Cresce lo smart working, sono 3,75 milioni gli italiani in lavoro agile

Il 29% delle aziende pratica quello internazionale per attrarre nuovi talenti. Più attuato nelle grandi imprese che nelle piccole

Apr 1, 2025 - 11:22
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Cresce lo smart working, sono 3,75 milioni gli italiani in lavoro agile

Roma, 1 aprile 2025 – E’ sempre più diffuso, specie nelle grandi imprese, e sono sempre di più le aziende che praticano anche quello internazionale: si tratta dello smart working, che stando agli addetti ai lavori riguarda ormai 3,75 milioni di lavoratori. Nel 2024 aveva riguardato 3,55 milioni di persone, in leggero calo dello 0,8% rispetto all’anno precedente. Sono soprattutto le grandi imprese con 1,91 milioni di dipendenti complessivi, a far svolgere il lavoro da casa, con una crescita dell’1,6% rispetto al 2023.

I dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano

Dunque lo smart working non è affatto finito, anzi. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, per il 2025 si prevede una crescita del 5%, che porterebbe a toccare il numero di 3,75 milioni di dipendenti coinvolti in questa pratica. A far evolvere le iniziative, in termini di persone coinvolte o di policy, saranno soprattutto le grandi imprese (35%) seguite dalle pubbliche amministrazioni (23%) e dalle piccole e medie imprese (9%).

Il 35% delle grandi imprese e il 43% delle pubbliche amministrazioni prevede un incremento dei lavoratori coinvolti nel prossimo anno, mentre nelle piccole e medie imprese la direzione è opposta, con solo l’8% che ipotizza un aumento. Gli smart worker italiani possono lavorare da remoto in media 9 giorni al mese nelle grandi imprese, 7 nella Pa e 6,6 nelle Pmi.

Il 73% dei lavoratori che se ne avvalgono si opporrebbe se la propria azienda eliminasse questa forma di flessibilità. Nello specifico, il 27% penserebbe seriamente di cambiare lavoro, il 46% si impegnerebbe per far cambiare idea al datore di lavoro. Sempre secondo i lavoratori, per cercare di compensare almeno in parte la mancata possibilità di lavorare da remoto, l’azienda dovrebbe offrire una maggiore flessibilità oraria o aumentare lo stipendio di almeno il 20%. Tra chi è tornato in totale presenza dopo aver lavorato da remoto, solo il 19% lo ha fatto per scelta personale, perché non ha più la necessità di lavorare da remoto o semplicemente preferisce socializzare con i colleghi in presenza, il 23% ha una nuova mansione non praticabile da remoto, mentre per la grande maggioranza (58%) è stata una decisione presa dall’azienda.

I motivi

“Negli ultimi mesi, a causa dell’eliminazione degli ultimi obblighi normativi sullo smart working e della scelta di alcune grandi multinazionali di far tornare i propri lavoratori totalmente in presenza, si è decretata prematuramente la fine dello smart working – spiega Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio. In realtà i numeri fotografano un’altra realtà, con i lavoratori da remoto sostanzialmente stabili rispetto allo scorso anno. Il lavoro agile cresce nelle grandi aziende e cala nelle Pmi. Nelle piccole realtà la fine dell’obbligo dello smart working per i lavoratori fragili ha riportato in ufficio molti lavoratori, probabilmente perché questo modello organizzativo è ancora visto, prevalentemente, come uno strumento occasionale di conciliazione tra vita privata e lavorativa e non come una vera e propria innovazione nell’organizzazione del lavoro”.

Il fenomeno dell’international smart working

Un fenomeno emergente è l’international smart working, presente soprattutto nelle grandi imprese, in cui è praticato già dal 29% delle realtà, mentre è ancora contenuta la diffusione nelle Pmi (4%). Le iniziative riguardano spesso un numero limitato di individui, ma rappresentano lo strumento con cui le organizzazioni possono accedere ad un più ampio bacino di talenti a livello geografico e mantenere il rapporto di lavoro con chi manifesta la necessità di spostarsi a vivere all’estero. Attrarre specifici profili e trattenere talenti sono le principali motivazioni per attivare iniziative di international smart working. A limitarne la diffusione, la difficile gestione fiscale e previdenziale per metà delle organizzazioni che hanno progetti attivi. Una volta avviata l’iniziativa, il principale rischio percepito dalle aziende è la perdita di senso di appartenenza e la riduzione dell’engagement (per il 57% delle grandi imprese), mentre per il 46% delle Pmi la preoccupazione è soprattutto la gestione in sicurezza dei dati.