Giuristi contro il dl sicurezza: “Forzatura senza precedenti”
Roberto Zaccaria: “Quello del governo è un modello di repressione delle libertà democratiche”

Roma, 28 aprile 2025 – “Appello per una sicurezza democratica”. È il titolo della presa di posizione contro il decreto sicurezza promosso, tra gli altri, dai presidenti emeriti della Corte costituzionale Ugo De Siervo, Gaetano Silvestri, Gustavo Zagrebelsky e i vicepresidenti Enzo Cheli e Paolo Maddalena. L’iniziativa ha già raccolto l’adesione di oltre 250 giuspubblicisti delle università italiane, come spiega il professor Roberto Zaccaria, già docente di istituzioni di diritto pubblico all’università di Firenze, oltre che ex presidente Rai e parlamentare dem.
Professor Zaccaria, non capita spesso che il corpo accademico agisca così unanimemente.
“Come abbiamo scritto, ci sono momenti in cui si verificano forzature istituzionali di particolare gravità, di fronte alle quali non è più possibile tacere ed è anzi doveroso assumere insieme pubbliche posizioni. È quel che è accaduto col decreto sicurezza, su cui c’è un giudizio critico unanime non solo da parte dei docenti, ma anche delle Camere penali e dell’Anm. Siamo di fronte a una forzatura senza precedenti che va aldilà dell’annoso abuso della decretazione d’urgenza, in quanto il governo ha scippato e umiliato le Camere, appropriandosi di un ddl lungamente discusso e sostituendolo con un maxi-decreto contenente nuove gravissime ipotesi di reato o di aggravamento di reati esistenti. Con uno strumento ordinario si sta facendo un’operazione di forte limitazione delle libertà democratiche che presenta gravi profili di incostituzionalità”.
In relazione a cosa in particolare?
“C’è innanzitutto il problema di fondo di come si si inquadra nel nostro ordinamento il tema della sicurezza. Da bene costituzionalmente tutelato e limite alle libertà costituzionali, rischia di trasformarsi in un valore ideale fondante, spesso coniugato col gemello ordine pubblico, che nella Costituzione non ha cittadinanza. Una lettura inappropriata che mette in discussione la nostra forma di Stato”.
In pratica?
“Si afferma un modello di repressione delle forme del dissenso che in una società democratica è invece fondamentale tutelare con forza. Se fare un sit-in equivale a un’aggressione durante una manifestazione, lo si equipara a comportamento violento. Oppure il Daspo urbano: impedire di partecipare a certe riunioni solo perché si è stati denunciati, non condannati, è un atto di prevaricazione fortissimo. Anche laddove si equiparano i Cpr al carcere e la resistenza passiva alle condotte attive di rivolta si lede il principio costituzionale di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. Libertà personale (art. 13) e di circolazione (art. 16), diritto di riunione (art. 17), non tassatività delle pene (art. 25) sono tutte libertà costituzionali fortemente limitate dal decreto. Ciò dimostra la pericolosità di un atto legislativo che non è una riforma costituzionale, ma alcuni diritti fondamentali”.
Non sarebbe allora il caso che docenti, magistrati e avvocati facessero sentire insieme la loro voce al Parlamento?
“Il fatto che come giuspubblicisti abbiamo preso parola insieme serve a illuminare il problema, dando forza e rilevanza pubblica alla questione. Non siamo un partito o un’associazione di categoria. Cerchiamo di aprire alla società civile e di sollecitarla. Il nostro proposito è far capire all’opinione pubblica, che in democrazia forma le posizioni e influenza le decisioni politiche, che siamo di fronte a un serio pericolo. Poi noi ci siamo”.