Il governo valuta il rinvio della chiusura delle centrali a carbone. Salvini spinge, Pichetto frena: «Potremmo tenerle in stand-by»

Due dei quattro impianti ancora funzionanti dovrebbero chiudere ed essere smantellati entro la fine dell'anno. Ma i piani di Trump per rivitalizzare l'industria del carbone animano dei pezzi della maggioranza e del mondo imprenditoriale italiano L'articolo Il governo valuta il rinvio della chiusura delle centrali a carbone. Salvini spinge, Pichetto frena: «Potremmo tenerle in stand-by» proviene da Open.

Apr 16, 2025 - 18:17
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Il governo valuta il rinvio della chiusura delle centrali a carbone. Salvini spinge, Pichetto frena: «Potremmo tenerle in stand-by»

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In un periodo in cui i cambiamenti climatici sembrano scomparsi dall’agenda politica – prontamente rimpiazzati da nuove priorità, come la difesa comune europea o le tensioni commerciali con gli Stati Uniti – capita che anche l’uso della fonte energetica più inquinante e pericolosa di tutte non suoni più come un tabù. Negli Stati Uniti, d’altronde, Donald Trump non ha fatto mistero dei suoi piani: il governo americano farà di tutto per rivitalizzare l’industria del carbone (e degli altri combustibili fossili). In Europa, nessuno osa arrivare a tanto. Eppure, in Italia c’è chi vuole approfittare del nuovo vento che soffia da oltreoceano per replicare le stesse battaglie di cui si fa portavoce la nuova amministrazione americana. È il caso della Lega, che da qualche giorno ha cominciato a incalzare il governo – di cui pure fa parte – per rivedere la decisione di chiudere le centrali italiane a carbone entro il 2025.

La proposta di Salvini: «Rinviare lo spegnimento delle centrali a carbone»

La questione è stata sollevata pubblicamente per la prima volta lo scorso 14 aprile, proprio a un evento organizzato dalla Lega a Milano. «Chiudere le centrali a carbone non è nell’interesse del Paese», ha scandito Matteo Salvini, vicepremier e segretario del Carroccio. La sua proposta, che se pronunciata solo pochi anni fa avrebbe indignato e fatto discutere, è passata perlopiù in sordina. Anzi, tra gli altri ospiti dell’evento ha pure riscosso un discreto successo. «La Germania è arrivata a un 26-28% di produzione energetica dal carbone… Loro che hanno predicato il Green Deal e l’hanno imposto a tutti», lo ha spalleggiato Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni. Flavio Cattaneo, ad di Enel, ha suggerito l’opportunità di prendere in considerazione una strada intermedia: fermare la produzione delle centrali a carbone, ma non smantellarle, casomai servissero in futuro. «Sono impianti perfettamente funzionanti, senza i quali durante la crisi del gas avremmo avuto grossi problemi», ha spiegato Cattaneo, la cui azienda possiede alcune delle centrali ancora in funzione ma è impegnata in un percorso di transizione verso le rinnovabili.

Pichetto frena, ma manda segnali di apertura

La posizione dell’amministratore delegato di Enel è la stessa su cui sembra muoversi anche il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, che oggi è intervenuto per dire la sua sul dibattito in corso. «Confermo la cessazione della produzione di elettricità dal carbone in Italia», ha detto il titolare del Mase rispondendo alle domande dei giornalisti. Salvo poi aggiungere che «lo smantellamento delle centrali è un altro discorso». Secondo Pichetto, l’Italia potrebbe «tenere in stand-by le centrali a carbone senza produzione», perché «il quadro geopolitico è ancora tale che nessuno è in grado di garantirci che il gas non arrivi a 70 euro al megawattora, o che ci sia qualche disfunzione nei gasdotti che ci riforniscono. Le centrali a carbone in questo momento le teniamo ferme perché non è conveniente farle produrre. Ma se si dovessero verificare queste condizioni, avremmo la valvola di riserva».

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ANSA/Fabio Cimaglia | I ministri Matteo Salvini e Gilberto Pichetto Fratin a un evento di Acea, a Roma, nel 2023

Il ruolo del carbone nel mix energetico italiano

Il carbone, che rappresenta la fonte energetica più inquinante e pericolosa per la salute umana fra tutti i combustibili fossili, ha sempre ricoperto un ruolo abbastanza marginale nel mix energetico italiano. Nel 2023, l’ultimo anno per cui sono a disposizione i dati ufficiali del Gse, il carbone ha coperto il 5,27% della produzione di energia elettrica in Italia. Le cifre ufficiali per il 2024 ancora non sono state rese disponibili, ma Terna parla di un -71% rispetto all’anno precedente, con la produzione che è ormai «sostanzialmente azzerata a eccezione della Sardegna». Con il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), il governo Meloni ha confermato la volontà di chiudere tutte le centrali a carbone entro il 2025, ad eccezione di due impianti sardi – a Sulcism (Sud Sardegna) e a Fiume Santo (Sassari) – che chiuderanno tra il 2027 e il 2028. «La scelta di mantenere in vita le centrali a carbone dev’essere ponderata su scenari di rischio, non su basi ideologiche», dice Alessandro Viviani, associate partner e head of GreenTech Hub per The European House – Ambrosetti.

La quota di energia elettrica prodotta dal carbone, fa notare l’esperto, «è piccola, ma bisogna vedere quanto è dirimente in uno scenario di crisi, perché la prudenza in uno scenario geopolitico come quello di oggi non basta mai». Mantenere le centrali a carbone «in stand-by», come suggerisce il ministro Pichetto Fratin, avrebbe comunque un costo. «Si tratta a tutti gli effetti di un investimento. Per un impianto a carbone – spiega ancora Viviani – il primo costo è quello per compensare le emissioni di CO2. Ci sarebbe da ragionare su quale modello di business si vuole costruire intorno a queste centrali». Le principali associazioni ambientaliste hanno ben chiaro il modello di business che vorrebbero per le centrali a carbone: la chiusura definitiva. In una nota congiunta, Wwf, Greenpeace, Legambiente e Kyoto Club giudicano «inaccettabile che nel 2025 ancora si proponga il carbone come parte del mix energetico». E, aggiungono le associazioni, «sarebbe davvero una pessima, pessima figura per il governo italiano tornare indietro rispetto alla decisione assunta».

Quali sono le centrali a carbone ancora attive in Italia

A inizio anno erano ancora cinque le centrali a carbone funzionanti in Italia. Una di queste, quella sita a Monfalcone (Gorizia), ha smesso di funzionare lo scorso gennaio. Un avvenimento definito «storico» dalla sindaca Anna Maria Cisint, che peraltro è stata eletta proprio con la Lega, il partito che oggi vorrebbe allungare la vita delle ultime centrali a carbone. «Si chiude definitivamente l’epoca della centrale a carbone di Monfalcone, entrata in funzione alla fine degli anni Sessanta e che per decenni ha causato gravi danni di inquinamento dalle polveri e dai fumi, soprattutto nei confronti delle abitazioni a ridosso dell’impianto», ha commentato l’ex prima cittadina friulana nel giorno in cui è partita l’ultima nave carica di combustibile che era rimasto nel sito.

Tolta la centrale di Monfalcone, rimangono quattro impianti alimentati a carbone ancora attivi in Italia: Civitavecchia, Brindisi, Sulcis e Fiume Santo. Questi ultimi due impianti si trovano in Sardegna e rimarranno attivi fino al 2027-2028, così da dare il tempo all’isola – su cui ad oggi non arriva alcun condotto di gas – di accelerare l’installazione di rinnovabili. Le prime due centrali, quelle di Civitavecchia e Brindisi, sono entrambe di proprietà dell’Enel e, a quanto apprende Open, non hanno prodotto alcuna energia né nel 2024, né nei primi mesi del 2025. Se il governo confermasse l’impegno preso con il Pniec, entrambe le centrali verrebbero chiuse entro fine anno per poi essere smantellate. Quella che sembrava essere una scadenza intoccabile rischia però di trasformarsi ora in un terreno di scontro politico.

Come si muove il resto d’Europa (e del mondo) sul carbone

Allargando lo sguardo al resto d’Europa, ci sono diversi Paesi che ancora si affidano molto al carbone per alimentare le proprie centrali elettriche. È il caso della Germania, uno degli Stati Ue più dipendenti dal carbone, che da qualche anno a questa parte ha scommesso fortemente sullo sviluppo delle rinnovabili e punta a chiudere tutti gli impianti entro il 2038. La Spagna intende spegnere la sua ultima centrale a carbone entro il 2027, mentre lo scorso settembre il Regno Unito è diventato il primo Paese del G7 a rinunciare completamente a questo combustibile fossile per la produzione di elettricità.

Negli Stati Uniti, Donald Trump ha fatto carta straccia delle politiche sulle rinnovabili avviate dall’amministrazione Biden e ha firmato una serie di ordini esecutivi volti a incrementare la produzione nazionale di carbone, ritenuta fondamentale per soddisfare l’aumento della domanda di elettricità connessa all’intelligenza artificiale negli Stati Uniti. A livello mondiale, la Cina resta di gran lunga il più grande produttore di carbone. Nel 2024, il 60% dei consumi energetico è stato coperto proprio da questo combustibile fossile. Allo stesso tempo, Pechino può contare sullo sviluppo record di eolico e solare, che continuano a crescere più di ogni previsione e potrebbero convincere Xi a dire addio al carbone ben prima del previsto.

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ANSA/Alessandro Di Meo | La centrale a carbone di Enel a Torre Valdaliga Nord, Civitavecchia, in un’immagine d’archivio del 2010

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