Chi li ha visti?

I dem americani si trovano senza una vera leadership, sono frammentati, e le fratture favoriscono la prepotenza del governo di Trump senza dare segnali di coesione per un obiettivo comune, ovvero lottare contro l’oligarchia degli Usa. Non basta impegnarsi durante una campagna elettorale e tirare fuori i grandi nomi, se poi, finite le presidenziali, all’opposizione ci si assesta su una posizione pilatesca, fiacca, certamente non adeguata ai tempi che corrono. Dove sono finiti Obama, Clinton, Harris e tutti gli altri? L'articolo Chi li ha visti? proviene da THE VISION.

Mar 18, 2025 - 17:48
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Chi li ha visti?

In questi giorni mi è tornata in mente un’immagine. Inauguration Day del 2021 dell’amministrazione Biden, da un lato sorrisi e lustrini, dall’altro Bernie Sanders in disparte, seduto su una sedia di plastica con la mascherina al volto, le braccia incrociate e dei guanti buffi. La foto è diventata un meme in tutto il pianeta con fotomontaggi di ogni tipo. All’epoca, il senatore del Vermont dava l’impressione del nonno appisolato durante la Vigilia di Natale mentre i nipoti scorrazzano in salotto. Oggi, quattro anni dopo, Sanders è ancora isolato, ma è l’unico sveglio e pimpante tra gli oppositori di Trump, mentre tra i Democratici prevale una sonnolenza che è quasi sinonimo di rassegnazione. E, in un periodo storico del genere con la democrazia in pericolo, la loro apatia è dannosa.

Bernie Sanders

La crisi dei dem non è solo una percezione. Gli ultimi sondaggi realizzati da SSRS per la CNN indicano come, a marzo, soltanto il 29% dell’elettorato statunitense abbia un’opinione favorevole dell’operato del Partito Democratico. Per intenderci, venti punti percentuali in meno rispetto al giorno della foto di Sanders imbacuccato all’insediamento di Biden, e il dato più basso dal 1992. Questo risultato può essere spiegato attraverso un’altra domanda del sondaggio, ovvero quella in cui è stato chiesto agli intervistati il ruolo che dovrebbe tenere il Partito Democratico nei confronti del governo. Se durante il primo mandato di Trump, nel 2017, alla stessa domanda il 74% delle persone aveva risposto “dovrebbe lavorare insieme ai Repubblicani”, adesso la tendenza si è invertita. Per il 57% “dovrebbe lavorare per fermare l’agenda dei Repubblicani”, cosa che non sta avvenendo, e da qui il malcontento per un’opposizione di fatto inesistente.

Se è comprensibile il basso profilo iniziale, ovvero un passaggio di consegne tranquillo proprio per rimarcare la differenza con quanto avvenuto quattro anni prima – l’assalto a Capitol Hill e Trump a rifiutare l’esito delle elezioni – affermando i principi della democrazia, appare svilente l’accettazione della presa del potere del nuovo presidente senza batter ciglio. E per “presa del potere” non si intende semplicemente sedersi nella stanza ovale della Casa Bianca, ma cannibalizzare l’intera politica americana fino a minacciare il resto del mondo. L’assenza di una concreta forza d’opposizione si è palesata qualche giorno fa, quando il Senato ha approvato il disegno di legge sui finanziamenti governativi. Per i dem poteva essere un’opportunità per contrastare Trump bloccando la misura, considerando che necessitava del 60% per passare. I Democratici si sono però spaccati in due correnti – tutto il mondo è Paese – e il piano è saltato.

Elettori democratici, Washington D.C, novembre 2024

Alla Camera tutti i Democratici, con una sola eccezione, avevano votato compatti contro la misura di Trump, consci che avrebbe garantito al presidente un controllo ancora maggiore sul budget federale. Sembrava quasi che ci fosse un impeto di ribellione, con il leader dem alla Camera, Hakeem Jeffries, a dichiarare che “Donald Trump e i Repubblicani stanno distruggendo l’economia. Intendono tagliare con la motosega la Social security, Medicare e Medicaid, i benefit per i veterani e le scuole pubbliche, tutto per regalare enormi tagli fiscali ai ricchi e alle corporation”. Come detto, al Senato c’è stata la spaccatura, con il leader dem Chuck Schumer a indicare di votare insieme ai Repubblicani per evitare lo shutdown, ovvero il blocco delle attività amministrative negli Stati Uniti. Schumer ha dichiarato che “è stato un male votare a favore, ma lo shutdown del governo federale sarebbe stato molto peggio, facendo il gioco di Trump e Musk”. Ha spiegato di temere la reazione dei cittadini americani, che avrebbero visto i Democratici come i responsabili di un’eventuale paralisi delle attività federali, i “cattivi” della situazione. Non è stata convincente come spiegazione, visto che parecchi colleghi, soprattutto dell’ala più a sinistra dei dem, si sono scagliati contro Schumer, e forse la vicenda si può riassumere con la frase di Alexandria Ocasio-Cortez: “C’è un profondo senso di oltraggio e tradimento”.

Alexandria Ocasio-Cortez

Tornando al sondaggio della CNN, proprio Alexandria Ocasio-Cortez, a sorpresa ma nemmeno troppo, risulta in testa alla voce sui “leader Democratici che riflettono i core values – valori fondamentali – del partito”, con il 10%. Seguono Kamala Harris con il 9% e Bernie Sanders con l’8%. Barack Obama ottiene solo il 4%, e addirittura Hillary Clinton l’1%. Alla stessa domanda posta nel 2017, in testa c’era Obama con il 18%, seguito da Sanders con il 14% e Clinton (Hillary) con il 10%. 

A proposito di Harris, candidata dem alle ultime elezioni, ciò che colpisce è che sia sostanzialmente sparita dopo la nettissima sconfitta contro Trump. Ho provato a sbirciare la sua pagina Instagram, e dopo le elezioni ha pubblicato pochissimi post. Una foto con il marito per San Valentino, un post per la Giornata internazionale della donna e poco altro. In nessuno di questi contenuti si parla di Donald Trump. Qui torniamo alla base degli errori dei Democratici, ovvero le candidature. Prima l’azzardo di Hillary Clinton nel 2016, appartenente allo status quo e troppo legata a una dinastia famigliare. Poi la vittoria risicata di Joe Biden, in realtà più una sconfitta di Trump per la pessima gestione della pandemia. Biden che, in seguito, ha compromesso la campagna elettorale del 2024 sottovalutando il suo stato psicofisico. Il suo ritiro è stato tardivo, e Harris non era un nome forte che potesse attecchire sull’elettorato statunitense.

Joe Biden e Kamala Harris, 2020

Harris e Biden non sono stati gli unici a defilarsi dopo la debacle elettorale. Negli Stati Uniti hanno un ruolo fondamentale i sostenitori esterni, le celebrity che spesso finanziano la stessa campagna elettorale. Attori, popstar o intellettuali che adesso non mostrano abbastanza ferocia contro l’amministrazione Trump. Alla recente Notte degli Oscar, ad esempio, ci saremmo aspettati una satira più ficcante, come più volte avvenuto in passato contro Trump, se non una vera e propria denuncia politica e sociale. Così non è stato. Il popolo americano pare anestetizzato e per loro sembra sia più interessante la faida Kendrick-Drake rispetto a una protesta effettiva contro il presidente. Anche perché Trump ha dalla sua colossi come Amazon e Meta, per non parlare del potere economico e mediatico di Musk, e dunque detiene il controllo dei principali media riducendo le opportunità di dissenso. Sembra che l’unico politico che stia realmente portando avanti una battaglia di opposizione efficace sia proprio Bernie Sanders, l’ottantatreenne che si è alzato da quella sedia, si è sfilato i guanti e ha deciso di sporcarsi le mani mettendosi in gioco in prima persona, in mezzo al silenzio assordante dei democratici.

Donald Trump

Sanders sta infatti girando per gli Stati Uniti portando quello che considera un “tour contro l’oligarchia”. A Detroit, la settimana scorsa, si sono presentate novemila persone al suo comizio. Ha urlato alla folla parole di resistenza pura: “Il popolo americano non permetterà che il nostro Paese scivoli verso l’oligarchia. Non permetterà a Trump di portarci verso l’autoritarismo. Siamo pronti a combattere. E vinceremo”. Il suo impegno è encomiabile, ed è un peccato che tra i suoi colleghi lo slancio non sia lo stesso. I dem si trovano senza una vera leadership, sono frammentati, le fratture – come quella dimostrata al Senato – favoriscono la prepotenza del governo di Trump senza dare segnali di coesione per un obiettivo comune, ovvero lottare contro l’oligarchia denunciata da Sanders. Non basta impegnarsi durante una campagna elettorale e tirare fuori i grandi nomi, l’endorsement della star di Hollywood di turno, se poi all’opposizione ci si assesta su una posizione pilatesca, fiacca, certamente non adeguata ai tempi che corrono. Anche perché i destini dell’intero pianeta, non solo degli Stati Uniti, dipendono anche dalla capacità dei dem di contrastare Trump nelle sedi istituzionali e a livello di comunicazione – tra media, social e comizi nelle piazze. E se il più vispo è un ottantatreenne che non si è ancora arreso, vuol dire che gli altri dormicchiano sulle loro poltrone, rassegnandosi al declino americano e trascinando con loro tutti noi.

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