Il 25 aprile non è passato: deve tornare a essere una lotta femminista
In generale, l’immaginario costruito sulla Resistenza e sul 25 aprile è tanto parziale quanto addolcito da decenni di politiche liberali che hanno allontanato il popolo dalla cittadinanza attiva e dalla partecipazione politica, al punto da farci percepire la nostra stessa liberazione come un grande buffet a cui tutti i colori e schieramenti politici hanno partecipato. […] The post Il 25 aprile non è passato: deve tornare a essere una lotta femminista appeared first on The Wom.


In generale, l’immaginario costruito sulla Resistenza e sul 25 aprile è tanto parziale quanto addolcito da decenni di politiche liberali che hanno allontanato il popolo dalla cittadinanza attiva e dalla partecipazione politica, al punto da farci percepire la nostra stessa liberazione come un grande buffet a cui tutti i colori e schieramenti politici hanno partecipato. Come se, tutto sommato, partigiani e fascisti fossero due facce della stessa medaglia. E questa retorica di plastica contribuisce a creare una memoria condivisa in cui è vero, l’Italia a un certo punto si è liberata, ma da chi e da cosa non è chiaro. Ancora meno chiaro è chi l’ha liberata. Allora, dato che il contesto è questo, tocca ribadirlo forte e chiaro:
la Liberazione è stata lotta, è stata scelta, è stata guerra partigiana contro un totalitarismo
E questo lungo processo è stato catalizzato dalla rabbia e dal coraggio di donne e uomini che hanno detto “basta”, che hanno preso tutti gli strumenti che avevano, che hanno letteralmente sabotato un regime, che hanno nascosto compagni e compagne dissidenti e curato le reciproche ferite. Che hanno rischiato la vita – e molte volte l’hanno persa – per la libertà di tutte e tutti. Per questo, da generazioni, cantiamo con fierezza “Oh partigiano portami via”, non solo il 25 aprile.
Ma in questo racconto, che quest’anno compie ottant’anni, che ruolo hanno avuto le donne? Perché hanno sempre occupato un ruolo così marginale nella narrazione ufficiale?
Il ruolo fondamentale delle donne nella resistenza
Dove sono nei monumenti, nelle piazze, nei libri di scuola? Certo, sappiamo che tante, tantissime donne hanno ricoperto il ruolo di “staffette”, ovvero essenziali messaggere segrete che portavano comunicazioni tra le varie brigate partigiane, sostanzialmente il reparto logistica della rivoluzione. Sappimo che, sfruttando a loro favore lo stereotipo che le voleva meno pericolose degli uomini ed essendo dunque soggette a meno controlli da parte dei soldati, si muovevano in bicicletta tra campagne e città, arrivando a percorrere persino sentieri di montagna pur di recapitare informazioni che spesso si rivelavano determinanti per la vittoria di ogni piccola battaglia quotidiana. Ma sappiamo anche che il ruolo delle staffette è stato ricordato in modo vagamente paternalista come marginale, come se il vero contributo alla resistenza fosse stato esclusivamente muscolare. Pare essere questo uno dei motivi per cui non le vediamo nominate nei monumenti ai caduti e non vengono ricordate nelle varie sfilate istituzionali. Secondo la narrazione dominante, alla fine, non abbiamo fatto niente di che.
Niente di più sbagliato: le donne erano partigiane, armate. Sparavano. Sabotavano. Organizzavano. Decisive e invisibili, compatte e inarrestabili. Tra tutte, forse abbiamo sentito la storia di Carla Capponi, medaglia d’oro al valor militare che uccise un ufficiale nazista e continuò a combattere senza chiedere il permesso a nessuno, sappiamo siciramente che c’era una ribelle di nome Irma Bandiera, torturata e infine uccisa dai fascisti, conosciamo la storia di Gianna Radiconcini che commerciava dinamite di contrabbando per far esplodere le camionette dei militari e ci risuona sicuramente anche il nome Tina Anselmi, che dopo la Resistenza passò alla politica per costruire un’Italia diversa, giusta, libera. Circa trentacinquemila donne parteciparono alla guerra di liberazione come partigiane e altre settantamila si organizzarono in Gruppi di difesa. Eppure.
Eppure ancora oggi ci si dimentica che il 25 aprile è anche, e soprattutto, una vittoria femminista
Schierarsi in prima linea e rischiare la pelle per un ideale, ha rappresentato una presa di potere che si è rivelata decisiva per le sorti dell’Italia, nella guerriglia partigiana prima, alle urne poi. Uno doppio schiaffo al patriarcato e al fascismo, sistemi politici e culturali che ci volevano (e ci vogliono) brave madri e mogli silenziose, chiuse in casa, obbedienti. E invece? Abbiamo fatto la rivoluzione. Perché si, l’abbiamo fatta anche noi.
LEGGI ANCHE – La Resistenza è donna: la storia (dimenticata) delle partigiane italiane
Il 25 aprile deve tornare a essere una lotta femminista
E oggi, in un Paese in cui si attacca il diritto all’aborto, si normalizza il linguaggio fascista, si reprime la protesta con decreti attenzionati dalle Nazioni Unite, si criminalizzano le donne povere e migranti, il 25 aprile deve tornare a essere lotta femminista.
Altro che “festa”. È un giorno di fuoco. Perché c’è chi vorrebbe sovrascrivere la nostra memoria e revisionare la storia, c’è chi racconta che i morti sono tutti uguali, mettendo sullo stesso piano carnefici e combattenti. Ma noi, che sappiamo da che parte stare, sappiamo anche che il 25 aprile è nostro. È delle donne che hanno resistito allora e che resistono oggi. Delle femministe che scendevano e scendono in piazza, ieri con le mimose, oggi con le bandane fucsia di Non una di meno, che rifiutano il silenzio, l’obbedienza, le buone maniere.
Le partigiane del presente sono le ragazze che non vogliono più avere paura, che non accettano che venga messo in discussione il loro diritto a esistere, a scegliere, a essere libere
E mentre i governi fanno leva sulle parole “valori tradizionali”, “merito” e “ordine”, noi ne operiamo la traduzione più corretta, perché sappiamo bene cosa quei termini significano: controllo, sottomissione, violenza istituzionale. Un tuffo nel passato, il vecchio fascismo travestito da modernità. È la stessa ideologia del Codice Rocco, che bruciava i libri, vietava il divorzio, imponeva la maternità obbligatoria. I frutti della stessa ideologia per cui le partigiane non erano militanti ma criminali.
Per questo ricordare il 25 aprile non basta. Bisogna ricordarsi di viverlo. Bisogna continuarlo. Nelle scuole, nelle piazze, sui posti di lavoro
Nelle case e alle urne. Ogni giorno, con la stessa rabbia, la stessa determinazione, lo stesso amore per la libertà delle sorelle che ci hanno precedute.
Le partigiane non volevano solo la fine del fascismo. Volevano un altro mondo. Un mondo più giusto, più libero. E dato che quel mondo non è ancora arrivato, adesso tocca a noi.
Tocca a noi resistere. Tocca a noi combattere. Tocca a noi gridare che il 25 aprile non è passato, è adesso.
The post Il 25 aprile non è passato: deve tornare a essere una lotta femminista appeared first on The Wom.