Abiti gratis: da Atacama l’iniziativa per liberare il deserto

Il deserto di Atacama, in Cile, è un lugo noto non solo per il fascino naturalistico, ma anche per il suo essere una delle più grandi discariche a cielo aperto dei prodotti moda dismessi da tutto l’occidente, al punto da essere visibile addirittura dallo spazio. Nonostante il costante afflusso di abiti,  le idee e le […] The post Abiti gratis: da Atacama l’iniziativa per liberare il deserto appeared first on L'INDIPENDENTE.

Apr 25, 2025 - 11:48
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Abiti gratis: da Atacama l’iniziativa per liberare il deserto

Il deserto di Atacama, in Cile, è un lugo noto non solo per il fascino naturalistico, ma anche per il suo essere una delle più grandi discariche a cielo aperto dei prodotti moda dismessi da tutto l’occidente, al punto da essere visibile addirittura dallo spazio. Nonostante il costante afflusso di abiti,  le idee e le azioni per denunciare questo disastro ecologico non si fermano: dopo la Atacama Fashion Week arriva Re-Commerce Atacama, un’inziativa sfrontata e rivoluzionaria che recupera gli abiti dismessi illegalmente rimettendoli in circolo. Gratuitamente.

Tra le montagne di abiti riversati nelle sabbie del Cile, infatti, non ci sono solo seconde scelte e capi malandati. Anzi. Una grande quantità di questi capi sono nuovi di zecca, dotati di cartellini ed in perfetto stato. Molti provengono direttamente dai magazzini dei marchi che, invece di venderli a prezzi più bassi o regalarli, preferiscono buttarli via (anche questo è il sistema moda). Per questo, ogni settimana, Bastián Barria, 32enne co-fondatore della fondazione Desierto Vestido, si incammina nel deserto di Atacama alla ricerca di indumenti persi tra le dune, li seleziona, li preleva e aggiunge alla pila di abiti raccolti (che ammonta già a circa due tonnellate).

Lo scorso 17 marzo, circa 300 articoli sono stati messi in vendita online sul sito recommerceatacama.com gratuitamente. L’unica spesa per i clienti è stata quella di spedizione. Tra i capi messi in vendita (e andati esauriti nel giro di cinque ore) c’erano oggetti brandizzati Nike e Adidas, Calvin Klein, gonne di pelle e abiti di disegnatori e marchi blasonati – il cui ultimo desiderio, probabilmente, è sapere che le persone hanno ottenuto gratuitamente le loro creazioni. I capi in questione sono volati in Brasile, Cina, Francia, Stati Uniti e Regno Unito. Per supportare e spingere il primo lancio, influencer e personalità sensibili all’argomento si sono fatte portavoce in rete per amplificare la notizia. Ulteriori uscite sono previste in questi mesi: sul sito è possibile lasciare la propria mail per essere avvisati dei lanci successivi. 

Re-commerce Atacama è una provocazione, parte di una campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle montagne di abiti abbandonati in Cile e sulla situazione ingestibile dei rifiuti tessili a livello globale. L’organizzazione di Barria ha collaborato con i rappresentanti di Fashion Revolution Brazil, con l’agenzia pubblicitaria brasiliana Artplan e la piattaforma di e-commerce Vtex, per mettere in piedi l’azione e renderla efficiente. Tutta l’operazione, tutt’altro che semplice, prevede la selezione, il restauro, il lavaggio e tutto il necessario per garantire le “buone condizioni” dei capi messi in vendita, più la messa online sulla piattaforma digitale.

L’iniziativa non vuole incentivare all’acquisto compulsivo, quanto piuttosto far riflettere sul problema, sulla necessità di sviluppare soluzioni alternative e circolari, ripensando il modello di business della moda. Una forma di attivismo che ripaga con la stessa moneta i brand: loro mandano tonnellate di vestiti in maniera indiscriminata nel deserto, il deserto li rimanda fuori, gratuitamente. Ripulire tutto a furia di “lanci” è quasi un’impresa impossibile ma, come è scritto sul sito, «Tutti i brand, dal fast fashion ai marchi di lusso, sono nostri fornitori. […]Ora, grazie all’indifferenza dell’industria della moda verso l’ambiente, tramite Re-commerce potete trovare capi unici a prezzi che non vi permetterebbero mai di pagare per uno dei loro prodotti. Pertanto, vi incoraggiamo a continuare a recuperare capi di abbigliamento finché non perderemo definitivamente tutti i nostri fornitori». I fornitori potrebbero obiettivamente risentirsi e decidere di gestire i propri rifiuti “in casa”, evitando di spargere il proprio surplus produttivo in giro per il mondo. 

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