GP Arabia Saudita: fiducia, efficienza e setup bilanciato fanno la differenza
Gp Arabia Saudita, quinta tappa del mondiale di F1. Jeddah, rappresenta una sfida unica nel calendario. Non solo per la sua velocità media, superiore ai 250 km/h, che lo rende il cittadino più rapido del mondiale, ma anche per la complessità del tracciato stesso: 27 curve, oltre 6 km di lunghezza e una sequenza continua […]

Gp Arabia Saudita, quinta tappa del mondiale di F1. Jeddah, rappresenta una sfida unica nel calendario. Non solo per la sua velocità media, superiore ai 250 km/h, che lo rende il cittadino più rapido del mondiale, ma anche per la complessità del tracciato stesso: 27 curve, oltre 6 km di lunghezza e una sequenza continua di cambi di direzione a medio-alta velocità. In una pista così tecnica, dove si sfiorano i muri a oltre 300 km/h, il setup è fondamentale e può fare la differenza tra un giro perfetto e un errore irreversibile.
L’importanza dell’efficienza aerodinamica
La parola d’ordine è una sola: efficienza aerodinamica: non basta avere delle monoposto scariche per guadagnare in rettilineo. Serve infatti generare tanto carico nei tratti più guidati. La downforce al posteriore è medio-bassa, ma la sfida è tutta quanta nell’equilibrio. Le vetture devono riuscire a produrre spinta verticale a bassa resistenza, mantenendo stabilità in appoggio e nei cambi di direzione.
Molti confondono l’efficienza con la semplice riduzione del drag, ma in realtà si tratta di massimizzare il carico generato rispetto alla resistenza. A Jeddah, il fondo dell’auto lavora tantissimo: ogni variazione di assetto o altezza da terra può alterare radicalmente la prestazione, oltre che la fiducia del pilota, fondamentale dal momento che, per massimizzare la prestazione, specie sul giro secco, si sfiorano i muri curva dopo curva.
In questo senso, nelle prime 4 gare abbiamo già visto differenze notevoli tra compagni di squadra: Charles Leclerc decisamente più a suo agio di Lewis Hamilton in casa Ferrari. Mentre per quanto riguarda la McLaren, Oscar Piastri a dato prova di avere molta più sicurezza al volante di Lando Norris. Se parliamo di Red Bull, invece, è quasi inutile paragonare Max Verstappen ai suoi compagni.
Il setup sospensivo
Il setup sospensivo, come in ogni tracciato di F1, sarà determinante per affrontare al meglio lo snake centrale e tutti i rapidi cambi di direzione del tracciato. All’anteriore si prediligono sospensioni più rigide, molto simili a quanto visto a Suzuka. Il motivo è chiaro: più è rigido l’avantreno, più è preciso nei cambi di direzione. Questo consente una piattaforma aerodinamica stabile e riduce il rollio dell’auto, evitando infiltrazioni nei Canali Venturi che comprometterebbero il funzionamento del fondo e la generazione di carico.
Al posteriore, al contrario, si opta per un assetto leggermente più morbido. Questo aiuta a massimizzare le fasi di accelerazione in uscita dalle curve lente e medio-veloci come la 13, la 17, la 24 e soprattutto la numero 27. In questo preciso punto della pista, risulta fondamentale riuscire ad andare sul gas il prima possibile, con l’intento di sfruttare la lunghezza dei rettilinei e difendersi (o attaccare) in zona DRS.
Sicuramente, anche un’impostazione più veloce relativa alla compressione dei damper (ammortizzatori) posteriori aiuta parecchio, per mettere giù il gas più velocemente e con più sicurezza. D’altra parte, in questo modo, lo spostamento dei pesi della monoposto verso il retrotreno è più rapido dopo una frenata. Insomma, come sempre, anche a livello meccanico, azzeccare il compromesso sarà cruciale.
La rilevanza della ride height
Ancora una volta è importante parlare di altezze da terra in F1. L’asfalto estremamente liscio del circuito consente ai team di abbassare molto le vetture, aumentando così l’efficienza aerodinamica e riducendo il drag. Tuttavia, bisogna prestare attenzione a due punti critici del tracciato: curva 10 e 23, dove i cordoli sono più alti. In queste curve, i piloti salgono in maniera aggressiva sui cordoli, ottimizzano la traiettoria e anticipano il gas.
Se le auto di F1 è troppo bassa si rischia di toccare con il plank, causando instabilità e perdita di carico improvvisa (oltre che consumare eccessivamente lo skid e andare in penalità). A Jeddah, anche il differenziale assume un ruolo molto strategico. La sequenza di curve veloci e la necessità di avere una piattaforma stabile sia in ingresso che in uscita rende fondamentale lavorare su alcuni parametri.
- Diff Entry (differenziale in ingresso): da regolare per avere una rotazione naturale della vettura senza causare sottosterzo;
- Diff Mid (in centro curva): per mantenere trazione costante nei lunghi tratti in appoggio;
- Diff Exit (in uscita): fondamentale per evitare pattinamenti e sfruttare tutta la potenza ibrida in uscita da curva 13, 17 e 27.
Gestione potenza ibrida
Proprio la gestione dell’ibrido sarà un aspetto sul quale le squadre di F1 hanno certamente lavorato a casa. Infatti, in una pista dove le frenate sono poche e concentrate solo in curva 1 e 27, il recupero di energia da parte dell’MGU-K è limitato. Sarà quindi l’MGU-H, che recupera energia termica dalla turbina, a essere protagonista. I team hanno pianificato dove e quanto ricaricare per massimizzare le fasi di attacco e difesa nei lunghi rettilinei.
È un elemento spesso sottovalutato, ma può fare una differenza strategica enorme in gara. In conclusione, Jeddah è un circuito che non perdona. La fiducia del pilota, l’efficienza aerodinamica e un setup estremamente preciso sono la chiave per estrarre prestazione. Il margine d’errore è ridotto al minimo e il muro è sempre dietro l’angolo. Chi saprà trovare l’equilibrio perfetto tra stabilità e velocità potrà fare la differenza in qualifica e in gara.
Autore: Marco Iurlandino
Immagini: Scuderia Ferrari – F1Tv