E’ scontro sui referendum, la maggioranza: “Non votate”. L’opposizione: “Indicazione illiberale”

I tre partiti di governo, escluso Lupi, invitano gli elettori all’astensione. Polemizza il centrosinistra ma in passato ha fatto lo stesso

Mag 5, 2025 - 22:26
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E’ scontro sui referendum, la maggioranza: “Non votate”. L’opposizione: “Indicazione illiberale”

Roma, 5 maggio 2025 – Come era prevedibile l’intero centrodestra – Lupi escluso – ha deciso di astenersi sui 5 referendum dell’8 e 9 giugno. Per quanto riguarda quello sulla cittadinanza in realtà era certo in partenza che la maggioranza avrebbe deciso di contrastare il quesito provando a far mancare il quorum. Per i quattro sul lavoro la situazione era più confusa dal momento che si tratta di referendum del centrosinistra, con il Pd in prima fila, contro una legge votata da buona parte del centrosinistra con il Pd in primissima fila. All’epoca l’opposizione, cinquestelle inclusa, non aveva partecipato al voto: astensione trasformatasi in giudizio sempre più positivo per quanto riguarda FdI e FI, contrario per i 5stelle, e negativo anche per una Lega che vuole riciclarsi come partito di rappresentanza del lavoro operaio, soprattutto del Nord. Alla fine, anche il Carroccio ha scelto salomonicamente di astenersi su tutto, mentre Noi Moderati di Lupi voteranno 5 no.

Raggiungere il quorum – la metà più uno degli aventi diritto al voto – diventa ancora più complicato. Di qui la durissima reazione delle opposizioni: “L’invito a non votare è vergognoso e illiberale”, sottolinea Riccardo Magi, segretario di + Europa e promotore del quesito sulla cittadinanza. La destra “getta la maschera”, dice dal Pd Marco Sarracino, mentre Elly Schlein torna a chiamare alla “partecipazione” come fa Giuseppe Conte (M5s).

Incalza il segretario della Cgil, Maurizio Landini, sponsor dei referendum sul lavoro: “Che il partito del presidente del Consiglio dia indicazione di non andare a votare è grave e pericoloso”. Punta il dito contro una “destra irrispettosa della democrazia”, Nicola Fratoianni (Avs). A replicare per il centrodestra è il vicepremier Antonio Tajani (FI): “È un astensionismo politico. E come disse Giorgio Napolitano è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa”. In politica l’ipocrisia è quasi un dovere professionale e in Italia che più che altrove.

Dichiarata o praticata senza strombazzarla, l’astensione – almeno a partire dagli anni novanta – è l’arma adoperata da chi si schiera contro i referendum abrogativi. Puntare sul non voto significa poter arruolare nelle proprie schiere l’astensionismo cronico: male che vada il 30%, spesso di più. In fondo il più legittimato a gridare allo scandalo è Magi: proviene dai radicali, che di referendum si nutrono fin dalla storica vittoria del 1974 sul divorzio. Per gli altri il discorso è diverso. In più di un’occasione il centrosinistra ha chiamato all’astensione: sul referendum sull’articolo 18, nel giugno del 2003, i Ds – confluiti poi nel Pd – lo dissero apertamente con l’allora segretario Piero Fassino: “Noi siamo contrari ad andare a votare”.

Nel 2009 sui referendum elettorali, Sinistra e libertà e Rifondazione comunista si schierarono per l’astensione. “Il referendum deve fallire attraverso la non partecipazione al voto o il rifiuto della scheda”, misero nero su bianco i vertici di Prc. Ancora: nell’aprile del 2016, per la consultazione sulle trivelle, a invitare a disertare le urne fu il Pd guidato da Matteo Renzi, che era pure premier e chiariva: “La posizione dell’astensione a un referendum che ha il quorum è sacrosanta e legittima”. Nel 2022, sui referendum sulla giustizia, i democratici sono arrivati ai confini dell’astensionismo, senza però varcarli: schierati sul no, ma comprensivi per chi avrebbe seguito la sua coscienza. Insomma, si sono limitati a sabotare la campagna elettorale.

Non che gli altri si siano comportati diversamente quando toccava a loro. Per essere chiari: radicali esclusi, la prima pietra non la può scagliare nessuno. Diverso il discorso per quanto riguarda l’altra denuncia del fronte referendario: il silenzio dei media. Nella possibilità di raggiungere il quorum il peso dell’informazione è rilevante. “Una parte del paese non sa che ci sono i referendum”, lamenta Landini. L’autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) sollecita “le emittenti a dedicare un adeguato spazio informativo”. Almeno per quanto riguarda il servizio pubblico non dovrebbe essere un optional ma un preciso dovere democratico.