Caso Cecchettin: 75 coltellate non sono crudeltà, le motivazioni shock dell’ergastolo di Filippo Turetta
Giulia guardava negli occhi il suo assassino: perché la giustizia non vede la violenza di 20 minuti di orrore?

Filippo Turetta ha accoltellato Giulia Cecchettin mentre lei lo guardava con tutta sé stessa. Col viso. Con gli occhi. Con tutto il corpo impegnato a sopravvivere.
Filippo ha colpito settantacinque volte. In venti interminabili minuti. Non un impeto. Un crescendo. Un’aggressione che si è fatta assedio, linguaggio, sentenza. Ed a proposito di sentenza, Filippo è stato condannato all’ergastolo senza il riconoscimento di alcuna attenuante generica. Come nessuna è stata la pietà verso la donna che diceva di amare. Eppure, per la Corte d’Assise di Venezia, non c’è stata crudeltà nella sua azione omicidiaria. Così recitano le 143 pagine di motivazioni.
In effetti, secondo comprovata Cassazione, la crudeltà si configura solo quando l’assassino infligge alla vittima sofferenze ulteriori rispetto a quelle necessarie per uccidere. In soldoni, il numero dei colpi, da solo, non basta. Non importa se sono settantacinque. Non importa se il corpo è devastato. Se non c’è una volontà autonoma di infierire, l’aggravante non si applica. Punto.
Così, di fronte a una carneficina, i giudici parlano di inesperienza. Come se per ammazzare una donna servisse precisione, non rabbia e fame sanguinaria. Allenamento, non violenza. Come se l’efferatezza fosse una questione di tecnica, non di volontà di dominare e cancellare per sempre una donna. Quella di Turetta non è stata un’esecuzione maldestra. È stata una lucida progressione. Un disegno che il ventiduenne ha delineato e poi concretizzato. Un coltello che è affondato nel volto, nella voce, nella libertà di Giulia. Che ha colpito “dove Giulia era Giulia”. Nello sguardo.
Lei lo guardava per restare viva. Lui la fissava negli occhi mentre la uccideva. Filippo ha voluto vedere il terrore che lui stesso ha provocato. Tutto questo non è, e non può essere, ascrivibile ad un effetto collaterale, ma all’obiettivo. E se oggi ci viene detto che non è crudeltà — giurisprudenza o non giurisprudenza, ermellini o non ermellini — allora significa che la giustizia ha smesso di riconoscere la violenza quando si presenta addirittura senza maschera. Che la giustizia ha smesso di vedere il sangue quando non è abbastanza “elegante”. Perché se settantacinque coltellate non bastano, se venti minuti non sono sufficienti, se cancellare un volto non rientra nella crudeltà, allora sì, ci stiamo lentamente abituando all’orrore. Stiamo anestetizzando la coscienza. E domani sarà ancora più facile dire: “Non è un assassino. È solo un uomo inesperto”.