Donald Trump giochicchia col prezzo e la sorte dei videogiochi?
La maggior parte dei videogiochi "fisici" è realizzata in Messico, mentre la quasi totalità delle console oggi in circolazione è "made in China" o ha elementi cinesi al proprio interno: i dazi di Trump rischiano perciò di penalizzare un settore che già nel 2024 ha dimostrato di essere in sofferenza, tra licenziamenti monstre, l'addio ai supporti tradizionali e una platea di gamer che non cresce più

La maggior parte dei videogiochi “fisici” è realizzata in Messico, mentre la quasi totalità delle console oggi in circolazione è “made in China” o ha elementi cinesi al proprio interno: i dazi di Trump rischiano perciò di penalizzare un settore che già nel 2024 ha dimostrato di essere in sofferenza, tra licenziamenti monstre, l’addio ai supporti tradizionali e una platea di gamer che non cresce più
I supporti fisici nel comparto dei videogiochi rischiano di fare la fine dei DVD, la cui produzione è cessata proprio di recente? Con ogni probabilità la strada sarebbe stata comunque quella, come confermato del resto dalle versioni delle console in grado di leggere esclusivamente le versioni digitali dei videogame, ma la guerra commerciale che Donald Trump intende scatenare a livello mondiale rischia di accelerare questo processo. Con incognite sulla tenuta del settore, sui prezzi finali dei prodotti e sulle ricadute occupazionali.
VIDEOGIOCHI FISICI FATTI IN MESSICO
L’analista Mat Piscatella sostiene infatti che i dazi che la Casa Bianca intende far gravare sulle merci che attraversano i confini statunitensi potrebbero rendere non più sostenibile la produzione di videogiochi in formato fisico, per lo più prodotti in Messico e dunque destinati a subire la medesima tariffa del 25% sulle importazioni dal Paese.
Un problema non di poco conto per produttori e distributori (che quasi certamente saranno costretti a rivalersi sui consumatori finali per rientrare dei maggiori costi) e soprattutto delle catene di distribuzione – la più nota è GameStop – che già faticano a restare con le serrande alzate in un mondo sempre più digitale.
Anche perché finora, proprio per non danneggiare gli affari della filiera dei supporti fisici, i prezzi delle versioni digitali dei videogame, al netto di sconti maggiormente golosi e più frequenti, sono stati ancorati a quelli consigliati per i negozi fisici. Un aumento dei prezzi al dettaglio di questi ultimi potrebbe dunque comportare un aumento del digitale.
IL MERCATO DEI VIDEOGIOCHI STAVA MALE PRIMA DI TRUMP
I dazi rischiano poi di gravare anche sull’intero comparto. Nel 2024 il settore videoludico, negli Usa, ha dovuto fare i conti con un calo complessivo dell’1,1% rispetto all’anno precedente, per ricavi che hanno raggiunto i 58,6 miliardi di dollari. Una fotografia che rivela la stagnazione in cui si è impantanato il mondo dei videogames se si considera che le vendite hardware hanno fatto registrare un -25% rispetto all’anno precedente, fermandosi a 4,85 miliardi di dollari di fatturato complessivo, mentre quelle di videogiochi sono cresciute del 2%, raggiungendo i 50,6 miliardi di dollari, con la spesa dei consumatori sugli accessori è cresciuta del 6%, raggiungendo i 3,16 miliardi di dollari.
LA PLATEA DI GAMER HA SMESSO DI CRESCERE
Meno console “immatricolate” significano infatti che la platea di riferimento non sta più crescendo. Una situazione che difficilmente potrà migliorare nei mesi venturi. Infatti, sebbene con ogni probabilità nei prossimi mesi (si parla di giugno) dovrebbe essere previsto il lancio della Switch 2 di Nintendo, considerato che l’impatto dei dazi colpirà anche le piattaforme da gioco, diversi osservatori temono che la situazione non varierà molto rispetto ai 12 mesi appena archiviati.
QUASI TUTTE LE CONSOLE SONO “MADE IN CHINA”
Inoltre, gli analisti stimano che circa il 75% delle console vendute negli Stati Uniti venga prodotto in Cina. Dunque subirà una tassazione maggiore alla dogana. E poi c’è il tema, tutt’altro che secondario, dell’approvvigionamento di chip e di altri materiali: al momento arrivano in massima parte da Pechino che, grazie alle proprie riserve di terre rare (e ai giacimenti che si è accaparrata in Africa), riesce a essere il player più competitivo sul mercato.
Con l’entrata in vigore di una tariffa del 20% sulle importazioni cinesi, i prezzi di console come PlayStation, Xbox e Nintendo Switch sono destinati a salire. Col paradosso che la vecchia Nintendo Switch, giunta al suo ottavo anno di vita e ormai a fine carriera, anziché veder diminuire il proprio prezzo al pubblico rischia di passare dagli attuali 300 dollari a 400 dollari già la prossima primavera, mentre una PS5 Pro potrebbe arrivare a costare fino a 1000 dollari.
IL MONDO DEI VIDEOGIOCHI FARA’ ACCORDI CON TRUMP?
C’è comunque un modo per evitare tutto questo ed è quello caldeggiato da Trump: impiantare la propria filiera di valore nei 50 Stati americani. Ma anche in questo caso le maggiori spese sostenute dai principali attori del mercato rischierebbero di ricadere sull’utenza con un aumento generalizzato dei prezzi di listino.
Nel 2019, Sony, Microsoft e Nintendo riuscirono a ottenere un’esenzione dai dazi imposti durante la precedente guerra commerciale con la Cina, grazie a una collaborazione con la Consumer Technology Association, la più grande organizzazione commerciale sul fronte della tecnologia del Nord America che rappresenta oltre 1.200 aziende tecnologiche, guidata dal CEO e vicepresidente Gary J. Shapiro. Si tratta della medesima associazione che ogni anno organizza a gennaio il CES di Las Vegas, vetrina che nessun marchio hi-tech intende perdere, specie se ha ambizioni internazionali.
ALTRI LICENZIAMENTI NEL MONDO DEI VIDEOGAME
Ci si interroga infine se questa tempesta perfetta che si intravede all’orizzonte avrà ripercussioni anche sul fronte occupazione. Con l’arrivo dell’Intelligenza artificiale e la necessità dimostrata da un numero crescente di etichette di aumentare i margini di guadagni dato che sviluppare videogame è divenuto via via sempre più costoso, il numero dei licenziamenti si è fatto più elevato. In tutto il 2024 sono stati lasciati a casa non meno di 15mila creativi, tra programmatori, sviluppatori e artisti. Un record negativo che nessuno vorrebbe battere.
SI MUOVONO LE ASSOCIAZIONI DI SETTORE
Per il momento, è partita l’attività di lobby anche se Donald Trump non sembra prestare troppo orecchio alle voci contrarie rispetto alla sua politica economica. L’Entertainment Software Association che riunisce chi sviluppa software dedicati all’intrattenimento ha posto l’accento sui pericoli incombenti per l’intera industria videoludica statunitense: “I videogiochi sono una delle forme di intrattenimento più popolari e amate dagli americani di tutte le età”, riporta una nota pubblicata all’inizio di febbraio.
“I dazi sui dispositivi per videogiochi e sui prodotti correlati avrebbero un impatto negativo su centinaia di milioni di americani e danneggerebbero il significativo contributo dell’industria all’economia statunitense. Siamo ansiosi – la controproposta avanzata dall’Esa – di lavorare con l’Amministrazione e il Congresso per trovare il modo di sostenere la crescita economica sostenuta dal nostro settore”.