I dazi di Trump minacciano il futuro dei fondi climatici: ecco cosa sta succedendo (a rischio anche i soldi destinati ai più vulnerabili in Italia)
È delle ultimissime ore la notizia per cui Trump ha rinviato a 90 giorni l’entrata in vigore dei dazi, tranne che per Messico, Canada e Cina. Anzi, sui prodotti cinesi, la Casa Bianca ha addirittura decretato l’aumento dei dazi al 125%, in un’escalation che un po’ inquieta con Pechino. Intanto, in Italia, il Governo ha...

È delle ultimissime ore la notizia per cui Trump ha rinviato a 90 giorni l’entrata in vigore dei dazi, tranne che per Messico, Canada e Cina. Anzi, sui prodotti cinesi, la Casa Bianca ha addirittura decretato l’aumento dei dazi al 125%, in un’escalation che un po’ inquieta con Pechino.
Intanto, in Italia, il Governo ha annunciato lo stanziamento di fondi per attenuare l’impatto dei dazi americani sulle imprese italiane. Ma da dove arrivano i fondi?
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Secondo WWF, Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club, Transport&Environment, Mira Network, Clean Cities, CGIL, Forum Diseguaglianze e Diversità parte dei soldi potrebbe essere reperita usando tutto il plafond a disposizione del Social Climate Fund, un fondo che ancora non è disponibile e che verrà finanziato per lo più dai proventi della vendita delle quote di emissioni derivanti dalla combustione di carburanti negli edifici, nel trasporto su strada e in altri settori, il cosiddetto ETS2, e che ha lo scopo di minimizzare l’impatto della transizione verde sulle fasce più povere e vulnerabili della popolazione.
Usare quei fondi per fini diversi non è possibile, tanto più che modalità e destinazioni devono essere preventivamente concordate con la Commissione Europea attraverso un Piano da presentare entro giugno di quest’anno. Del tutto fuori luogo, poi, impiegarli per far fronte a un’emergenza, quindi per interventi immediati.
Insomma, al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) forse non sanno cosa è il Social Climate Fund o fingono di non saperlo. Visto che avevano inserito il Fondo Sociale per il Clima anche nel Decreto Bollette, pur non potendolo usare nemmeno per quello scopo. Insomma, sempre gli stessi soldi (il totale è sempre 7 miliardi) che in realtà non possono usare. Pare quasi che al MEF siano più preoccupati di impedire le misure per garantire la transizione verde anche ai più vulnerabili che di reperire fondi effettivamente esistenti e disponibili.
Cos’è il Social Climate Fund
Nell’ambito degli sforzi per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, l’Ue ha introdotto ulteriori requisiti per la riduzione delle emissioni nell’edilizia e nei trasporti e per sostenere una transizione giusta e inclusiva, ha creato il Fondo sociale per il clima che aiuterà le famiglie vulnerabili, le piccole imprese e gli utenti dei trasporti che sono particolarmente colpiti dalla povertà energetica e dei trasporti.
Si tratta di un Fondo, quindi, che ha lo scopo di sostenere una transizione equa verso la neutralità climatica, contribuendo ad alleviare gli impatti sociali ed economici dell’ETS2 ed è destinato ai gruppi vulnerabili, come le famiglie in condizioni di povertà energetica o di trasporto, perché siano direttamente sostenuti e non lasciati indietro nella transizione verde.
Gli Stati dell’Unione europea possono utilizzare il Fondo per sostenere misure strutturali e investimenti nell’efficienza energetica e nella ristrutturazione di edifici, nel riscaldamento e raffreddamento puliti e nell’integrazione delle energie rinnovabili, nonché in soluzioni di mobilità a zero e basse emissioni. Scopi che, dicono le organizzazioni, devono essere tenuti in conto anche nelle misure di sostegno al reddito, sempre dei più poveri, che non possono superare comunque il 37,5% dell’ammontare disponibile.
WWF, Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club, Transport&Environment, Mira Network, Forum Diseguaglianze e Diversità, CGIL e Clean Cities fanno appello al Governo affinché riconosca che la transizione verde non è solo una risposta alla crisi climatica, ma offre soluzioni strutturali anche per altre emergenze, come quella energetica.
Continuare a ostacolare questo processo sarebbe una scelta miope e ideologica, alimentando gli interessi di chi desidera mantenere l’Italia dipendente dai combustibili fossili. Inoltre, è inaccettabile e poco dignitoso utilizzare fondi che, secondo le regole stabilite, non sono destinati ad affrontare altre emergenze. È necessario piuttosto rivedere le priorità di spesa, eliminando per esempio fondi destinati a infrastrutture inutili.
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