Dai cipressi alle stelle di Hollywood. Una terra diventata icona mondiale

Da luoghi simbolo come la cappella di Vitaleta e La Foce alla bellezza diffusa e ai prodotti enogastronomici. Viaggio nelle trasformazioni dell’economia, della società e dell’immaginario negli ultimi trenta anni. .

Apr 20, 2025 - 07:26
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Dai cipressi alle stelle di Hollywood. Una terra diventata icona mondiale

Quando è iniziato il boom della Val d’Orcia? Una trentina di anni fa, o poco più, quando ancora i cipressini di San Quirico venivano “collocati”, da stampa turistica e depliant sulle vacanze, nel Chianti e in altri territori lontani. Non c’erano i social, non c’erano i selfie e scorci instagrammabili. Ma presto la storia è cambiata, grazie a una bellezza iconica, unica e riconoscibile, che oggi fa vivere la Val d’Orcia di turismo per tutto l’anno. Grazie al senso civico di chi la abita e abitata e al buongoverno delle amministrazioni locali, che dall’affresco di Ambrogio Lorenzetti in poi hanno traghettato questo territorio nel terzo millennio; agli agricoltori che questa terra l’hanno lavorata, senza perderne mai il gusto estetico.

I film hanno contribuito a questo successo: tante pellicole importanti, passando dal Paziente inglese, al Gladiatore, nei due set di Pienza (Campi Elisi) e San Quirico (casa di Massimo Decimo Meridio) che anche dopo venti anni porta turisti nei luoghi del paesaggio da Oscar. Le immagini e foto della Val d’Orcia sono finite ovunque, in pubblicità, aeroporti e metropolitane, utilizzate da istituzioni di ogni livello, giornali di tutto il mondo, talvolta anche con veri e propri utilizzi commerciali al limite del plagio.

Fino all’avvento dei social che hanno fatto da moltiplicatore della notorietà dei luoghi più iconici, Cipressini, Belvedere, Vitaleta e Gladiatore a San Quirico; podere i Cipressini, la strada della Foce, Gladiatore e negli ultimi anni anche Palazzo Massaini a Pienza; Poggio Covili a Castiglione d’Orcia.

Nel 2004 il riconoscimento a Patrimonio mondiale da parte dell’Unesco, che ha premiato la Val d’Orcia come “paesaggio culturale” contribuendo ad accrescerne la fama a livello globale e farne oggi un territorio che vive di turismo. Un territorio che, seppur a macchia di leopardo, è riuscito ad attrarre investimenti e a creare un valore aggiunto alle produzioni agroalimentari valdorciane di qualità: l’olio extravergine d’oliva, il pecorino di Pienza, la filiera dal grano al prodotto finito (pici) carni e salumi, possono senz’altro beneficiare del luogo di origine.

E poi su tutti, il vino, in una zona vocata e già celebre nel mondo (Brunello di Montalcino docet), che ha saputo crescere quasi in parallelo con l’immagine di questo territorio. Nel 1997 i pochi viticoltori della zona lavoravano per ottenere l’Igt (Indicazione geografica tipica), nel 2000 arriva la Doc Orcia, che oggi vede celebrare i 25 anni da parte del Consorzio di tutela. Una produzione di nicchia, neanche 300mila bottiglie prodotte, che trovano nella ristorazione e nella vendita diretta in un luogo altamente turistico, i canali commerciali più importanti. Consorzio che sta lavorando al raggiungimento della Docg per una crescita complessiva che parte dalle cantine, in grado sempre di più, sia qualitativamente sia numericamente, di offrire ospitalità ed esperienze esclusive.

Nel futuro della Val d’Orcia servirà ancora la capacità da parte delle amministrazioni di gestire un equilibrio da conservare fra popolazione indigena e turisti - garantendo i servizi essenziali alla cittadinanza -, senza però aver paura del turismo, perché piaccia o non piaccia, ad oggi è l’unica economia davvero importante – con l’indotto- che permette a questo territorio di sopravvivere. E magari con lungimiranza saper attrarre nuovi e diversi tipi di investimenti che possano portare occupazione, e rallentare l’abbandono da parte dei giovani, lasciando da parte preconcetti ideologici.

Se dagli anni Sessanta la Val d’Orcia ad oggi ha perso la metà degli abitanti è per la mancanza di occupazione, fenomeno che ovviamente interessa tutte le aree cosiddette marginali, ma che può essere rallentato grazie proprio all’essere in un territorio-brand come la Val d’Orcia, in grado di offrire opportunità.