Valeria e la forza dell’inclusione: “La sordità è diventata il mio motore di vita”
Perdita dell’udito a 17 anni, poi la rinascita: Valeria è oggi esperta di accessibilità in una multinazionale tech. La sua è una testimonianza potente di come la tecnologia, se guidata dall’umanesimo, possa diventare leva di inclusione e consapevolezza sociale L'articolo Valeria e la forza dell’inclusione: “La sordità è diventata il mio motore di vita” proviene da Economyup.

Accessibilità digitale
Valeria e la forza dell’inclusione: “La sordità è diventata il mio motore di vita”
Perdita dell’udito a 17 anni, poi la rinascita: Valeria è oggi esperta di accessibilità in una multinazionale tech. La sua è una testimonianza potente di come la tecnologia, se guidata dall’umanesimo, possa diventare leva di inclusione e consapevolezza sociale
Fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido

Valeria, scusa la brutalità. Cosa significa iniziare a perdere l’udito quasi completamente a 17 anni, senza un motivo apparente?
“È un trauma. I medici non si spiegavano il perché. Poi da un lato ho iniziato a usare le protesi, dall’altro mi sono forzata a recuperare il ricordo dei suoni nella mia memoria…Sai, a volte non sentire può essere una opportunità. Nel mio caso mi ha avvicinato all’uso della tecnologia per l’inclusione sociale delle persone sorde, che ora è il mio lavoro, al quale si aggiunge la mia passione: far sentire la poesia a chi non è in grado di poterla ascoltare.”
Insomma hai cercato e trovato la via per trarre da un male un bene, per te e per gli altri. La tua è stata una rinascita. La storia giusta per la Settimana Santa…
“Non ho mai detto: “Dio, perché proprio a me?”. Anzi, il mio problema all’udito è diventato un motore di vita. Mi ha trasformata in una appassionata di accessibilità digitale e culturale. Dopo l’inevitabile choc iniziale, grazie all’aiuto della mia famiglia ho fatto di necessità virtù e questo mi ha portato a incontri e opportunità che altrimenti non avrei avuto, compreso questa di essere qui con te a parlare del buon uso della tecnologia, di cultura e di umanesimo.”
E allora parliamone. Ma prima diciamo che sei una giovane donna che lavora come Quality Engineering Associate Manager, specializzata in Accessibility Design & Architecture/ Quality Assurance Advisor in una grande multinazionale…
“…Sono responsabile associato di ingegneria della qualità per il controllo ingegneristico dei software e fare in modo che sia accessibile a tutti, per i nostri colleghi e per i clienti. La cultura e l’umanesimo nella società digitale sono temi che mi stanno molto a cuore, poiché uniscono i miei primi studi umanistici al mio attuale impegno in ambito tecnologico.
Perché pensi sia importante unire umanesimo e tecnologia?
“L’umanesimo ci ha regalato un nuovo modo di vedere il mondo, più basato sull’osservazione. Osservare viene dal latino “ob” (davanti, verso) e “servare” (custodire, conservare). Non è solo vedere, ma implica attenzione e analisi di ciò che si sta guardando. La trasformazione digitale sta ridefinendo il nostro rapporto con il sapere, la creatività e i rapporti sociali, proprio come l’umanesimo ha trasformato il modo in cui l’uomo si relazionava alla natura e alla cultura.”
È sempre stato così, nel tempo le cose cambiano perché ne arrivano di nuove e ridefiniscono l’assetto economico, culturale e sociale, però oggi la novità ci sovrasta. Siamo sopraffatti dalle continue novità tecnologiche, come dimostra quanto sta avvenendo con l’intelligenza artificiale generativa e conversazionale. Quasi ogni giorno viene annunciata una novità…
“Dobbiamo fare i conti con il tempo di ricezione del progresso tecnologico. La legge di Martec ci dice che la tecnologia evolve a velocità esponenziale, mentre la nostra capacità di adattamento cresce molto più lentamente. Proprio per questo abbiamo bisogno di un pensiero solido, diresti tu.”
Abbiamo bisogno di criteri per orientarci in questa grande trasformazione. Quali sono i tuoi criteri, in base alla tua peculiare esperienza e sensibilità?
“Non possiamo essere spettatori passivi della rivoluzione digitale. La tecnologia per esistere e per funzionare ha bisogno di noi, non esiste in natura. Possiamo e dobbiamo plasmarla per creare una società più consapevole e inclusiva. Questo significa, passami il termine, iniettare massicce dosi di umanesimo nel lavoro quotidiano dei tecnici, degli informatici. Creare codice con un perché, consapevoli delle ricadute sociali e non solo del funzionamento del software.”
È il grande tema che ci accompagna sin dai tempi della legge Stanca e delle successive norme sulla accessibilità digitale e che torna ovviamente di attualità con l’intelligenza artificiale generativa…
“Da attivista dei diritti digitali ho a cuore questi temi, seguendo da anni il grande lavoro che fai tu e che fa Roberto Scano e con lui IWA l’associazione internazionale per la professionalità nel web, di cui faccio parte. Sono una accanita fautrice del “Design for all”. L’accessibilità digitale deve essere una priorità: i sistemi informatici devono essere concepiti per essere fruibili da tutti, incluse le persone che necessitano di tecnologie assistive.”
Non è solo una questione etica ma è da tempo un obbligo di legge per le grandi aziende, obbligo che dal 28 giugno diventerà totale. Grazie all’European Accessibility Act non si potranno immettere sul mercato europeo nuovi prodotti ICT non accessibili.
“È un grande tema culturale, prima ancora che tecnologico. Dobbiamo costruire tecnologie che rispettino le differenze e valorizzino le persone non solo come consumatori, ma come esseri unici, parte attiva di questo nuovo “tecnoumanesimo”. La disabilità esiste, ma se ci pensiamo bene, siamo tutte persone con abilità differenti e abbiamo tutti il diritto di far parte della rivoluzione tecnologica.”
Anche perché la grande sfida dell’intelligenza artificiale generativa e conversazionale è che obbliga l’essere umano a ridefinire se stesso, a partire dal recupero di una evidenza: siamo esseri relazionali. A proposito di relazioni, come sai abbiamo lanciato il progetto Economia Circolare delle Competenze, un patto tra le generazioni per costruire con fiducia il futuro. Nella tua vita, professionale e non solo, hai potuto sperimentare un rapporto proficuo con le generazioni più grandi della tua?
“Nella mia vita professionale e personale ho avuto diverse opportunità di confrontarmi con persone più grandi di me, e posso dire che queste esperienze sono state molto positive. Ho avuto la possibilità di imparare molto, non solo a livello tecnico e professionale, ma anche in termini di approccio al lavoro, gestione delle difficoltà e visione a lungo termine. Il dialogo intergenerazionale mi ha arricchito, perché, con umiltà, ho potuto unire la mia energia e voglia di innovazione con l’esperienza e la saggezza dei più grandi. Credo molto nel valore di queste relazioni, perché favoriscono una crescita reciproca.”
Allora ti aspettiamo venerdì 9 maggio pomeriggio e sabato 10 mattina alla prima edizione del Festival dell’Economia Circolare delle Competenze. In conclusione, da tecnoumanista come vedi il futuro prossimo?
“Il rischio principale è la formattizzazione dell’esperienza. Gli algoritmi predittivi possono ridurre la nostra libertà di scelta, offrendoci solo ciò che è previsto per noi, naturalmente in base a quello che noi cerchiamo online. Rischiamo di diventare consumatori passivi di contenuti preconfezionati. Solo sviluppando una maggiore consapevolezza su queste dinamiche, che sono culturali e commerciali insieme, potremo sviluppare una maggiore sensibilità riguardo i nostri diritti.”
A ben guardare, è ciò che hai fatto tu. Hai trasformato il tuo deficit uditivo in dono prezioso e motore di vita. Promuovi l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, fai formazione nell’utilizzo degli strumenti assistivi ai colleghi con disabilità e realizzi prodotti audiovisivi culturali con studenti universitari, poeti contemporanei come Davide Rondoni, cantanti. Niente male, direi per questa Santa Pasqua. Auguri, Valeria!
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