Chi rema contro gli F-35 in Italia?
Nei prossimi giorni il Parlamento è chiamato alla votazione dell'acquisizione di ulteriori F-35. Fatti, numeri e polemiche (pure in Fratelli d'Italia?)

Nei prossimi giorni il Parlamento è chiamato alla votazione dell’acquisizione di ulteriori F-35. Fatti, numeri e polemiche (pure in Fratelli d’Italia?)
Il Parlamento voterà a breve l’acquisito di altri 25 caccia F-35 per l’Italia.
Lo scorso settembre il dicastero guidato dal ministro Guido Crosetto ha pubblicato e trasmesso al Parlamento il documento programmatico pluriennale (Dpp) per la Difesa per il triennio 2024-2026. Quest’ultimo mette nero su bianco la decisione di incrementare la flotta italiana di F-35 passando da 90 a 115 velivoli complessivi. Altri 25 caccia dunque per una spesa aggiuntiva di 7 miliardi di euro.
Il governo Meloni ha così accolto l’appello delle forze armate: l’anno prima il generale di Squadra aerea Luca Goretti, capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica militare, nel corso dell’audizione in commissione Difesa alla Camera parlando delle linee programmatiche della forza armata, aveva auspicato di “Ripristinare il numero di caccia F-35 originario: erano 131 prima del taglio a 90”.
E ora non si torna ai 131 cacciabombardieri originari – autorizzati dal Parlamento nel 2009 e ancora corrispondente all’esigenza operativa delle Forze Armate – ma ci si avvicina.
“Quando il ministro della Difesa formalizzerà la richiesta alle Camere, il voto sul nuovo lotto di F-35 potrebbe fornire a partiti di maggioranza e opposizione lo strumento per scatenare una nuova ondata di polemiche. Magari usando il pretesto del costo dell’operazione (7 miliardi) per contrapporre le esigenze della sanità e degli asili nido” commentava il 7 marzo Francesco Verderami sul Corriere della Sera.
Il voto sugli ulteriori F-35 arriva in un momento delicato per i paesi europei, non solo l’Italia, chiamati alla necessità di un aumento delle spese militari, come richiesto da Donald Trump ai Paesi Nato.
Tutti i dettagli.
IL PROGRAMMA F-35 IN ITALIA
L’Italia comprerà altri 25 F-35, i caccia di quinta generazione prodotti dalla statunitense Lockheed Martin.
Prodotto dall’americana Lockheed Martin, l’F-35 Lightning II è un velivolo caccia di quinta generazione, multiruolo (cioè capace di svolgere tutte le missioni della dottrina aeronautica), con spiccate caratteristiche stealth (bassa osservabilità da parte dei sistemi radar) e net-centriche (interconnessione di tutti i sistemi di comunicazione, informazione e scambio dati a disposizione). L’F-35B è la versione Stovl (a decollo corto e atterraggio verticale) del caccia di quinta generazione Joint Strike Fighter. La Marina ha ordinato un totale di 15 caccia F-35B. Anche l’Aeronautica militare ha ordinato lo stesso quantitativo del modello B, oltre a 60 F-35A Ctol (a decollo convenzionale).
“Nel Documento Programmatico Pluriennale (DPP) 2023-2025 erano previste tre tranche di acquisizione denominate Fase 1, 2a e 2b; allo stato attuale, in considerazione del mutato scenario geopolitico e dei potenziali risvolti operativi è stata prevista un ulteriore fase denominata 3” precisa il documento.
LA SPESA DA AUTORIZZARE
“Nel Documento Programmatico Pluriennale (DPP) 2023-2025 erano previste tre tranche di acquisizione denominate Fase 1, 2a e 2b; allo stato attuale, in considerazione del mutato scenario geopolitico e dei potenziali risvolti operativi è stata prevista un ulteriore fase denominata 3” precisa il documento.
Alla luce di quanto realizzato finora, la Difesa segnala che “In ottemperanza agli indirizzi politici volti a soddisfare le esigenze operative delle Forze Armate”, si darà corso “all’avvio della Fase 3 per l’acquisizione di ulteriori 25 velivoli (fabbisogno complessivo stimato di 7 miliardi di euro) e dei relativi motori, equipaggiamenti, aggiornamento periodico e supporto logistico fino a prevedibilmente il 2035, portando la flotta nazionale ad un totale di 115 velivoli”.
LE RICADUTE INDUSTRIALI ED ECONOMICHE
A questo proposito, va rammentato che la struttura gestita da Leonardo a Cameri è l’unico sito di assemblaggio e checkout finale per gli F-35 in Europa. Si tratta di un sito tri-funzionale (produzione delle ali, assemblaggio velivoli – Final Assembly and Check out e MRO&U) dove si effettuano le attività di manutenzione, riparazione, revisione e aggiornamento degli F-35 della regione euro-mediterranea. La struttura è responsabile dell’assemblaggio degli F-35A/B dell’Aeronautica Militare Italiana e della Marina Militare Italiana, nonché dei velivoli per le forze aeree olandesi.
Riguardo agli F-35 italiani, al 31 dicembre 2023, il programma ha generato ricadute tecnologiche, industriali ed economiche nazionali per un valore di circa 4,7 miliardi di euro (5,17 miliardi al 31 dicembre 2021 dal Dpp 2023-2025), con un ulteriore contributo di circa 1,64 miliardi di euro per l’attivazione dei siti e l’implementazione della Faco, segnala il Dpp.
“La maturità raggiunta dallo stabilimento di Cameri prospetta ulteriori benefici economici, poiché diventa un punto di riferimento per le flotte F-35 nella regione europea e per altri Paesi alleati e amici” concludeva il Dpp della Difesa 2024-2026.
PARTITI AL BIVIO
Alla luce di ciò, scontato o meno il verdetto del Parlamento?
Secondo Verderami se “per Salvini sarà difficile sconfessare l’atto di governo, per Conte sarà impossibile nascondere le decisioni assunte quando stava a Palazzo Chigi. Nell’autunno del 2019, infatti, fu il premier del gabinetto giallorosso a dare il via libera all’acquisto di 27 F-35, assecondando il piano pluriennale della Difesa che sta per ultimarsi con altri 25. Arrivando così a 115 caccia. Tutto avvenne alla luce del sole, cioè in Parlamento. Lì dove sarà complicato anche per Schlein tentare un «salto quantico» e imporre ai suoi rappresentanti di bocciare l’acquisto dei caccia multiruolo. Nel Pd si stanno predisponendo al voto favorevole, anche perché fu il ministro della Difesa Guerini che — prima di lasciare il dicastero — invitò il suo successore ad andare avanti nel progetto”.
Intanto una presa di posizione non proprio incline al programma Jsf arriva a sorpresa da un esponente del partito leader di maggioranza Fratelli d’Italia. In un’intervista a La Stampa il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli oggi ha detto: “Dobbiamo restare uniti all’America e ancorati all’Europa, come giustamente dice Giorgia Meloni”, per poi precisare che “per mantenere buoni rapporti e preservare un impegno americano in Italia, certi interessi si possono anche intrecciare: Anni fa si ordinarono gli F-35 americani e non gli Eurofighter perché gli Usa avevano un ruolo nella sicurezza italiana. Poi magari sceglieremo di rivolgerci alla francese Eutelsat e non a Starlink, perché più vantaggiosa. Quando si prendono scelte importanti sulla strategia della Difesa, si deve tenere conto di tutto”.
IL NODO POLITICO
Secondo Verderami “non c’è dubbio che l’acquisto degli F-35 avrà una valenza politica ed economica: per un verso sarà funzionale nel gioco delle relazioni diplomatiche di Palazzo Chigi con la Casa Bianca; per l’altro garantirà il livello di occupazione delle imprese italiane del settore, dato che l’assemblaggio finale del caccia prodotto dalla Lockheed-Martin avviene nello stabilimento di Leonardo a Cameri (Novara).”
A partire dalla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, l’Europa ha iniziato a riconsiderare la sua dipendenza dagli Stati Uniti in materia di sicurezza e difesa. Al tempo il programma F-35 fu considerata la miglior opzione, ora per la sesta generazione l’Italia collaborerà con Regno Unito e Giappone.
QUESTIONE DELLA SOVRANITÀ TECNOLOGICA
Senza dimenticare che gli F-35 europei potrebbero non volare senza il permesso del Pentagono statunitense.
Nonostante l’acquisto dei jet prodotti da Lockheed Martin da parte dei paesi europei (tra cui l’Italia), la loro operatività non è completamente autonoma. Gli Stati Uniti manterrebbero quindi il controllo su vari aspetti cruciali, tra cui l’accesso al software, la logistica e la manutenzione, ponendo le forze armate alleate sotto la potenziale influenza geopolitica di Washington.
Va da sé che in questo caso l’indipendenza operativa degli Stati del Vecchio Continente, partner del programma Jsf F-35, risulta limitata.
Invece il particolare modello di cooperazione adottato per il programma Gcap, che diverge ad esempio da Eurofighter e F-35 – ha ricordato di recente Giovanni Soccodato, amministratore delegato di Mbda Italia, ascoltato in audizione alla Commissione Affari esteri del Senato – “prevede che tutti i partner condividano una visibilita’ completa su tutti gli aspetti sia tecnologici sia operativo-prestazionali del sistema” e questo “consente di mantenere una sovranita’ tecnologica piena e completa e anche industriale da parte del Paese sui sistemi di combattimento aereo del futuro”: questo “contribuisce a un posizionamento strategico paritetico del nostro Paese rispetto ai Paesi partner, ma anche rispetto ad altri Paesi in Europa che stanno sviluppando soluzioni e sistemi analoghi”.
IN VISTA DEL GCAP
Di recente l’inviato speciale degli Stati Uniti in Italia Paolo Zampolli ha auspicato il coinvolgimento proprio di Lockheed Martin nel programma Next Generation Fighter, ossia il Gcap che coinvolge Gran Bretagna, Italia e Giappone, con “un ruolo di leadership”.
È fattibile questa ipotesi? Startmag lo aveva chiesto a Germano Dottori, consigliere scientifico di Limes: “L’auspicio di Zampolli è interessante sotto molti punti di vista. Intanto, dimostra che gli Stati Uniti ritengono il Tempest un progetto credibile sia operativamente che industrialmente. Fa altresì trapelare il desiderio americano di aggiungersi nella corsa al caccia di sesta generazione risparmiando risorse e controllando lo sviluppo tecnologico ed industriale di alcuni paesi alleati. I paesi coinvolti nel Gcap hanno tutti eccellenti rapporti con gli Stati Uniti. La valutazione da fare è eminentemente politica e riguarda le prospettive degli allineamenti internazionali. A mio avviso si tratta di uno sviluppo possibile. Andrà eventualmente riconsiderata l’idea di ‘aprire’ il Gcap a paesi come l’Arabia Saudita, dal momento che Riad ha rapporti significativi con Stati che non sono alleati degli Usa”.