Dollaro in caduta libera contro le previsioni. Per gli Usa l’incubo di una perdita di fiducia dei mercati
Cosa succede al dollaro? In due mesi la moneta statunitense ha perso oltre il 6% del suo valore rispetto all’euro e il “verdone” si deprezza anche nei confronti di franco svizzero o sterlina. Si è invece rafforzato sullo yuan, dopo che la Banca centrale cinese ha favorito questa dinamica che neutralizza in parte l’effetto dei […] L'articolo Dollaro in caduta libera contro le previsioni. Per gli Usa l’incubo di una perdita di fiducia dei mercati proviene da Il Fatto Quotidiano.

Cosa succede al dollaro? In due mesi la moneta statunitense ha perso oltre il 6% del suo valore rispetto all’euro e il “verdone” si deprezza anche nei confronti di franco svizzero o sterlina. Si è invece rafforzato sullo yuan, dopo che la Banca centrale cinese ha favorito questa dinamica che neutralizza in parte l’effetto dei dazi rendendo i prodotti cinesi meno cari negli Usa.
Una variazione del 6% può sembrare poca cosa se rapportata ai vorticosi movimenti dei listini azionari. Ma quelli valutari, del dollaro e dell’euro in particolare, sono mercati giganteschi su cui ogni giorni si scambiano trilioni. Solo tra euro e dollari scambi quotidiani per circa 6mila miliardi. Questo vuol dire che per spostare anche di pochissimo i rapporti di cambiano servono gigantesche quantità di denaro.
La cosa strana è che in una situazione di profonda incertezza come quella attuale, il dollaro dovrebbe rafforzarsi. La moneta statunitense è (era?) il bene rifugio assoluto, quello che tutti vogliano avere in tasca quando le cose rischiano di mettersi davvero male. In fondo, tutto il resto, titoli di Stato inclusi, sono “promesse” di avere prima o poi dei dollari. Ne abbiamo avuto un esempio nelle fasi più critiche della pandemia, quando persino il grande mercato dei bond sovrani statunitensi è entrato in crisi con troppi venditori per pochi compratori, costringendo la Federal Reserve ad intervenire. Ciò è accaduto proprio perché si vendevano persino i titoli di Stato (asset finanziari con rischio prossimo allo zero), per avere in mano dollari.
Inoltre la gran parte degli economisti, premi Nobel inclusi, prevedevano un rafforzamento del dollaro in caso di introduzione di dazi. Semplificando molto: “Se l’import diventa più costoso (e questo viene trasferito sui prezzi dei beni al consumo), il dollaro si apprezza per compensare l’inflazione e ristabilire la parità di potere d’acquisto con gli altri stati”. Di fronte a un’inflazione in salita è probabile che la Banca centrale alzi i tassi, un altro fattore che spinge verso l’alto il valore della moneta americana.
Dunque perché sta accadendo esattamente il contrario? Le vendite di asset statunitensi (azioni, obbligazioni, etc) da parte di investitori esteri tende a spingere il dollaro verso il basso. Se da europeo voglio comprare, ad esempio, un’azione Apple mi serve avere dei dollari per farlo. Quindi cambierò euro in dollari, che, in sostanza, significa vendere euro per comprare dollari. Per il solito gioco domanda-offerta, se la domanda di dollari sale anche il prezzo della “merce” da comprare aumenta. Se invece l’azione la vendo succede l’opposto, incasso dei dollari che cambio nella mia moneta per avere denaro da spendere. Questo fattore di pressione al ribasso ha agito però pure in Europa e in Asia, quindi anche euro, yen, etc.
C’è una considerazione più inquietante. Ovvero quella che si stia appannando il ruolo del dollaro come asset rifugio. Tale sono le incertezze che avvolgono i destini dell’economia statunitense e la capacità dell’amministrazione Trump di gestire processo estremamente complessi come quello avviato con i dazi, che gli investitori stanno perdendo fiducia nel dollaro. L’importante finanziere statunitense Ray Dalio (Bridgewater) sposa ad esempio questa tesi. Ricordiamo che, anche per una moneta, la fiducia è tutto. Soprattutto da quando non esiste più alcuna corrispondenza tra una banconota e una certa quantità di un qualche metallo prezioso. C’è una battuta che chiarisce efficacemente il concetto: “L’unica differenza tra un pezzo di carta colorato e un dollaro è che il governatore della Federal Reserve dice che c’è una differenza”.
Va detto che un dollaro più debole, entro una certa misura, fa il gioco di Trump. Rende le importazioni di beni prodotti all’estero più care mentre riduce il costo dei beni made in Usa più convenienti all’estero. Ciò provoca una spinta all’export ed una contrazione dell’import, quindi un miglioramento della bilancia commerciale (differenza tra valore di export ed import) che è esattamente quello che si ripropone di ottenere la Casa Bianca con i dazi. All’opposto, un dollaro debole, danneggia gli esportatori europei. I tassi di cambio sono uno strumento molto più efficace dei dazi per riequilibrare l’economia globale, agiscono su entrambi i lati della bilancia dei pagamenti: flussi finanziari e commercio. I dazi agiscono invece direttamente solo sulle importazioni, ma non sulle esportazioni.
La forza del dollaro come moneta di riferimento globale dipende anche dalla debolezza degli “avversari”. A significativa distanza, l’euro è la seconda moneta più scambiata e usata come riferimento di valore al mondo ma non ha alle sue spalle un’entità politica compatta come sono gli Stati Uniti. Lo yuan cinese, a sua volta, è ben lontano dal poter assumere questo ruolo. Così come non sarebbe in grado di farlo un’ipotetica moneta dei Brics. Dunque gli Usa hanno un certo margine di manovra per “giocare” con la loro moneta prima di provocare danni irreparabili. Potremmo essere solo all’inizio.
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