Benjamin e Brecht, storia di un’amicizia ‘asimmetrica’
“Stancare l’avversario, la tattica che ti piaceva/ Quando sedevi al tavolo degli scacchi, all’ombra del pero./ Il nemico che ti cacciava via dai tuoi libri/ Non si lascia stancare da gente come noi”. Questa è la più famosa fra le quattro poesie che Brecht dedicò all’amico Walter Benjamin (morto suicida alla frontiera fra Spagna e […] L'articolo Benjamin e Brecht, storia di un’amicizia ‘asimmetrica’ proviene da Il Fatto Quotidiano.

“Stancare l’avversario, la tattica che ti piaceva/ Quando sedevi al tavolo degli scacchi, all’ombra del pero./ Il nemico che ti cacciava via dai tuoi libri/ Non si lascia stancare da gente come noi”. Questa è la più famosa fra le quattro poesie che Brecht dedicò all’amico Walter Benjamin (morto suicida alla frontiera fra Spagna e Francia il 27 settembre 1940) quando venne a sapere della sua fine.
In essa campeggia l’immagine di loro due che giocano a scacchi, la stessa restituita da una foto non meno famosa, che trovo sulla copertina di un volume appena uscito. Si tratta della edizione italiana, a vent’anni da quella originale tedesca, di un’importante ricerca di Erdmut Wizisla: Benjamin e Brecht. Storia di un’amicizia, traduzione e introduzione di Fabio Tolledi, Kaiak Edizioni Pompei. Wizisla è il direttore dell’Archivio di Benjamin e di quello di Brecht a Berlino. Chi dunque meglio di lui per cercare di ricostruire nelle sue tante sfaccettature la relazione privata e professionale che legò per oltre dieci anni, secondo le parole di Hannah Arendt, “il più grande poeta vivente della Germania con il più grande critico dell’epoca”?
Eppure questa amicizia, iniziata nel 1929, fu tutt’altro che esente da difficoltà e in particolare venne fortemente contrastata dalla cerchia degli intellettuali vicini a Benjamin: dal grande specialista di mistica ebraica Gershom Scholem (emigrato a Gerusalemme) a Theodor W. Adorno, alla guida dell’Institut fűr Sozialforschung insieme a Max Horkeimer. Essi temevano l’influenza negativa del pensiero marxista del drammaturgo, dotato per giunta di una personalità dominante, sulla concezione critica e i gusti letterari dell’autore del Dramma barocco tedesco, caratterizzati da un forte accento metafisico e giudaico-teologico.
In effetti, almeno a prima vista, i due non avrebbero potuto essere più diversi, per formazione e nell’indole, tendente al meditativo e al melanconico (ma con humor) nel filosofo almeno quanto invece era straripante di energia e di voglia di imporsi nello “scrittore di drammi”. Gli amici del critico non riuscirono a capire che era proprio questo ad attirarlo verso Brecht: la consapevolezza delle differenze e dunque l’opportunità che questo rapporto gli forniva – scrive Wizisla, citando una lettera del 1934 – “di mantenere una sorta di polo da contrapporre ‘al suo sé originario’. […] La sua vita, scrive, come il suo pensiero si muove da un estremo all’altro; vuole riunire cose e pensieri considerati incompatibili”.
Peraltro, Benjamin aveva aderito (a modo suo, ovviamente) al comunismo fin dalla primavera del 1924, grazie alla teatrante e agitatrice politica lettone Asja Lacis. Dunque, ben prima di Brecht, che si decide a questa scelta solo alla fine del decennio, scosso dagli avvenimenti politici e dopo anni di letture marxiane.
E’ vero, tuttavia, che solo attraverso il sodalizio con il drammaturgo Benjamin arriva a fare realmente i conti con il materialismo storico nel suo modo di leggere la letteratura e la realtà, sempre cercando di non snaturarsi. Probabilmente egli volle misurarsi con l’amico sul piano della radicalità estetica e politica. Proprio qui sta il fascino della produzione saggistica degli anni Trenta, che va, in estrema sintesi, da L’autore come produttore al celebre L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (alla cui revisione Brecht contribuì) per sfociare nell’opus magnum incompiuto su Parigi, i Passages.
In questa produzione un posto di rilievo occupano i ben undici scritti dedicati a Brecht, fra i quali spiccano quelli sul Teatro epico, insuperati per precisione e acume. Il “gesto citabile” come elemento linguistico distintivo; i procedimenti anti-illusionistici dell’interruzione e del montaggio; la messa a frutto delle tecniche antiauratiche di radio e cinema (come il procedimento “a scossoni”); la “situazione” al posto dell’”azione”; e, nello spettatore, lo stupore invece dell’immedesimazione. Sono scritti che nascono da una lunga e intima frequentazione del lavoro del sodale, di cui leggeva i testi ancora inediti, discutendone con lui, e seguiva spesso le prove. Nonostante le enormi difficoltà che insorsero durante l’esilio, iniziato per entrambi nella primavera del 1933. Si incontrarono e frequentarono per anni soprattutto nel rifugio danese del drammaturgo, vicino Svendborg, dove veniva celebrato il rito degli scacchi.
Rispetto a tanta disponibilità, Brecht rispose a modo suo, ma in fondo con generosità. Cercando soprattutto di aiutare Benjamin, in crescenti difficoltà economiche, a piazzare i suoi articoli in giro per l’Europa. In ogni caso, credo abbia ragione Gűnther Anders, il primo marito della Arendt, a dire che si trattò di un’amicizia “asimmetrica”, com’era forse inevitabile.
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