Giustizia: è l’ora di voltare pagina
Dovrebbero essere gli italiani a scioperare contro la magistratura. Perché non sopportiamo più i loro errori (marchiani) e i privilegi (palesi) di una casta che pensa di essere sempre al di sopra della giustizia che non è in grado di cambiareMa che giustizia è quella che a 25 anni da un delitto non è in grado di stabilire se qualcuno è colpevole o innocente? Come si può parlare di giustizia se a dieci anni dalla condanna definitiva per omicidio di una giovane, e dunque dopo che un «colpevole» ha trascorso 3.368 giorni dietro le sbarre, i magistrati riaprono il caso e indagano per lo stesso assassinio un’altra persona? Credo che tutti, nei giorni scorsi, si siano posti queste domande. La decisione della Cassazione di annullare la sentenza di assoluzione dell’ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce, della moglie e del figlio, accusati a vario titolo di aver ucciso e occultato il corpo di Serena Mollicone, una ragazza di 18 anni sparita per giorni e poi ritrovata cadavere ai margini di una strada, ha infatti riaperto il caso. Per individuare i responsabili non sono bastati gli esami del Dna su centinaia di persone, l’arresto di un presunto testimone (un carrozziere che passò un anno e sette mesi in carcere prima di essere scagionato), la riesumazione del cadavere, due autopsie, accertamenti tecnici a più riprese sulla salma, sul nastro adesivo con cui venne legata la giovane, sulla vernice e la colla delle porte della caserma dei carabinieri.Dopo due assoluzioni, in primo e secondo grado, i giudici della suprema Corte hanno deciso di celebrare di nuovo il processo e di far tornare a sedere sul banco degli imputati il maresciallo che svolse le indagini, la moglie e il figlio, il quale conosceva molto bene Serena Mollicone. Dimenticavo: a vario titolo, nel corso dell’inchiesta sono stati indagati diversi militari dell’Arma, che avrebbero saputo del delitto e avrebbero taciuto. Uno solo parlò, raccontando di aver visto entrare in caserma una ragazza con le stesse sembianze della vittima. Ma poi, quello stesso carabiniere, forse per le pressioni subite ritrattò, salvo poi confermare di nuovo e infine suicidarsi. Certo, la vicenda è intricata. Probabilmente ci sono stati depistaggi e forse addirittura sono sparite delle prove. Ma può la giustizia continuare a rimpallare accuse e assoluzioni senza riuscire a sciogliere il mistero di chi ha ucciso una ragazza di 18 anni che forse in quella caserma era entrata per denunciare il figlio del comandante, sospettato di spacciare droga? Venticinque anni e un’infinità di indagini non sono sufficienti a stabilire se ci sono elementi per assolvere o condannare?Forse ancor più grave è quello che ci siamo abituati a chiamare «il delitto di Garlasco». Una ragazza, Chiara Poggi, viene uccisa nella villetta in cui abita con i genitori, i quali sono in vacanza con il fratello. Le indagini prendono subito una brutta piega, perché forse non tutti gli accertamenti vengono eseguiti. Si sospetta di tanti, ma in particolare del fidanzato, che però era a casa sua davanti al computer, a preparare la tesi. Un assassino dovrebbe per forza essersi sporcato di sangue le scarpe, ma Alberto Stasi, il ragazzo legato a Chiara, le scarpe le ha pulite e questo diventa un argomento a carico, perché si pensa che abbia gettato le sneaker macchiate, peraltro introvabili. C’è un primo processo e il gip assolve l’imputato. In appello, altra assoluzione. Ma poi arriva la Cassazione che annulla tutto e si ricomincia. Questa volta il giudizio è ribaltato: colpevole, e la sentenza quando arriva davanti ai giudici della suprema Corte è confermata. Il 15 dicembre del 2015 per Alberto Stasi, che continua a proclamarsi innocente, si spalancano le porte del carcere. Ma l’11 marzo del 2025, quando l’ex fidanzato di Chiara ha quasi finito di scontare la sua pena, la procura si convince che le indagini siano state mal condotte e riapre il caso indagando per concorso in omicidio un’altra persona, in seguito ad alcuni frammenti di Dna trovati sotto le unghie della vittima. Si tratta di una nuova prova, scovata da inquirenti che non si sono arresi? No, è una prova vecchia, che però all’epoca fu sottovalutata. Così, 18 anni dopo il delitto di Chiara, c’è un colpevole apparentemente certo perché una sentenza definitiva lo ha definito tale, un colpevole presunto perché per ora a suo carico ci sono solo indagini, e un fallimento della giustizia, che dopo dieci anni si pente e ritiene di aver messo in carcere il colpevole sbagliato.Pensate che quelli di Arce e di Garlasco siano casi limite? No. Qualche settimana fa ho pubblicato le statistiche degli errori giudiziari e, a scorrerle, si capisce che non si tratta di eccezioni. Da Beniamino Zuncheddu a Giuseppe Gullotta, da Stefano Binda a Raffaele Sollecito e Amanda Knox, la storia di inchieste finite male, con l’arresto di innocenti e non dei veri colpevoli è lunga. Ma anche senza andare indietro nel tempo, prendete altri due casi di cronaca assai recenti. È possib


Dovrebbero essere gli italiani a scioperare contro la magistratura. Perché non sopportiamo più i loro errori (marchiani) e i privilegi (palesi) di una casta che pensa di essere sempre al di sopra della giustizia che non è in grado di cambiare
Ma che giustizia è quella che a 25 anni da un delitto non è in grado di stabilire se qualcuno è colpevole o innocente? Come si può parlare di giustizia se a dieci anni dalla condanna definitiva per omicidio di una giovane, e dunque dopo che un «colpevole» ha trascorso 3.368 giorni dietro le sbarre, i magistrati riaprono il caso e indagano per lo stesso assassinio un’altra persona? Credo che tutti, nei giorni scorsi, si siano posti queste domande. La decisione della Cassazione di annullare la sentenza di assoluzione dell’ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce, della moglie e del figlio, accusati a vario titolo di aver ucciso e occultato il corpo di Serena Mollicone, una ragazza di 18 anni sparita per giorni e poi ritrovata cadavere ai margini di una strada, ha infatti riaperto il caso. Per individuare i responsabili non sono bastati gli esami del Dna su centinaia di persone, l’arresto di un presunto testimone (un carrozziere che passò un anno e sette mesi in carcere prima di essere scagionato), la riesumazione del cadavere, due autopsie, accertamenti tecnici a più riprese sulla salma, sul nastro adesivo con cui venne legata la giovane, sulla vernice e la colla delle porte della caserma dei carabinieri.
Dopo due assoluzioni, in primo e secondo grado, i giudici della suprema Corte hanno deciso di celebrare di nuovo il processo e di far tornare a sedere sul banco degli imputati il maresciallo che svolse le indagini, la moglie e il figlio, il quale conosceva molto bene Serena Mollicone. Dimenticavo: a vario titolo, nel corso dell’inchiesta sono stati indagati diversi militari dell’Arma, che avrebbero saputo del delitto e avrebbero taciuto. Uno solo parlò, raccontando di aver visto entrare in caserma una ragazza con le stesse sembianze della vittima. Ma poi, quello stesso carabiniere, forse per le pressioni subite ritrattò, salvo poi confermare di nuovo e infine suicidarsi. Certo, la vicenda è intricata. Probabilmente ci sono stati depistaggi e forse addirittura sono sparite delle prove. Ma può la giustizia continuare a rimpallare accuse e assoluzioni senza riuscire a sciogliere il mistero di chi ha ucciso una ragazza di 18 anni che forse in quella caserma era entrata per denunciare il figlio del comandante, sospettato di spacciare droga? Venticinque anni e un’infinità di indagini non sono sufficienti a stabilire se ci sono elementi per assolvere o condannare?
Forse ancor più grave è quello che ci siamo abituati a chiamare «il delitto di Garlasco». Una ragazza, Chiara Poggi, viene uccisa nella villetta in cui abita con i genitori, i quali sono in vacanza con il fratello. Le indagini prendono subito una brutta piega, perché forse non tutti gli accertamenti vengono eseguiti. Si sospetta di tanti, ma in particolare del fidanzato, che però era a casa sua davanti al computer, a preparare la tesi. Un assassino dovrebbe per forza essersi sporcato di sangue le scarpe, ma Alberto Stasi, il ragazzo legato a Chiara, le scarpe le ha pulite e questo diventa un argomento a carico, perché si pensa che abbia gettato le sneaker macchiate, peraltro introvabili. C’è un primo processo e il gip assolve l’imputato. In appello, altra assoluzione. Ma poi arriva la Cassazione che annulla tutto e si ricomincia. Questa volta il giudizio è ribaltato: colpevole, e la sentenza quando arriva davanti ai giudici della suprema Corte è confermata.
Il 15 dicembre del 2015 per Alberto Stasi, che continua a proclamarsi innocente, si spalancano le porte del carcere. Ma l’11 marzo del 2025, quando l’ex fidanzato di Chiara ha quasi finito di scontare la sua pena, la procura si convince che le indagini siano state mal condotte e riapre il caso indagando per concorso in omicidio un’altra persona, in seguito ad alcuni frammenti di Dna trovati sotto le unghie della vittima. Si tratta di una nuova prova, scovata da inquirenti che non si sono arresi? No, è una prova vecchia, che però all’epoca fu sottovalutata. Così, 18 anni dopo il delitto di Chiara, c’è un colpevole apparentemente certo perché una sentenza definitiva lo ha definito tale, un colpevole presunto perché per ora a suo carico ci sono solo indagini, e un fallimento della giustizia, che dopo dieci anni si pente e ritiene di aver messo in carcere il colpevole sbagliato.
Pensate che quelli di Arce e di Garlasco siano casi limite? No. Qualche settimana fa ho pubblicato le statistiche degli errori giudiziari e, a scorrerle, si capisce che non si tratta di eccezioni. Da Beniamino Zuncheddu a Giuseppe Gullotta, da Stefano Binda a Raffaele Sollecito e Amanda Knox, la storia di inchieste finite male, con l’arresto di innocenti e non dei veri colpevoli è lunga. Ma anche senza andare indietro nel tempo, prendete altri due casi di cronaca assai recenti. È possibile che dopo tre anni di indagini si scopra che Liliana Resinovich non si è suicidata, chiudendosi da sola in un sacco e occultandosi in un bosco, ma sia stata picchiata e uccisa? Ma chi le ha fatte le indagini? E poi c’è il caso di Luca Canfora, sceneggiatore che ha lavorato all’ultimo film di Paolo Sorrentino (Panorama ne ha parlato mesi fa): il cadavere è stato rinvenuto in mare, a Capri, e la sua morte è stata archiviata come suicidio. Si sarebbe lanciato dalla scogliera, ma il corpo non presenta le fratture che ci si aspetterebbe in una persona che è caduta sulla roccia. E allora? Si riesuma il cadavere, riaprendo le indagini.
Pm e giudici sono preoccupati per la separazione delle carriere e minacciano scioperi e proteste in tutta Italia: sostengono che, dividendo il percorso della magistratura requirente da quella giudicante, si vogliono mettere le procure sotto il controllo della politica. Non starò a ricordare che cosa penso della separazione delle toghe e della riforma del ministro Carlo Nordio. Propongo solo una cosa: e se a scioperare contro lo sfacelo della giustizia che ho appena tratteggiato fossero gli italiani? Se fossimo noi a dire che non sopportiamo più gli errori (marchiani) e i privilegi (palesi) di una casta che pensa di essere sempre al di sopra della giustizia e non è in grado di cambiare? Pensateci. Il mondo dell’industria, della scuola, della sanità e della politica è cambiato. La sola cosa che negli ultimi trent’anni non è cambiata, è la magistratura. Non vi sembra l’ora di voltare pagina?