Dazi, in vigore le tariffe su 60 Paesi. Trump: «Mi baciano il culo, vogliono un accordo. Ma ora è il nostro turno di fregarli»

Il tycoon, in una cena di raccolta fondi per il suo partito, ha rassicurato: «So cosa diavolo sto facendo». E non ha rinunciato a imitare con sarcasmo i tentativi dei leader stranieri di aprire un tavolo con Washington L'articolo Dazi, in vigore le tariffe su 60 Paesi. Trump: «Mi baciano il culo, vogliono un accordo. Ma ora è il nostro turno di fregarli» proviene da Open.

Apr 9, 2025 - 09:57
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Dazi, in vigore le tariffe su 60 Paesi. Trump: «Mi baciano il culo, vogliono un accordo. Ma ora è il nostro turno di fregarli»

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È il D-Day, il giorno dei dazi. Alla mezzanotte (americana) di mercoledì 9 aprile, le tariffe preannunciate da Donald Trump sono ufficialmente entrate in vigore. Dal 20% sull’export dall’Unione europea fino all’esorbitante 104% imposto alla Cina in tre tranche, una vera e propria escalation del conflitto commerciale tra le due principali superpotenze economiche al mondo. La porta dello Studio Ovale, lo ha già detto più volte il tycoon, è sempre aperta. Ma a una condizione: i Paesi che vogliono trattare sulla questione delle «tariffe reciproche», devono essere pronti a offrire qualcosa di valore alla Casa Bianca. Qualcosa «di creativo» che, avrebbe specificato lo stesso Trump durante una cena di raccolta fondi per il Partito repubblicano, non deve per forza riguardare il commercio.

Trump e il sarcasmo sui Paesi in cerca di un accordo: «Mi implorano»

Washington si sente in una posizione di forza e fa la voce grossa. Dalla poltrona di Trump, gli altri Paesi si stanno preparando – e alcuni, come Israele, hanno già iniziato – ha fare a gara per volare negli Stati Uniti e scendere a compromessi con il tycoon: «Ci chiamano, mi baciano il culo, stanno morendo dal desiderio di fare un accordo». Mentre le borse si preparano a un altro tuffo nel profondo rosso, il presidente americano appare tranquillo: «So quel che diavolo sto facendo». E si concede anche di dileggiare i leader stranieri in arrivo alla Casa Bianca, facendone una sorta di imitazione: «Per favore, per favore signore, fai un accordo. Farò qualunque cosa signore».

La calma di Washington: «Siamo contenti così, ora è il nostro turno di mettere tariffe»

Una cosa è certa: almeno ufficialmente, Trump non ha fretta. I calcoli dello Studio Ovale parlano chiaro e stimano nuove entrate dalle tariffe per un totale di circa 600 miliardi di dollari. Per questo, ha ribadito il tycoon, sono gli altri Paesi che devono trovare il modo di convincere gli Stati Uniti a stringere un accordo, che Washington «non deve fare necessariamente» perché «siamo contenti come siamo». Una rivendicazione di dominio economico che non nasconde la profonda soddisfazione di chi, dopo anni di presunti soprusi, finalmente serve la sua vendetta come un piatto gelido: «Molti Paesi ci hanno fregato a destra e sinistra. Adesso è il nostro turno di fregarli, e così renderemo il nostro Paese più forte».

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