Fino -183 euro per la spesa, i prodotti a cui rinunciano le famiglie per via del caro prezzi
A causa dell'inflazione e della crisi delle materie prime, aumentano i prezzi e le famiglie sono costrette a ridurre i costi, spendendo fino a -183 euro in meno all'anno.

A febbraio 2025, secondo quanto rilevato da Assoutenti sulla base dei dati Istat, le famiglie italiane hanno tagliato in media fino a 183 euro annui sulla spesa alimentare. Una cifra che potrebbe sembrare marginale a prima vista, ma che, letta nel contesto più ampio della crisi economica e inflazionistica, rivela un fenomeno più profondo: la rinuncia a beni essenziali, il cambiamento delle abitudini di consumo e un progressivo impoverimento mascherato da “adattamento al mercato”.
Cala la spesa alimentare: quando il volume delle vendite conta più del valore
Il calo a febbraio 2025 dello 0,4% in valore delle vendite alimentari, segnalato da Assoutenti, potrebbe trarre in inganno chi si ferma alla superficie dei numeri. In realtà, è il dato sul volume delle vendite nello stesso mese (una flessione del 2,9%) sulla quantità effettivamente acquistata a raccontare una verità più scomoda. Questo significa che, al netto dell’inflazione, le famiglie comprano meno cibo e meno bevande, pur spendendo più o meno la stessa cifra. Il dato di Assoutenti parla chiaro: la differenza equivale a 183 euro in meno all’anno, per nucleo familiare, dedicati all’alimentare.
Una riduzione non trascurabile, che fotografa il momento storico in cui il potere d’acquisto reale delle famiglie è sotto pressione. Gli aumenti dei prezzi non riguardano solo beni voluttuari o occasionali: si concentrano, al contrario, su prodotti di larghissimo consumo, quelli che non possono mancare in nessuna casa, come pasta, pane, latte, olio, carne e ortaggi.
Inflazione e crisi delle materie prime
Ma perché i prezzi salgono tanto, e così rapidamente? La risposta non è univoca, ma due cause principali si impongono. La prima è la crisi delle materie prime, in parte ancora legata alle disfunzioni logistiche post-pandemia, e acuita da nuovi shock globali: i conflitti internazionali, la crisi del Mar Rosso, la volatilità del mercato energetico e agricolo.
La seconda è l’inflazione strutturale, che per mesi si è attestata su livelli ben più alti della media generale. In alcuni comparti, si registrano aumenti a due cifre: basti pensare agli oli vegetali, ai prodotti da forno e alla carne bianca. A fronte di salari stagnanti, molte famiglie non possono che tagliare. E, spesso, il taglio inizia dai prodotti considerati “non essenziali” – dolci, snack, bevande gassate –, ma arriva sempre più spesso anche ai beni fondamentali per una dieta equilibrata.
Verso una dieta “di sopravvivenza”?
La questione non è solo economica: è anche sanitaria e sociale. Il progressivo ridimensionamento dei consumi alimentari può compromettere la qualità nutrizionale delle diete familiari, soprattutto nei nuclei con minori e anziani. C’è un rischio concreto che l’inflazione alimentare porti a una dieta “di sopravvivenza”, povera di frutta, verdura fresca, proteine animali e prodotti di qualità, a favore di alimenti più economici, ma spesso meno sani.
Nel medio-lungo periodo, questo trend rischia di generare costi occulti per il sistema sanitario e di amplificare le disuguaglianze socio-economiche. Il cibo, che dovrebbe essere un diritto fondamentale, torna a essere indicatore e moltiplicatore di disparità.
È facile, e troppo spesso ideologico, dire che “gli italiani stanno cambiando abitudini”: in parte è vero, ma non sempre per scelta consapevole o per maggiore sostenibilità. In molti casi, si tratta di scelte obbligate, di una selezione forzata operata alla cassa del supermercato. Aumentano i consumatori che ricorrono a discount, promozioni, marchi bianchi e confezioni ridotte. Cresce l’abitudine al “meal planning” settimanale, ma non per ottimizzare tempo o nutrizione, quanto per non sprecare nulla e contenere i costi.
L’appello di Assoutenti: servono politiche per i “consumi di cittadinanza”
Secondo Assoutenti, per mitigare i rischi dei consumi in calo bisognerebbe garantire alle famiglie in difficoltà i “consumi di cittadinanza”, ovvero l’accesso garantito a beni essenziali e servizi fondamentali (acqua, luce, gas, ma anche alimenti base), al pari di un diritto universale.
Questo perché il calo dei consumi non è solo un problema delle famiglie, ma è anche una questione macroeconomica. Una domanda interna debole frena la crescita, penalizza il commercio al dettaglio, mette sotto pressione le filiere agroalimentari e limita gli investimenti.
Non si tratta dunque solo di tutelare i più fragili – cosa già sufficiente per giustificare l’intervento – ma di difendere la tenuta dell’intero sistema economico nazionale. In un momento in cui si parla tanto di crescita, Pnrr, transizione ecologica e trasformazione digitale, non possiamo ignorare il tema basilare della spesa quotidiana.