2.300 aziende dichiarano fallimento in Italia, la coda lunga di pandemia e crisi
Nel 2024 in Italia si è registrato un picco del +112% delle procedure fallimentari avviate dalle aziende, per totale di 2.314 soggetti interessati: è il dato più alto in 10 anni

Il tessuto imprenditoriale italiano è fragile e non è in possesso di strumenti efficaci per prevenire e gestire le crisi. È questo l’aspetto più netto che emerge dalla nuova indagine condotta dalla Roma Business School in merito alle procedure fallimentari avviate in Italia nel 2024. Il dato è tornato a crescere dopo 10 anni, segnando un più 112% rispetto al 2023 a fronte di un totale di 2.314 casi. Le aziende più colpite sono quelle del settore dei servizi, dell’industria e delle costruzioni.
Il percorso delle procedure fallimentari in Italia
Il numero delle procedure fallimentari avviate in Italia nel 2024 ha seguito l’andamento del Pil, registrando come detto un totale di 2.314 casi (+112% sul 2023). Si tratta del valore più alto registrato da 10 anni: nel 2014 il picco era stato di 14.735 fallimenti, mentre nel 2023 si era registrato il minimo storico di 1.093 procedure.
Così come riferito dall’Istat, dopo il picco di fallimenti registrato nel 2014, le procedure fallimentari in Italia hanno subito un decalage progressivo che, fino al 2020, è stato sempre in linea con la ripresa del Pil. Ne era seguita la pandemia, con il crollo del Prodotto interno lordo (pari al -8,9%) che sorprendentemente non aveva influenzato i fallimenti delle aziende. Il dato del 2020, infatti, indicava una discesa del 32,1% dei fallimenti per un totale di 7.160 casi. Il merito, in questo caso, era stato delle molte misure straordinarie adottate dal Governo italiano, quali moratorie, sussidi e blocco dei licenziamenti.
Come ipotizzabile, l’anno successivo, nel 2021, si era assistito a un effetto rimbalzo, con l’aumento del 36,2% delle procedure fallimentari in Italia per un totale di 9.755 casi. La coda lunga della pandemia e della crisi economica che è seguita si è protratta fino al 2024, dopo aver fatto sperare nel contrario l’anno precedente: nel 2023 i fallimenti in Italia erano stati appena 1.093 (minimo storico).
A fronte dei più mille fallimenti registrati in Italia nel 2024, c’è una magra consolazione per il Paese: nel periodo compreso tra il 2020 e il 2024 le imprese italiane che hanno aperto procedure per fallimento sono scese del 67%.
I settori più soggetti a fallimento
La crisi fallimentare italiana non coinvolge equamente tutti i settori produttivi. Così come evidenziato dai dati InfoCamere, infatti, tra luglio 2024 e gennaio 2025, i soggetti più a rischio sono stati quelli operanti nel comparto dei servizi (commercio, trasporti e alberghi) con un numero totale di 665 procedure fallimentari (su un totale di 2.064). A seguire troviamo:
- l’industria (459);
- le costruzioni (443).
Non equa anche la distribuzione geografica nazionale dei fallimenti. In testa troviamo Roma, con 209 istanze (10,1% del totale), seguita da Napoli (129), Bari (93) e Padova (91).
La necessità di misure di contrasto alle crisi
Così come evidenziato da Massimiliano Parco, economista del Centro Europa Ricerche, “in Italia, i fallimenti aziendali sono stati causati da una combinazione di shock economici come la crisi finanziaria del 2008, il debito sovrano, la pandemia e la crisi energetico-inflazionistica e fragilità strutturali interne, tra cui l’accesso limitato al credito, l’elevata pressione fiscale e la complessità normativa”.
Occorre, dunque, un intervento tempestivo ed efficace di contrasto per controvertire l’andamento descritto e, in tale ottica, si guarda al potenziamento del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e a un maggior utilizzo Workers buyout (WBO). Nel primo caso ci si trova di fronte a un impianto normativo che punta a salvaguardare la continuità operativa delle imprese, nel secondo di uno strumento di rilancio che permette ai dipendenti di un’azienda in crisi o priva di successione di rilevarne la priorità.