“Francesco forte e seguito dal pulpito, solo sul trono”. Lo storico Melloni: eredità enorme e fragile
L’intervista sul Pontificato. “Ha portato una freschezza evangelica e per questo il popolo lo ha amato. Ma ha toccato le regole istituzionali: sulle nomine cardinalizie non ha rispettato le tradizioni della città”

Roma, 21 aprile 2025 – Il Papato di Francesco? “E’ stato un Papato a due lati. Da un lato c’è stato il Francesco del Pulpito, per così dire. Dall’altro il Papato del Trono. Con la contraddizione fra un uomo molto amato, soprattutto fuori, e un uomo che dal punto di vista di molti ha toccato i meccanismi istituzionali interni: e questo fa sì che l’eredità di Francesco oggi sia al tempo stesso enorme e fragilissima”. A proporci la cifra o le cifre di quello che è stato il Pontificato di Jorge Mario Bergoglio e, dunque, di quello che può significare e determinare il suo lascito, è Alberto Melloni, uno dei più autorevoli storici delle religioni e del Cristianesimo, conoscitore acuto della Chiesa e della Curia, autore di un libro che diventa di stringente attualità uscito solo venti giorni fa: “Il Conclave e l'elezione del Papa. Una storia dal I al XXI secolo”.
Che cosa è stato il Papato del Pulpito di Francesco?
"E’ stato quello del Francesco che ha portato una ventata di freschezza evangelica, una grande credibilità nella sua testimonianza. Un uomo che era al tempo stesso un maschio risolto e un prete maturo. Mentre noi vediamo in giro intorno a noi una serie enormissima di maschi irrisolti e di preti immaturi. E quindi ha suscitato un infinito richiamo di commozione, qualche volta di nostalgia per una fede abbandonata tanti anni fa in tanti, e di conforto per tante persone che avevano subito lo schiaffo di questo discorso sulla secolarizzazione, che è anche un discorso un po' sciocco. Perché se la domenica vanno messa 7 milioni di persone vuol dire che poi non è che sia così debolina la Chiesa Cattolica”.Il sospetto ictus, la crisi respiratoria e il coma: le ultime ore di Papa Francesco
Il suo Papato del Trono, invece, quale è stato?
“Dall'altra parte c'è anche il Francesco del Trono, il Francesco di governo, che è stato un Francesco che ha coltivato un suo isolamento e, nella preoccupazione di distruggere le cordate, non ha avuto nessuna attenzione a coltivare un pezzo di Chiesa che fosse solidale con lui, per cui è riuscito da un lato ad irritare gli ultraconservatori (con i conservatori che si sono sentiti messi da parte) e, dall’altro, a non avere nessun “bergogliano” che sia stato poi particolarmente premiato”.
Vuol dire che non è stato ‘istituzionale’ nel governo interno della Curia?
“Questa scelta di dare le porpore in una maniera che non rispettava le antiche tradizioni delle città, per esempio, ha creato una serie di mancati cardinali, da Milano a Venezia, e in molte parti del mondo, che non sono rimasti particolarmente felici della cosa. Lui che ha molto parlato di sinodalità, nel governo della Curia ha governato, invece, molto da solo: è stato un gesuita, verticale, ha seguito la regola del superiore gesuita, che ascolta a tutti e decide da solo”.
Che cosa ha prodotto la combinazione dei due Francesco?
“Questa contraddizione fra un uomo molto amato, soprattutto fuori, e un uomo che dal punto di vista di molti ha toccato i meccanismi istituzionali, fa sì che l’eredità di Francesco oggi sia al tempo stesso enorme e fragilissima”.
Perché?
“Prendiamo i punti-chiave del suo magistero: la condanna del possesso delle armi atomiche, la critica al capitalismo (o a quello che è oggi) in nome della sopravvivenza del pianeta, il tema della misericordia come regola della vita all'interno della Chiesa, quello della povertà come stile di vita e quello della sinodalità come stile di governo. Ebbene, queste che sono le perle del suo pontificato, paradossalmente, rischiano di essere il bambino gettato con l'acqua sporca di un bisogno di cambiamento che vedrà i temi istituzionali di governo prevalere di molto: nel senso che ci sarà l'esigenza di qualcuno che sia in grado di riattivare i meccanismi istituzionali di una comunità che rimane pur sempre una comunità da un miliardo di persone, che, priva di armi atomiche, priva di ambizioni territoriali, è, però, in grado, come si è visto anche con Trump, di fare tremare i potenti perché la forza disarmata della parola del suo pastore può farsi sentire anche dove normalmente non viene sentita”.
Quale sarà, allora, la sfida della o sulla sua eredità?
“La sfida sarà quella di evitare che, nel tentativo di rimettere in sesto meccanismi istituzionali che giustamente hanno bisogno di una manutenzione esperta e saggia, non vadano perduti quei contenuti che ci sono all'interno del suo magistero. E mi riferisco a quelli indicati, non agli aspetti pittoreschi: il ‘buonasera’, la Ford Focus, l'appartamento rifiutato”.
Che cosa, invece, del Pontificato di Francesco, resta incompiuto o resta per il futuro Papa?
“L'altra sfida sarà quella di riuscire a trovare soluzioni originali ai problemi grossissimi che ci sono davanti, perché molti dei problemi che la Chiesa ha davanti sono problemi che hanno una caratura conciliare. Il tema classico non è quello del ministero uxorato (dei preti sposati), che non ha nessuna complicazione dottrinale, tant’è che Ratzinger li ha già ammessi purché ex anglicani, ma quello, vero, che riguarda il sacerdozio femminile, il ministero femminile, che è un argomento non rinviabile, che non può essere risolto con i no un po' frettolosi che erano stati detti negli anni ’90”.
Il futuro, dunque, potrà essere quello del Papa di un nuovo Concilio?
“Ci sono da sciogliere nodi teologici di rango conciliare. Sarà decisivo capire se i cardinali sceglieranno un Papa che dirà ‘è tempo di affrontarli’ o un Papa che dirà ‘non è tempo di affrontarli’, perché uno dei mestieri più importanti del Vescovo di Roma è quello di distinguere tra problemi maturi e non maturi. Francesco, questo mestiere, lo ha fatto”. I pontificati più lunghi e i più brevi, da San Pietro ai 13 giorni di Urbano VII