Beni digitali, la successione è fai-da-te. Ecco la bussola
La password non fa parte dell’eredità, il Bitcoin sì. Il file del film piratato non entra in successione e neppure l’identità digitale Spid. Il conto bancario online, invece, è una forma di fruizione del conto corrente e segue la procedura tradizionale delle successioni. Sono alcuni dei punti del decalogo sull’eredità digitale, diffuso il 6 marzo […] L'articolo Beni digitali, la successione è fai-da-te. Ecco la bussola proviene da Iusletter.

La password non fa parte dell’eredità, il Bitcoin sì. Il file del film piratato non entra in successione e neppure l’identità digitale Spid. Il conto bancario online, invece, è una forma di fruizione del conto corrente e segue la procedura tradizionale delle successioni. Sono alcuni dei punti del decalogo sull’eredità digitale, diffuso il 6 marzo 2025 dal Consiglio nazionale del notariato, con il quale i notai cercano di mettere alcuni punti fermi in una materia dai connotati incerti a causa della mancanza di leggi specifiche. Il compito non è certo facile e anche il decalogo dei notai, in assenza di indirizzi normativi, non può sciogliere tutti i nodi. Il messaggio sotteso al documento è, comunque, chiaro: visto che i legislatori non si decidono a scrivere regole chiare, bisogna che ognuno ci pensi da sé e si arrangi con le scarne norme a disposizione. Meglio, quindi, scrivere un testamento e dare puntuali disposizioni affidando la password a una persona di fiducia, incaricata di gestire l’account dopo la morte.
Le regole delle piattaforme. In effetti, il problema è sotto gli occhi di tutti e cresce a vista d’occhio di pari passo con l’aumento, a ritmi enormi e frenetici, di tutte le cose che vengono caricate su Internet, delle quali bisogna capire se passano o no in successione ereditaria.
Si tratta di una massa di contenuti molto eterogenei, dati, file, video, applicazioni e così via, molto spesso giacenti su piattaforme diffuse su tutto il pianeta, gestite da entità economiche multinazionali più forti delle autorità statuali, le quali dettano, per il caso di morte del titolare di un account, clausole contrattuali e condizioni di servizio non in linea con le norme nazionali sulle successioni.
Ad esempio, alcuni servizi online, nelle condizioni generali di contratto al momento dell’attivazione, attribuiscono la facoltà di creare account commemorativi, di consentire o impedire la divulgazione di dati, di disattivare o chiudere l’account dopo aver “segnalato” il decesso dell’utente. Tra i più noti servizi, riferiscono i notati, vi è la funzione per indicare il “contatto erede”, che legittima l’utente designato all’esercizio di alcuni diritti morali, affettivi e familiari.
Come si noterà, questo significa che, per accedere al profilo del morto e ai dati dello stesso, bisogna creare e mantenere un altro profilo ed essere utente presso la stessa piattaforma e questa è una modalità molto opinabile: è come chiedere agli eredi del titolare di un conto bancario di diventare correntisti della stessa banca per poter ereditare il conto del defunto.
Inoltre, ammette lo stesso decalogo dei notai, tutto ciò non sempre è in grado di soddisfare gli interessi dell’utente defunto e degli stessi eredi, soprattutto in tema di risorse digitali che abbiano un valore economico e patrimoniale. A ben vedere, poter accedere e fare attività sull’account commemorativo, se può rispondere a esigenze morali e personali, non è certo una modalità di definizione dei passaggi successori. Senza contare che alcuni servizi digitali, sottolinea il decalogo, prevedono addirittura che in caso di morte tutti i dati vengano distrutti e, dunque, persi definitivamente.
Per risolvere il problema della successione nei beni digitali, pertanto, occorre: a) classificare i beni digitali e individuare quelli che entrano nel cosiddetto asse ereditario; b) definire le regole della successione (chi e come diventa erede); c) vincolare giuridicamente a tutto ciò i soggetti presso i quali sono collocati beni digitali. Il decalogo dei notai offre alcuni spunti utili.
Password fuori asse. In primo luogo, il decalogo approfondisce ciò che è bene digitale, che rientra nell’eredità digitale, e ciò che non lo è, a cominciare dalle credenziali necessarie per entrare in un account.
Le password, dicono i notai, non fanno parte dell’eredità digitale. Non sono beni, esse sono chiavi. È come la combinazione di una cassaforte: sono beni i gioielli e i valori custoditi nella cassaforte, mentre non è un bene la sequenza di numeri della combinazione, che apre lo sportello della cassaforte. Allo stesso modo, si legge nel decalogo, le password sono chiavi virtuali di accesso ad un determinato contenuto digitale. Su questa scia, nel decalogo, si avverte che affidare le password a qualcuno non significa attribuire, in caso di morte, la risorsa cui essa dà accesso. È bene, anzi, ammonisce il decalogo, evitare l’utilizzo delle password di utenti assenti o defunti per accedere a risorse, dati, servizi e piattaforme online, a maggior ragione se non si è a ciò autorizzati.
Peraltro, bisogna essere pratici: per accedere ai beni digitali contenuti in un account protetto da password ci vuole la password. E quando uno muore recuperare le password potrebbe essere un problema insormontabile, considerato anche che i gestori degli spazi digitali, i quali danno accesso a servizi, spazi e piattaforme sulla rete internet, hanno la propria sede al di fuori del territorio italiano e dell’Europa (ad esempio in Usa, Cina ecc.), non sempre sono collaborativi e per farsi aprire un account, sorpassando una password ignota, ci vogliono avvocati e cause internazionali e non tutti hanno tempo e denaro da spendere.
Con le password bisogna, in ogni caso, andarci con i piedi di piombo. A tale scopo, il decalogo dei notai suggerisce, innanzi tutto, di aggiornare e custodire le password. In secondo luogo, una contromisura indicata dai notai, per evitare noie con le piattaforme, è la condivisione “per tempo” delle credenziali da parte del titolare dell’account con persone di sua fiducia. Questa soluzione, però, non è esente da pecche. Primo, per una ragione tecnica: non è facile e talvolta è impossibile condividere le credenziali cosiddette a più fattori (ad esempio parola chiave più codice inviato tramite sms oppure password più impronta digitale), soprattutto quando uno dei fattori è biometrico. Secondo, perché il soggetto con il quale il titolare della credenziale ha, in vita, condiviso la stessa potrebbe non essere l’erede o un coerede, ma un terzo estraneo non collaborativo o addirittura in mala fede, con il quale si è costretti a litigare.
Istruzioni post mortem. Per questo, il decalogo, in prima battuta, ritiene opportuno che tutte le istruzioni e le disposizioni relative all’uso delle password debbano essere ben chiare e messe per iscritto: il documento consiglia di rivolgersi a un notaio anche per redigere una scrittura di affidamento delle password.
In seconda battuta, il decalogo segnala una opzione diversa dall’affidamento (di fatto o con una scrittura ad hoc) della password e cioè la stesura di un formale e specifico contratto chiamato “mandato post mortem”, a mezzo del quale consegnare al fiduciario le credenziali d’accesso (username e password), con istruzioni chiare su cosa fare in caso di decesso: distruggere i dati in tutto o in parte, o consegnarli a soggetti indicati. I notai sottolineano che il mandato post mortem è ammesso dal diritto italiano per dati e risorse digitali con valore affettivo, familiare e morale (ad esempio foto, immagini, video personali).
I notai aggiungono un’avvertenza dal sapore molto pratico: quando si cambia la password, come è doverosa regola di sicurezza, bisogna ricordarsi di aggiornare le istruzioni. Tra l’altro, visto che la password va cambiata sovente, proprio per ragioni di sicurezza informatica, gli aggiornamenti devono essere altrettanto frequenti e questo è senz’altro un aggravio.
Anche il testamento, infine, è una sede idonea nella quale inserire disposizioni di carattere non patrimoniale relative all’uso delle password: nella scheda testamentaria l’interessato può decidere chi può accedere o no ai dati, stabilire chi sia legittimato ad accedere ai computer, ai file, ecc.).
Si ribadisce, comunque, che, come affermato dai notai, non essendo le password un bene che cade nell’eredità, le disposizioni sull’uso post mortem della password non sono disposizioni con cui si dispone della successione nei beni.
Beni piratati. Secondo i notai, anche i beni digitali piratati, i contenuti concessi in licenza (ad esempio tutti quelli per cui si paga un canone, come il pacchetto Office365, Netflix, Spootify ecc.), gli account di firma elettronica (ovvero quelli forniti da Aruba, Namirial, Infocert ecc.) e gli account di identità digitale (SPID fornito da PosteItaliane, Aruba, Infocert, Namirial ecc.) sono esclusi dall’asse ereditario e, quindi, dalla successione. Attenzione anche ai dati nella disponibilità del defunto, ma che appartengono a terzi, come datori di lavoro o clienti, perché di regola vanno loro restituiti.
Conti online. Un conto corrente online è l’estensione virtuale di un conto reale. Gli eredi possono quindi pretendere quanto spetta loro attraverso i canali tradizionali.
L'articolo Beni digitali, la successione è fai-da-te. Ecco la bussola proviene da Iusletter.