlos Scannone, esponente della teologia del popolo latinoamericana, il quale ha anche raccontato la formazione del futuro papa in un libro-intervista con Bernadette Sauvaget, significativamente intitolato, Il papa del popolo (Libreria Editrice Vaticana, 2015). Una teologia politica che, come ha sottolineato Micheal Löwy di certo non ha quei tratti chiaramente marxisti della teologia della liberazione, ma che ne rappresenta una variante con tratti sociali e critici del capitalismo che lo stesso Bergoglio ha portato alla sua massima espressione.
Anche lo stile comunicativo del Papa in questo senso ha dato argomenti alla sua classificazione come populista: quell’idea di essere vicino agli ultimi, alle persone semplici, di essere diretto e di parlare a tutti, di evitare cioè ogni elitarismo della chiesa cattolica per riconquistare un rapporto diretto con il popolo – carismatico si potrebbe dire, ma di un carisma basato sulla semplicità e la vicinanza e non sulla distinzione o sulla distanza. Questo elemento popolare peraltro è emerso in forme anche radicali, per esempio nel suo intervento all’Incontro mondiale dei movimenti popolari del 2014dove ha fatto suo lo slogan tierra, techo trabajo (terra, tetto, lavoro) sostenendo l’importanza dei movimenti popolari come il luogo nel quale i poveri escono da una condizione di passività e lottano per condizioni di vita degne. Anche in questo aspetto una valorizzazione della dimensione popolare con tratti fortemente sociali.
Papa Francesco è stato quindi un papa populista, o è il papa che i populisti hanno contrastato e che sono felici di rimpiazzare? Come sempre quando si parla di populismo la slipperiness (scivolosità)di questo concetto fa da padrona. Come inquadrare cioè da un lato il suo rivendicare elementi populisti, e finanche la parola populismo lamentandosi del fatto che è una parola tanto maltrattata, e dall’altra parte la sua critica e scontro con i massimi rappresentanti del populismo di destra come Trump, a difesa per esempio dei migranti latinoamericani?
C’è materiale negli interventi di Bergoglio, prima come arcivescovo e poi come Papa, per uno studio approfondito. Ma qui possiamo limitarci ad un’analisi di massima. Ci sembra che se nel contesto latinoamericano egli valorizzava il populismo sulla base di un’idea anti-individualista, comunitaria (ma progressista e inclusiva) di popolo, con il suo spostamento in Europa, ha maturato un giudizio negativo, tipico di questo contesto, del concetto di populismo (senza però dismettere le idee precedenti in termini di contenuto), fino a decidere di contrapporre il popolarismo – interno alla tradizione cattolica italiana – al populismo, legando quest’ultimo alla destra xenofoba e demagogica.
Una costante del pensiero di Bergoglio è l’idea della necessità di una concezione mitica del popolo come un orizzonte condiviso di relazioni, contro l’astrazione individualista e contro le tendenze elitarie: l’idea di una partecipazione universale ma situata in uno specifico orizzonte storico, della gente normale alla vita politica in una prospettiva coincidente con gli aspetti più avanzati della dottrina sociale della chiesa. Tuttavia, come egli ha sostenuto apertamente in un’intervista del 21 gennaio 2017 a El País – quindi quando era già in Vaticano da un po’ – se questo mito popolare in America Latina lo possiamo chiamare populista, ciò non vale in Europa dove i populismi assomigliano ai fascismi. Si mostra così la scoperta di un altro populismo da parte di Bergoglio, diverso da quello latinoamericano, la cui definizione appare per certi aspetti anche troppo semplificatoria e figlia di un suo eccessivo legame con il ceto intellettuale progressista europeo. Sembra cioè che da un certo momento in poi Bergoglio operi una sovrapposizione fra l’asse inclusione-esclusione e quello globalismo-nazionalismo, che lo porta ad aderire a posizioni vicine al discorso anti-populista occidentale, lontano da quella valorizzazione del populismo insieme alla dimensione nazionale in senso anti-imperialista che caratterizza il contesto latinoamericano da cui egli proveniva. È interessante in tal senso leggere la sua adesione all’idea di Costituzione della terra proposta da Ferrajoli, in una lettera inviata meno di un anno fa al convengo “Il problema della guerra e le vie della pace” (rilanciata in una versione ridotta, non a caso, dal Manifesto). Emerge quindi, ad un certo punto del cammino di Francesco, una tensione fra il suo concetto di popolo che potremmo dire aderire a un terzomondismo populista/popolare con forte connotazioni sociali e un globalismo che tende a negarne la dimensione di radicamento, in favore di una prospettiva più immediatamente universalista. Un universalismo forse legato anche al passaggio del suo ruolo da arcivescovo della capitale un paese periferico ex coloniale al ruolo di Pontefice della Chiesa Universale: una sovrapposizione fra universalismo cristiano e mondialismo forse troppo semplificato. Troviamo quindi nell’attività di Bergoglio da Papa un parziale spostamento teorico verso la critica del populismo europeo fondata sull’asse esclusione/xenofobia vs inclusione/globalismo. Superamento che però, se si va a scavare, è più lessicale che sostanziale, o al massimo è frutto di una sintesi eclettica e non della negazione delle posizioni precedenti.
Rispetto al concetto di populismo troviamo una chiara presa di posizione in almeno due interventi degli anni ’20 – diversi per importanza ma rilevanti per il nostro discorso. Nell’enciclica Fratelli Tutti del 2020 troviamo un paragrafo significativamente intitolato Popolare o populista, dove Papa Francesco enuclea chiaramente la distinzione fra un concetto positivo, il primo, e uno negativo, il secondo. Se per certi versi questo testo ha ancora elementi sorprendenti per le posizioni politico-sociali del Papa in questa fase, come ad esempio la rivendicazione ancora del popolo come concetto mitico e della possibilità che si diano leaders che sanno interpretare il volere del popolo, dall’altro lato emerge chiara la condanna del populismo come una forma di manipolazione del consenso popolare a fini anti-popolari e soprattutto contrari a una concezione cristiana della dignità umana. In un videomessaggio che Papa Francesco invia alla conferenza londinese del 2021 “A Politics Rooted in the People” questo concetto positivo di popolare contrapposto al populismo viene chiaramente identificato con quello di popolarismo, mostrando così la chiara preferenza lessicale e il legame con questa tradizione nella politica italiana. In tal senso forse la visione politica legata al popolarismo, paradossalmente, pur superando il populismo è più aperta alle sue istanze rispetto a certe derive verso un’irenica visione globalista, più sovrapponibile con i sogni dell’intellettualità di sinistra, che con la visione del Pontefice argentino e con la sua lettura del ruolo universale della chiesa che deve salvaguardare la dimensione situata, radicata, dei popoli della terra.
E qui possiamo quindi tornare all’avanzata del nuovo conservatorismo, del populismo di destra al quale Bergoglio si è opposto e che ora si trova alla testa di un progetto – non solo interno al mondo cattolico, ovviamente – per imprimere una svolta reazionaria alle società occidentali. Se questo è definibile populismo, ma dovremmo discutere anche questo assunto, di certo Papa Francesco ne è stato un oppositore. Ma d’altro canto ci sembra che sia più vicina all’ispirazione originaria del populismo quella stessa concezione che Bergoglio non definiva più tale ma continuava in certo modo a sostenere, al di là di alcune derive.
Potremmo dire che il “populismo” e poi “popolarismo” di Bergoglio è distinguibile dal “populismo” che lui critica sulla base di una definizione geografica (populismo latinoamericano vs populismo europeo e nordamericano) ma in termini contenutistici più chiaramente sull’asse inclusione-esclusione. Per Bergoglio la determinazione storica di un popolo, necessaria alla potenza mitica di questo concetto, non deve trasformarsi in chiusura, esclusione, xenofobia, ma deve rimanere aperta al messaggio universale di Cristo e sempre vicino agli ultimi della terra.
In questo senso un populismo di ispirazione latinoamericana si può opporre ad una visione xenofoba ed escludente che sta prendendo piede, per esempio, nell’America di Trump, ma al medesimo tempo sa che del concetto di nazione non può fare a meno, anche se declinato in una prospettiva di integrazione regionale. L’eredità di Francesco, il suo messaggio teologico e politico, al di là di alcuni aspetti problematici può essere raccolta per opporsi a questa nuova tendenza reazionaria e xenofoba e allo stesso tempo per lottare contro ogni elitarismo, sempre dalla parte del popolo.