Gaza: pochi hub al Sud, riconoscimento facciale, pacchi gestiti da milizie private. Così Israele controllerà gli aiuti umanitari
Non entra più un container dal 2 marzo. Mancano farina e gas, quindi anche cucinare il pane è diventato quasi impossibile. Al momento la sussistenza di decine di migliaia di persone dipende da 168 cucine comunitarie gestite dal World Food Programme, che il 25 aprile ha annunciato di non aver più la possibilità di rimpinguarne […] L'articolo Gaza: pochi hub al Sud, riconoscimento facciale, pacchi gestiti da milizie private. Così Israele controllerà gli aiuti umanitari proviene da Il Fatto Quotidiano.

Non entra più un container dal 2 marzo. Mancano farina e gas, quindi anche cucinare il pane è diventato quasi impossibile. Al momento la sussistenza di decine di migliaia di persone dipende da 168 cucine comunitarie gestite dal World Food Programme, che il 25 aprile ha annunciato di non aver più la possibilità di rimpinguarne le scorte. Così il numero di pasti caldi distribuiti ogni giorno è sceso a 950mila da oltre un milione che erano inizio aprile. Con ciò che è rimasto nelle dispense si è andati avanti fino a oggi, ma domani chissà. Mentre si consolidano i piani per una effettiva occupazione del territorio, la partita della distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza è tutta da scrivere. Il governo Netanyahu sa di doverne consentire la ripresa, ma ha posto una lunga serie di condizioni.
Secondo un memorandum frutto di una riunione tra il Coordination of Government Activities in the Territories, l’ente del ministero della Difesa israeliano incaricato di coordinare gli aiuti nella Striscia, e funzionari delle Nazioni Unite, quando riprenderà la distribuzione Israele intende far entrare tutti gli aiuti attraverso il valico di Kerem Shalom, che si trova nel sud dell’enclave al confine con l’Egitto. I centri di distribuzione si troverebbero tutti a sud del corridoio di Netzarim, che isola il nord di Gaza dal resto del territorio. Sarà consentito l’ingresso di circa 60 camion al giorno ma il contenuto dei pacchi non è chiaro, così come il numero di persone che avranno accesso agli aiuti.
Il trasporto, l’immagazzinamento e la distribuzione delle derrate sarà affidata a organizzazioni internazionali e compagnie di sicurezza private, la cui incolumità sarà garantita dalle Israel Defense Forces, quindi non prenderebbero parte alla gestione dei pacchi come chiesto al governo dai loro vertici. Ogni famiglia dovrà comunicare alla autorità il nome di un membro incaricato di raggiungere una delle zone di sicurezza gestite dalla Idf nel sud dell’enclave dove gli aiuti saranno distribuiti, dopo essere stato sottoposto a diversi controlli lungo il percorso e a riconoscimento facciale una volta arrivato. Ogni pacco conterrà cibo sufficiente per un certo numero di giorni, al termine dei quali l’incaricato sarà autorizzato tramite sms a lasciare la propria casa o il proprio campo profughi per tornare nella zona di sicurezza e ricevere un altro pacco.
La autorità di Tel Aviv ritengono che questo metodo renderà più difficile per Hamas dirottare gli aiuti verso i suoi miliziani, ma la soluzione che non soddisfa le organizzazioni umanitarie. Uno dei timori è che obbligare i palestinesi a ritirare le derrate da un numero limitato di siti, invece di renderli disponibili più vicino ai luoghi in cui vivono, costringerebbe le famiglie a spostarsi per ottenere assistenza con tutto ciò che comporta per la loro sicurezza e con il diritto internazionale che vieta il trasferimento forzato delle persone. Gli stessi hub sollevano diversi timori. Essendo pochi, enormi folle di persone affamate saranno costrette a radunarsi in luoghi presumibilmente vicini alle truppe israeliane. E i diverse occasioni durante la guerra, i militari hanno aperto il fuoco sulla folla che si accalcava attorno ai camion carichi di scorte adducendo questioni legate all’incolumità dei militari.
Nel memorandum si legge che gli Stati Uniti hanno espresso chiaro sostegno al piano, ma non è chiaro chi pagherà i contractor privati, ma il reclutamento sarebbe già iniziato. Secondo alcuni documenti consultati da Associated Press, un’azienda di sicurezza con sede negli Stati Uniti, Safe Reach Solutions, si è rivolta ad alcuni partner per testare un sistema di distribuzione degli aiuti lungo il corridoio di Netzarim. Nel frattempo, le autorità israeliane hanno comunicato alle organizzazioni umanitarie che queste ultime dovranno registrarsi nuovamente presso il governo e fornire informazioni personali sui propri dipendenti. Tel Aviv, riferiscono le organizzazioni, si riserve il diritto di escludere questa o quella ong con una serie di motivazioni tra cui il fatto di aver criticato Israele o di aver condotto qualsiasi attività che promuova la “delegittimizzazione” dello Stato ebraico. L’Onu ha già fatto sapere che non parteciperà al piano, sostenendo che viola i principi fondamentali delle Nazioni Unite.
L'articolo Gaza: pochi hub al Sud, riconoscimento facciale, pacchi gestiti da milizie private. Così Israele controllerà gli aiuti umanitari proviene da Il Fatto Quotidiano.