Due cardinali al comando, a casa i fedelissimi di Papa Francesco. Così cambia la mappa del potere in Vaticano dopo la morte di Bergoglio
Chi sale e chi scende, chi si prepara a far le valigie e chi trema per i possibili processi. I primi sommovimenti dopo la scomparsa del Pontefice L'articolo Due cardinali al comando, a casa i fedelissimi di Papa Francesco. Così cambia la mappa del potere in Vaticano dopo la morte di Bergoglio proviene da Open.

Oggi in Vaticano comandano solo due cardinali, i soli ad avere mantenuto il loro incarico dopo la morte di Papa Francesco. Si tratta del cardinale Kevin Joseph Farrell, il camerlengo che ha annunciato la mattina del 21 aprile il decesso del Pontefice, e del cardinale penitenziere maggiore, Angelo De Donatis, già vicario del Papa come Vescovo di Roma. Tutti gli altri perdono l’incarico fin qui avuto, compreso il Segretario di Stato Pietro Parolin: dicasteri e prefetture vaticane restano quindi vacanti come la stessa sede papale in attesa del Conclave che si aprirà entro un paio di settimane per scegliere il successore di Jorge Mario Bergoglio. Poi il nuovo Papa potrà riconfermare nell’incarico ricoperto fino a Pasqua tutti, o scegliere altri al loro posto, cosa che probabilmente verrà fatta subito per alcuni incarichi essenziali per il papato. Ma tutto dipende appunto da chi sarà eletto.
I fedelissimi del Pontefice destinati a fare le valigie e tornare al lavoro
Meno chance di tornare alla vita di prima avrà invece l’entourage stretto di Francesco, persone che lui voleva vicino anche se non avevano alcun incarico formale in Vaticano. E che probabilmente sono destinate a tornare al lavoro che facevano prima. Fra queste sicuramente l’infermiere di fiducia, Massimiliano Strappetti, che il Papa aveva voluto come suo assistente personale, sostenendo di dovere a lui la vita per avere insistito qualche anno fa per una operazione al colon che si è rivelata effettivamente necessaria. Altro amico del Papa senza incarico è il cappellano del carcere di Padova, don Marco Pozza, diventato negli ultimi anni suo consigliere talmente fidato da suscitare malignità e vera e propria ostilità nei corridoi dei Sacri Palazzi. Don Pozza, conosciuto anche a Padova come “don Spritz” per il modo non convenzionale con cui interpretava la vita sacerdotale (si presentava quasi sempre in jeans e maglietta e frequentava luoghi non formali con i giovani), è stato l’anello di congiunzione fra il Papa e gli studi tv, portando il pontefice in Rai e combinando anche con altre reti televisive clamorose interviste.
Il patto di ferro con Bergoglio e il no alle interviste
Don Marco, che poche ore dopo la morte di Francesco ha voluto ricordarlo in un post sui social raccontando: «Era il 7 gennaio 2017 quando, stupiti entrambi dal nostro incontrarci, ci siamo stretti la mano, facendoci una promessa: “Mai, per nessun motivo, nemmeno quando uno dei due morirà, uno racconterà a qualcun altro qualche passaggio di quello che il buon Dio ci farà vivere”. Mantenere la promessa è obbligo verso la bontà di Dio. Quindi non perdete tempo per invitarmi a rilasciare interviste o a partecipare a qualche programma televisivo in merito a Papa Francesco. Per certe storie è d’obbligo la custodia più totale, pena la perdita della Grazia di Dio in esse contenuta». Ora però dovrà tornare a fare il cappellano del carcere padovano.
Destino segnato per mons. Zanchetta condannato per abusi su seminaristi
A tremare dopo la scomparsa del Papa ci sono anche altri due sacerdoti a cui in qualche modo Francesco aveva offerto finché ha potuto uno scudo di fronte a gravissime accuse di abusi sessuali. Uno è un vescovo argentino, Gustavo Zanchetta, già titolare della diocesi di Oràn, e condannato nel 2022 a 4 anni e 6 mesi per abuso sessuale semplice e continuato nei confronti di due seminaristi. Zanchetta durante le indagini era riparato in Vaticano, e il Papa lo aveva anche pubblicamente difeso, assegnandogli un incarico inesistente fino a quel giorno all’Apsa. Godendo dell’appoggio papale, Zanchetta è imprudentemente rientrato in Argentina convinto di vincere il processo. Arrivata la condanna, è stato portato prima in carcere e poi agli arresti domiciliari, concessi dai giudici argentini fra mille polemiche. Ha dichiarato problemi di salute, e ottenuto un permesso per farsi curare a Roma. Il Papa nuovamente lo ha protetto facendolo riparare in Vaticano dopo un breve ricovero al Gemelli. Da quel momento Zanchetta non è più tornato in Argentina. La sua condanna è diventata definitiva nel febbraio 2025, ma il suo avvocato ha ottenuto che restasse in Italia fino al primo di aprile per cure indifferibili. E ha ottenuto anche una ulteriore proroga fino al prossimo primo maggio. Ora che il Papa non c’è più, Zanchetta non ha più scudo in Vaticano e la sua sorte sembra segnata.
Non ha più nessuno che lo difenda anche Rupnik, accusato di abusi dalle suore
Il secondo sacerdote che non potrà più godere dello scudo più volte alzato a sua protezione da Francesco è il mosaicista gesuita (ma espulso dal suo ordine) di origine slovena, Marko Rupnik, accusato da anni da diverse suore di abusi sessuali continuati negli anni nei loro confronti abusando anche della carica che aveva. Rupnik poi aveva voluto confessare una di loro per il rapporto sessuale avuto con lui (atto gravissimo per il codice canonico) e per questo era stato scomunicato e ridotto allo stato laicale dopo lungo processo dalla Congregazione per la dottrina della Fede. Quella pronuncia era stata però misteriosamente revocata, e mai si è saputo ufficialmente la ragione. Però era chiaro a tutti che un atto così forte poteva essere voluto solo dal Papa. Francesco era infatti suo grande amico e credeva alla difesa di Rupnik, che gridava al complotto delle suore nei suoi confronti. Questa decisione ha provocato indignazione fra i cattolici, e ha spinto altre presunte vittime di Rupnik ad uscire allo scoperto, denunciando la violenza subita. I reati però anche per il codice canonico sarebbero stati prescritti. Papa Francesco nell’ottobre 2023 di fronte a tante proteste decise di derogare alla prescrizione per rendere possibile un processo. Che però non è stato ancora istruito, mentre Rupnik continua a celebrare messa a pochi passi da Roma e la sua comunità continua a lavorare. A fine marzo scorso l’allora prefetto del dicastero della Dottrina della Fede, cardinale Victor Manuel Fernandez (ora decaduto dall’incarico), aveva spiegato la difficoltà di comporre il tribunale per il processo canonico, perché molti giudici prescelti stavano rifiutando l’incarico. Era sembrata l’ennesima melina su questo clamoroso caso. Ora, grazie anche alla Compagnia di Gesù che ha riconosciuto la fondatezza delle accuse rivolte a Rupnik dalle suore, chiedendo loro scusa per il suo comportamento, la melina sarà assai più difficile.
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