È in arrivo una crisi bancaria?
Banche e finanza: fatti, avvisaglie e scenari. L'approfondimento di Luca Borsari tratto da Appunti di Stefano Feltri.

Banche e finanza: fatti, avvisaglie e scenari. L’approfondimento di Luca Borsari tratto da Appunti di Stefano Feltri
Il sistema bancario internazionale presenta degli evidenti punti di vulnerabilità e non si può escludere che la prossima crisi parta da questo snodo, legato a filo doppio con gli agenti dell’economia reale. Negli ultimi mesi sono emersi segnali e pareri istituzionali che dovrebbero far riflettere. Una possibile ripresa dell’inflazione, per esempio, metterebbe in difficoltà una serie di istituti di credito. Ma destano preoccupazione anche lo sviluppo impetuoso dei segmenti meno regolamentati della finanza e le criptovalute.
Da dove partirà la crisi? Dominique Laboureix, presidente del Single Resolution Board (SRB), l’autorità europea incaricata della gestione ordinata delle crisi bancarie nell’ambito dell’Unione bancaria, in una recente intervista ha rimarcato che potrebbe emergere da due grandi categorie di rischio.
In primo luogo, le crisi classiche, come quelle legate alle perdite di credito o di mercato. Una banca presta denaro, ma i debitori non rimborsano o subiscono perdite importanti sui loro investimenti.
È il caso della crisi del Credit Suisse nel 2023, che ha riguardato perdite su portafogli rischiosi con una perdita di fiducia nel mercato.
Poi ci sono le crisi legate a nuovi fenomeni come sanzioni, crisi di reputazione o attacchi informatici. Una banca accusata di riciclaggio di denaro o presa di mira da sanzioni internazionali può ritrovarsi isolata, perdendo la capacità di operare normalmente.
Allo stesso modo, un attacco informatico che paralizza un istituto finanziario può creare effetti di contagio a cascata. “Dobbiamo essere preparati a tutti questi scenari, siano essi convenzionali o senza precedenti”, ha sottolineato Laboureix.
Ricordate la Silicon Valley Bank?
Esiste anche un altro caso di recente grave crisi bancaria: il fallimento della Silicon Valley Bank of California (SVB), un istituto con attività di oltre 200 miliardi di dollari, allora la 16ma banca degli Stati Uniti per dimensione.
Nel marzo del 2023 l’istituto registrò una corsa agli sportelli della clientela per il ritiro dei depositi.
La SVB deteneva un’ampia quota di depositi, il 90 per cento, non assicurata, investiva in titoli di Stato a lungo termine e si era espansa rapidamente, triplicando le sue dimensioni nei due anni precedenti.
Con l’aumento dei tassi di interesse, il valore di mercato delle attività della banca era crollato, dal momento che per le obbligazioni esiste una relazione inversa tra tassi d’interesse e prezzi: quando i primi salgono i secondi scendono in proporzione.
Nel momento in cui i vertici di Svb decisero di vendere il portafoglio di titoli per aumentare la liquidità dell’istituto, si registrò una grande perdita, la capitalizzazione crollò e i depositanti non assicurati ritirarono i loro depositi in massa.
Esistono sul mercato altri istituti vulnerabili al rialzo dei tassi d’interesse come la Silicon Valley Bank? Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) sì.
Un recente studio pubblicato dall’istituzione di Washington, elaborato da un gruppo di economisti guidati da Katharina Bergant e basato su dati relativi al 2021-23 segnala che circa il 3 per cento delle banche delle economie avanzate e il 6 per cento delle banche dei mercati emergenti e in via di sviluppo, presentano esposizioni ai tassi di interesse almeno pari a quelle della Silicon Valley Bank all’inizio del suo fallimento.
Considerando anche le esposizioni non legate agli interessi, il 5 per cento delle banche delle economie avanzate e l’8 per cento delle banche dei mercati emergenti e delle economie in via di sviluppo, potrebbero subire perdite superiori al 2 percento delle loro attività.
Se le perdite presso singole banche potrebbero preludere a un contagio più ampio, nonostante i rafforzamenti della regolamentazione e della vigilanza bancaria causati dalle precedenti crisi, le banche centrali – sottolinea lo studio Fmi – potrebbero trovarsi a dover prendere decisioni di compromesso tra politiche di controllo dell’inflazione e prezzi e salvaguardia della stabilità finanziaria.
Dimenticare Lehman Brothers
Più pessimisti gli economisti di Finance Watch, un’organizzazione non governativa con sede a Bruxelles che, in un recente rapporto ha sollecitato governi e istituzioni a fare attenzione alle lezioni della crisi finanziaria del 2008, quella innescata dal crollo della banca d’affari Lehman Brothers, che sono ormai “in larga parte svanite” dalla memoria.
La critica, in questo caso, si concentra sulla mancanza di progressi su Basilea III, l’accordo creato dopo il crollo finanziario per proteggere da future crisi attraverso il potenziamento del capitale e delle riserve delle banche e la creazione di accantonamenti preventivi.
“Il tempestivo campanello d’allarme suonato con il crollo di Crédit Suisse e con la serie di fallimenti bancari negli Stati Uniti, tra cui la Silicon Valley Bank, non è stato ascoltato”, ha commentato Christian M. Stiefmüller, consulente senior per la ricerca e la difesa di Finance Watch presso Finance Watch dopo un passato in alcune delle principali banche internazionali.
Secondo Finance Watch, invece di rendere più facile per i singoli Paesi aderire a un consenso globale, l’eccessiva complessità di Basilea III sembra aver avuto l’effetto opposto e anche l’Ue si sta allontanando dai modesti risultati ottenuti nell’ambito dello stesso accordo.
Nel rapporto viene segnalata l’esistenza di una zona grigia legata al fatto che l’accordo si applica alle banche “attive a livello internazionale” senza che tale concetto venga ulteriormente specificato.
Agli accordi di Basilea viene poi attribuita una eccessiva complessità, con molte istituzioni che, ad esempio, si mostrano incerte sull’applicazione pratica del cosiddetto Combined Buffer Requirement (CBR), un cuscinetto di capitale che le banche devono detenere in aggiunta ai requisiti minimi di capitalizzazione richiesti.
Preoccupazione anche per la pratica, invalsa tra molte banche, di utilizzare i propri modelli interni per calcolare i rischi: uno schema che, se ha una sua validità per le valutazioni di rischio legate alle pratiche interne, rischia di essere troppo flessibile vanificando lo scopo primario di Basilea III, evitare future crisi.
Mercati troppo privati
Un altro rilevante fattore di rischio che, per il suo peso, si interfaccia comunque con l’attività bancaria tradizionale pur essendone al di fuori, è quello dei mercati privati, quelli cioè esterni alle borse e ai mercati regolamentati.
La loro crescita negli ultimi anni è stata impetuosa. Venture capital, private equity, debito privato, infrastrutture, materie prime e immobili, ora dominano l’attività finanziaria.
Secondo un rapporto del colosso internazionale della consulenza McKinsey, le attività in gestione a livello globale da parte dei mercati privati hanno toccato i 13.100 miliardi di dollari a metà del 2023 e sono cresciuti di quasi il 20 per cento all’anno a partire dal 2018.
Una conseguenza di tale fenomeno è un aumento significativo della quota del mercato azionario e dell’economia che non è trasparente per gli investitori, i decisori politici e il pubblico dal momento che i requisiti informativi dipendono dai contratti in essere più che dalla regolamentazione.
Gran parte di tale crescita ha avuto luogo grazie ai tassi di interesse molto bassi seguiti alla crisi finanziaria del 2007-08 ma la popolarità dei mercati privati non sembra destinata a calare, visto che gli investitori istituzionali, tra cui grandi banche, hanno un ‘appetito’ sempre crescente per investimenti alternativi illiquidi.
Anche i grandi gestori patrimoniali cercano di attrarre di attrarre in questo terreno gli investitori più ricchi. Cresce l’interesse anche dei gestori di fondi d’investimento e dei fondi pensione, alla ricerca di rendimenti più alti.
Con la mancanza di trasparenza i rischi crescono esponenzialmente. Valgano per tutti due segnali, autorevoli, lanciati dalle autorità statunitensi. Il primo allarme venne lanciato già nel 2021, in un discorso illuminante, dall’ex commissario dell’organo di controllo della Borsa Usa (SEC), Allison Herren Lee, che rilevò tra l’altro che i mercati privati dipendono sostanzialmente dalla capacità di approfittare della trasparenza delle informazioni e dei prezzi nei mercati pubblici: l’opacità dei mercati privati potrebbe anche portare a una cattiva allocazione del capitale, vale a dire a investimenti nelle aziende sbagliate e meno efficienti.
Il 14 gennaio scorso, poi, è risuonato forte l’allarme di Martin Gruenberg, presidente uscente della Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), l’agenzia pubblica e indipendente Usa che assicura i depositi delle banche socie fino a 250 mila dollari per depositante e vigila sulla solvibilità delle banche statali fuori dalla supervisione della Federal Reserve. In un discorso pronunciato alla Brookings Institution Gruenberg ha avvertito:
“Sono particolarmente preoccupato per la proliferazione di attività di istituzioni finanziarie non bancarie, che ritengo comportino rischi per la stabilità finanziaria.
Il Financial Stability Oversight Council ha ripetutamente segnalato i rischi crescenti al di fuori del perimetro normativo, che vanno dagli hedge fund ai prestatori di credito privati alle società di servizi ipotecari non bancari.
Penso che abbiamo fatto progressi dagli anni ’80 con requisiti di capitale e liquidità migliorati, una regolamentazione rafforzata dei mercati dei derivati e una pianificazione della risoluzione. D’altro canto, le banche più grandi sono più grandi, più complesse e profondamente interconnesse a livello nazionale e internazionale.
Temo che la memoria sia corta. Non dovremmo permettere all’attuale relativa stabilità dei sistemi bancari e finanziari di cullarci in un falso senso di compiacimento. Non solo ci sono molte persone che non hanno familiarità con le crisi del risparmio e delle banche di trent’anni fa, ma alcuni sembrano aver perso di vista anche l’esperienza della crisi finanziaria globale del 2008 e persino i fallimenti delle banche regionali della primavera del 2023”.
Segnali di criticità già presenti, innovazioni finanziarie implementate acriticamente, e memoria corta delle istituzioni e degli operatori sulle precedenti “tempeste’”.
In queste condizioni è superfluo chiedersi se ci sarà un’altra crisi finanziaria e se le banche verranno risparmiate: resta solo da capire quando terminerà il conto alla rovescia.