“Vorrei un rito funebre zoroastriano, il corpo offerto agli uccelli che se ne nutrono e lo portano in volo. La morte è trasformazione, meglio aquila che verme”: così Massimo Cacciari
Massimo Cacciari su è raccontato ad Antonio Polito su 7, del Corriere della Sera. Un lungo percorso di parole che girano intorno al tema della morte. A cominciare dal commento del filoso su quanto detto da Epicuro, “la morte non esiste, perché quando c’è lei non ci siamo noi, e viceversa”: “Epicuro pensa alla morte […] L'articolo “Vorrei un rito funebre zoroastriano, il corpo offerto agli uccelli che se ne nutrono e lo portano in volo. La morte è trasformazione, meglio aquila che verme”: così Massimo Cacciari proviene da Il Fatto Quotidiano.

Massimo Cacciari su è raccontato ad Antonio Polito su 7, del Corriere della Sera. Un lungo percorso di parole che girano intorno al tema della morte. A cominciare dal commento del filoso su quanto detto da Epicuro, “la morte non esiste, perché quando c’è lei non ci siamo noi, e viceversa”: “Epicuro pensa alla morte come a un istante inafferrabile. Ma questa è appunto la morte, non il morire. Un fatto, non un processo e un divenire. In realtà moriamo ogni giorno, cotidie morimur…”, commenta Caccieri.
Allora Polito chiede se pensare alla morte sia ci aiuti a vivere e Cacciari dubbi non ha: “Di più: è il solo modo autentico di vivere. Vivere ogni momento come se fosse l’ultimo, rendendo ogni momento conto a noi stessi dei nostri atti, pronti in ogni istante a giudicarci (che non significa essere giudicati). Morire è un verbo, non un fatto: caratterizza ogni momento della nostra vita. Io non riuscirei a vivere neanche un istante se non fossi costantemente disposto a giudicarmi”. Da Epicuro a Heiddeger e fino a Seneca, con la domanda se sia la morte una fine o un passaggio: “Passaggio, certo. Non è una fine, ma un passaggio (…). Neanche i fisici escludono che possano esistere infiniti mondi. Solo che noi non possiamo vederli. La morte è una scomparsa dal cono di luce. Ma non ci può essere certezza che sia la fine”.
Dunque Polito porta la testimonianza di Stephane Allix, del cui libro (La Morte non Esiste), abbiamo parlato qui e che sostiene che la nostra coscienza ha una dimensione spirituale che trascende la mera fisiologia del corpo e si chiama anima: “(…) Noi non ci annulliamo. Ognuno di noi produce costantemente informazioni e pensieri: perché mai dovrebbero annullarsi? La luce che produciamo non si esaurisce. Scompare, certo, non si vede più. Ma procede. Può darsi che io venga visto tra qualche millennio in qualche altra galassia”.
La conversazione è lunga e non smette mai di essere interessante, si fa divorare dal lettore. A un certo punto Polito chiede a Cacciari se abbia predisposto qualcosa per la sua morte, per il rito funebre e se dapprima il filosofo liquida la faccenda con un “… Non me ne frega nulla. Chi resta, faccia come cavolo vuole”, poi risponde: “Se proprio me lo chiedono, vorrà dire che glielo dirò. Per esempio: penso che il rito più bello sia quello zoroastriano, che ora immagino sia proibito anche in Iran, dove pure esiste ancora una comunità, un’enclave di fedeli di questa antica religione. Lì ci sono queste bellissime “torri del silenzio”, dette dakma, alte fino a dieci metri, sulla cui sommità venivano esposti i cadaveri perché gli uccelli e gli avvoltoi se ne nutrissero, portandoli in volo con loro. Mi piacerebbe. D’altra parte, se la morte è trasformazione, meglio in un’aquila che in un verme“.
L'articolo “Vorrei un rito funebre zoroastriano, il corpo offerto agli uccelli che se ne nutrono e lo portano in volo. La morte è trasformazione, meglio aquila che verme”: così Massimo Cacciari proviene da Il Fatto Quotidiano.